Dopo la clonazione di due primati da parte di un gruppo di ricercatori di Pechino, che ha dato vita a Zhong Zhong (8 settimane) e Hua Hua (6 settimane), la notizia ha fatto il giro del mondo. È la prima volta, infatti, che si riesce a clonare un mammifero placentato (come l’uomo) quale è la scimmia, diversamente da un bovino o ad un ovino.
Ovviamente l’immaginario chimerico di un progresso in cui i cloni possano essere utilizzati come strumento di ricambio per altri essere umani è stato rievocato suscitando paure o perplessità. Ma prima di spingersi negli scenari più assurdi, bisogna capire cosa sia avvenuto, “perché non siamo di forte a nessuna novità epocale”, spiega Augusto Pessina, professore di Scienze Biomediche per la Salute presso l’Università Statale di Milano.
Quale tecnica hanno usato i ricercatori cinesi?
La tecnica usata non è nuova, risale al 1997 quando fu clonata la pecora Dolly. Da allora fino ad oggi, in vent’anni quindi, sono stati fatti chissà quante centinaia o migliaia di tentativi per riuscire a clonare non più ovini o bovini, ma mammiferi placentati.
Ci spieghi quale tecnologia è stata usata.
Si chiama nuclear transfert: viene stimolata l’ovulazione di un animale in modo da avere a disposizione degli ovuli. Dopodiché viene presa una cellula, ad esempio somatica, da un altro animale che si vuole clonare. A questa cellula si toglie il nucleo e lo si inserisce nell’ovulo dell’altro animale, che poi viene fecondato e trasferito in utero affinché cresca. Nel caso di Dolly presero una cellula della sua mammella, il cui nucleo fu trasferito nell’ovulo di un’altra pecora, usato come recipiente del Dna di Dolly: una volta fecondato l’ovulo, nacque un animale simile a lei.
Simile o identico?
In realtà l’animale e il suo clone non sono completamente uguali, perché la cellula uovo in cui si inserisce il Dna della cellula dell’animale che si vuole clonare, non è neutra ma possiede dei mitocondri con un Dna proprio, diversi da quelli del nucleo che ospita. Quindi il clone di Dolly non era completamente identico a Dolly, almeno il suo Dna mitocondriale era diverso. Diciamo che erano molto simili, come due gemelli.
Passiamo alla nascita delle due scimmie. Come è stato applicato il procedimento?
In questo caso sono state utilizzate le cellule non di individui già nati ma di 79 embrioni di scimmia da clonare. Il nucleo di queste cellule è stato trasportato negli ovuli di altre scimmie, poi fecondati. Quelli sopravvissuti sono stati impiantati in 21 scimmie, usate come madri surrogate. In tutto, però, sono state ottenuto solo 6 gravidanze. E di queste 6 solo 2 sono arrivate a termine. Quindi il meccanismo è migliorato ma la sua efficienza resta bassissima. Certo, meglio dell’ecatombe servita a clonare Dolly, per cui furono usati 277 embrioni con il risultato di una sola nascita. Per altro Dolly invecchiò precocemente e fu uccisa perché sofferente.
Ci sarà qualche novità se solo ora, dopo vent’anni, il procedimento usato per Dolly è riuscito sui primati?
Nel meccanismo di procedimento non vi è nessuna novità. Negli strumenti utilizzati per farlo funzionare ce ne sono però: questa volta si è voluto colonare un embrione abortito ed è quindi stata utilizzata la cellula (precisamente la cellula di fibroblasti) di un embrione abortito e non di una scimmia adulta. La seconda novità sta nel fatto che i ricercatori hanno usato due sostanze nuove per coltivare le cellule uovo (gli ovuli usati come contenitore del nucleo della cellula dell’embrione di scimmia da clonare): si è così scoperto che con queste sostanze la cellula uovo ha più probabilità di svilupparsi. Una scoperte fatta chissà dopo quanti tentativi, ma che lascia comunque bassa la probabilità della nascita dei cloni degli embrioni usati, dato che sono anni che diversi laboratori provano a clonare primati.
Non le pare singolare che gli animalisti non siano insorti?
Singolare che insorgano quando si utilizzano tecniche sperimentali, ad esempio sui topi, che servono davvero a cercare la cura per le malattie umane. Mentre qui, dove l’uomo rischia di essere sacrificato insieme all’animale, nessuno si scandalizza.
Perché, quali scenari si aprono?
Dipende da cosa vogliamo fare con questa evoluzione. Provarla sugli embrioni umani malati? E se sì per trasferirli dove? Nelle scimmie per far nascere delle chimere e studiare le malattie umane? O semplicemente per creare cloni sani di embrioni magari malati (trovando madri surrogate)? Fosse così, come fare? Gli scenari sono infiniti.
Gli scienziati cinesi non hanno dichiarato qual è il fine del loro esperimento?
È chiaro che il motivo dichiarato da chi fa questi esperimenti viene definito come umanitario: il fine sarebbe il progresso. Ma non è chiaro cosa intendano per progresso, né quali limiti etici si pongono per raggiungere questo fine. Nel paper che hanno pubblicato si legge che lo scopo dell’esperimento è di arrivare a correggere i difetti genetici, ma non si capisce come. Si potrebbe continuare a fare di tutto. Ma la domanda è: a quale costo? Qui non viene spiegato purtroppo.
Benedetta Frigerio
La Nuova Bussola Quotidiana, 26 gennaio 2018