Il metodo adottato per far morire il “piccolo guerriero”, Charlie Gard, sta diventando in Europa un protocollo abituale, un canone medico e giudiziario. Anche per Inès, la quattordicenne francese in stato vegetativo dal giugno scorso, la Corte Europea dei Diritti Umani ha stabilito che medici e giudici del suo paese hanno preso la decisione giusta, “conforme alle disposizioni della Convenzione (dei diritti umani, ndr)”, e quindi è corretto sospendere la respirazione artificiale, e lasciarla morire, anche se i genitori si oppongono.
Come abbiamo già scritto su questo giornale, quando ne abbiamo parlato per la prima volta, Inès è viva, non ha una malattia letale, la respirazione e la nutrizione artificiale sono ancora efficaci, ma secondo i medici sono una “ostinazione irragionevole” perché secondo loro le lesioni cerebrali a seguito dell’arresto cardiocircolatorio della ragazzina sono gravissime e irreversibili, e quindi, evidentemente, in queste condizioni per lei la vita non vale più la pena di essere vissuta. Non sappiamo se e quando i medici daranno attuazione alla sentenza, ancora una volta in nome del suo miglior interesse e contro il parere di chi la ama, i suoi genitori. Ma una cosa è già evidente, e salta subito agli occhi: sulla stampa italiana, ed internazionale, la notizia è stata a malapena riportata, con pochissime eccezioni.
Solo pochi mesi dopo la morte di Charlie, che un minore venga “terminato” per sentenza o decisione medica, sospendendone i sostegni vitali, e scavalcando la volontà dei genitori, non è più considerata una notizia. Sembra non smuovere più le coscienze, e neppure riesce a mobilitare dal punto di vista emotivo: non c’è un titolo, una denuncia, nemmeno una delle tante trasmissioni tipiche della cosiddetta tv del dolore, come se fosse comunemente accettato che la vita di malati inguaribili sia a disposizione di medici e giudici, e non vale nemmeno la pena di piangerci su.
Di Inès, come di Charlie Gard, siamo venuti a sapere solo per le battaglie dei rispettivi genitori per tenerli in vita: non ci sono state associazioni civiche o professionali a combattere al loro fianco, e tantomeno intellettuali a sostenere i contenziosi arrivati fino al tribunale europeo dei diritti umani, ma tanta gente comune, per Charlie, mentre la vicenda della piccola Inès finora non sembra aver ancora suscitato una vera mobilitazione. E se la Corte di Strasburgo sembra ormai aver abdicato al suo compito – salvaguardare il primo dei diritti, quello alla vita, senza del quale non è possibile farne valere altri – l’opinione pubblica si mostra sempre meno sensibile a vicende come queste, assuefatta o semplicemente rassegnata.
E’ la conseguenza di un mutamento radicale di mentalità, nel quale non sempre la vita vale la pena viverla, e la morte di una persona innocente può essere un diritto esigibile non dal singolo, non in nome della tanto esaltata autodeterminazione, ma dallo stato, come finora è accaduto solo nei regimi totalitari. Non si tratta più nemmeno di obbedire alla richiesta dei diretti interessati o dei loro familiari, ma dei medici, e sarà un giudice a decidere sulla vita e la morte. Così, senza più discutere di diritto a morire, senza nemmeno passare dal parlamento eletto dal popolo (e dunque coinvolgendo l’opinione pubblica), senza leggi che esplicitamente ammettano l’eutanasia, questa viene praticata ugualmente, per altre vie e con altri nomi, evitando la somministrazione del farmaco letale ma, più semplicemente, sospendendo i sostegni vitali. Ogni paradigma viene rovesciato: in una società che è sempre più artificiale e tecnologicamente sofisticata, in cui l’innesto di protesi meccaniche e device ad elevata tecnologia, persino collegati in rete, è ormai normale, si stacca il ventilatore o il semplice sondino sostenendo che si tratta di pratiche invasive, macchine che tengono “artificialmente” in vita. Tutto per nascondere la più evidente delle verità: che la vita non è più intoccabile e sacra, e che l’essere umano non è più al centro della nostra visione del mondo.
Eugenia Roccella
L’Occidentale, 28 gennaio 2018