A gennaio in Gran Bretagna si moriva di Covid due volte e mezza più che da noi. Adesso la proporzione si è quasi invertita. E i nuovi contagi sono un quarto di quelli italiani
Ammesso che, come molti si attendono, l’Agenzia europea del farmaco (Ema) giovedì dia di nuovo il via libera all’utilizzo del vaccino AstraZeneca, cosa avrà comportato rallentare, seppur per pochi giorni, la campagna vaccinale (magari alimentando lo scetticismo sulla sicurezza dei vaccini)?
Si può provare a capirlo mettendo a confronto cosa sia successo, dall’inizio di quest’anno, in Gran Bretagna e in Italia. Anche al netto del lockdown più duro e prolungato in Gran Bretagna che da noi, i numeri (elaborati dalla Johns Hopkins University) fanno impressione.
L’8 gennaio nel Regno Unito — che ha finora vaccinato circa 23 milioni di persone, più o meno la metà con AstraZeneca: il 38% della popolazione ha ricevuto almeno una dose, contro il nostro 8% — avevano superato i 68 mila contagi nelle 24 ore, con una media giornaliera, sulla settimana, di 59 mila. E il 22 gennaio avevano toccato i 1.401 decessi giornalieri e 1.241 di media settimanale.
Il 15 marzo sono scesi a 5.089 contagi con media settimanale a 5.706, meno di un decimo di due mesi prima (decessi il 15 marzo 64, media settimanale 145).
Qui in Italia il 9 gennaio eravamo a 19.976 contagi giornalieri e 16.666 di media settimanale (decessi l’8 gennaio 620 e media settimanale 470). Il 15 marzo i contagi sono saliti a 22.432 di media giornaliera sulla settimana. Lo stesso giorno, i decessi sono stati 354 nelle 24 ore e 342 nella settimana.
Detto in modo più brutale, a inizio anno in Gran Bretagna si moriva di Covid-19 più di due volte e mezza che da noi, adesso è più o meno il contrario.
E ci si contagiava più del triplo, mentre oggi la media inglese di nuovi contagi è un quarto della nostra. Gli effetti collaterali di ogni ritardo nella vaccinazione sono, dunque, letali, perché consentono al virus di continuare a contagiare e uccidere.
Non stupisce che Peter Openshaw, docente di Medicina sperimentale all’Imperial College di Londra, abbia dichiarato alla Bbc che, a suo avviso, la decisione di interrompere le inoculazioni «è un disastro per la campagna vaccinale in Europa, che in alcuni Paesi già poggia su basi non troppo solide».
I numeri sembrerebbero parlare chiaro. E le percentuali di rischio anche, visto che il Covid uccide circa l’1% degli infettati (una stima conservativa), mentre i casi sospetti – e non accertati – di trombosi sono poche unità su milioni di vaccinati.
Ma David Spiegelhalter, che presiede il Winton Centre for Risk and Evidence Communication all’università di Cambridge, teme che l’eccesso di cautela (o, se preferite, l’esagerazione nell’applicare il principio di precauzione) possa derivare da una sorta di pregiudizio cognitivo, ossia l’irrefrenabile tendenza umana a vedere nessi e cause anche dove non ci sono, scambiando una relazione temporale (una cosa successa dopo che ne è successa un’altra, vedi una morte per trombosi dopo la vaccinazione) per una causale (la cosa successa dopo è stata provocata da quella successa prima).
«Saremo mai capaci – si chiede Spiegelhalter sul Guardian – di resistere all’urgenza di trovare una relazione causale tra eventi distinti?». La sua risposta?: «Un modo per arrivarci è promuovere il metodo scientifico e assicurarsi che chiunque capisca questo principio basilare. Testare un’ipotesi ci aiuta a vedere quali intuizioni o assunti sono corretti e quali no. In questo modo, i test randomizzati hanno dimostrato l’efficacia di alcuni trattamenti per il Covid che hanno salvato un gran numero di vite, dimostrandoci invece che altre sbandierate affermazioni su differenti trattamenti, come l’idrossiclorochina e il plasma iperimmune, non erano corrette. Ma non credo che potremmo mai liberarci razionalmente del tutto dalla fondamentale e spesso creativa spinta a trovare strutture anche dove non ce n’è nessuna. Forse dovremmo soltanto sperare in un’umiltà di fondo prima di proclamare di sapere perché qualcosa è accaduto».
Si obietterà che anche il giudizio emesso dall’Ema sarà basato sulla scienza. Ma, alla luce dei dati britannici sopra riportati, il dubbio che sarebbe stato meglio procedere comunque con le vaccinazioni in attesa di quel giudizio, rimane.
Luca Angelini
Corriere della Sera
17 Marzo 2021