“Non in mio nome”, l’ha scritto a chiare lettere il vescovo di Sanremo-Ventimiglia nel suo comunicato di domenica scorsa, commentando gli assurdi siparietti blasfemi e gender-fluid andati in scena durante il Festival di Sanremo, trasmesso come sempre in eurovisione e sulla tv pubblica.
Sono state le performance di Achille Lauro esibitosi con il Sacro Cuore di Gesù, piazzato a casaccio sull’asta del suo microfono e il volto rigato da finte lacrime di sangue, ma anche l’entrata in scena di Fiorello, con una grossa corona di spine, a spingere il vescovo a pronunciarsi senza ma e senza se, sull’innegabile blasfemia di queste scene. Come egli stesso ha scritto: “Il mio intervento, a questo punto doveroso, è per confortare la fede “dei piccoli”, per dare voce a tutte le persone credenti e non credenti offese da simili insulsaggini e volgarità”.
Una voce che restituisce pienamente, oltre che nel suo comunicato, anche in questo dialogo con Pro Vita & Famiglia, in cui ci spiega come un vescovo, investito di una simile responsabilità, proprio non possa stare a guardare.
Nel suo comunicato Lei ha ripreso un motto originariamente pagano, poi recepito nella tradizione cristiana, “quos Deus perdere vult, dementat prius” (a quelli che vuole rovinare, Dio toglie prima la ragione”). Il richiamo a questa citazione, nel suo comunicato, ci fa rfilettere, perché ci sono stati molti che hanno giustificato i ripetuti siparietti blasfemi inscenati da Achille Lauro in primis e Fiorello poi, sostenendo che andavano interpretati, addirittura, come una manifestazione da parte del cantante in gara, della sua ricerca di Dio. Ma questa interpretazione, se vogliamo un po’ “buonista” non rischia di negare l’oggettività del male che è venuta fuori in questa circostanza. Ci verrebbe da dire che c’è modo e modo di manifestare la propria ricerca di Dio?
«Non è un’interpretazione “buonista”, più che altro è un’interpretazione assurda e sconsiderata perché non tiene conto della verità delle cose. Per cui la prima forma di carità è quella di verità. Questo è il primo punto. Poi è una forma vigliacca, perché soprattutto noi cristiani, ma chi, davanti agli uomini ha il compito di guida, soprattutto, deve sentire la necessità di dire le cose come stanno. Altrimenti vale quello che dice a Ezechiele: “Io rimprovero ma se tu non dici la parola che io ti mando a dire, l’empio morirà ma io chiederò conto a te della sua morte”. Questo è il dovere che mi spinge. Io ho anche detto che molte volte, nell’arte, si può adoperare la simbologia religiosa e magari non adoperarla secondo i criteri liturgici o perché non li si conosce o perché magari fa comodo interpretarla diversamente. E fin qui posso capire quella che si chiama “licenza poetica” o interpretazione artistica. Ma la malizia di quello che stanno facendo è innegabile. Ho ricevuto, con molto piacere, anche la dichiarazione degli esorcisti italiani, perché la malizia è tipicamente diabolica. Perché queste espressioni blasfeme vengono sempre inserite in contesti che non sono neutri: adesso sono quasi sempre i contesti del gender. Quindi abbiamo un duplice riferimento diabolico. Perché il primo riferimento diabolico è quello di propagare la menzogna e di farla passare come se fosse verità. Il secondo è quello della tradizione medievale che definiva il demonio come “scimmia di Dio” e cioè una brutta copia. E così questo atteggiamento si cerca di instillarlo anche nelle persone che si allontanano da lui. Io capisco che questo discorso può essere difficile da fare a chi non è nell’orbita della fede. Però è così!».
Eccellenza, non è forse il caso di ribadire in questa circostanza, in cui, certe performance vengono definite anche rivoluzionarie, invece, tutta la banalità del male? Quant’è facile e banale, poi attaccare la fede cattolica, oggi?
«E’ il vangelo ad insegnarci che il male non è mai una novità, il male è sempre vecchio. Inoltre si attacca la fede cattolica perché è rimasta l’unico presidio. Questo è il problema. E’ l’unico presidio. Non si permetterebbero, poi mai, di intervenire in un contesto islamico perché sono paurosi e quindi sanno che gli islamici non farebbero semplici proclami. Io non dico che bisogna deridere le altre religioni, ma con i cattolici, purtroppo, è sin troppo facile».
Don Paolo Morocutti, esorcista e docente di Psicologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha dichiarato, riguardo questa faccenda: “Chi va a questi spettacoli ed è battezzato non può far passare questa cosa citando un Gesù che vuole semplicemente bene a tutti. Abbiamo smesso di difendere le nostre cose più preziose e come ricordava Benedetto XVI, stiamo attenti a non fare di Gesù una caricatura che non si indigna mai. Siccome siamo imbarazzati giustifichiamo la cosa dicendo che Gesù alla fine ha perdonato tutti”. Questo non denota forse un atteggiamento che si sta diffondendo sempre più tra i cristiani e cioè di rinuncia a rendere ragione della propria fede e dunque anche a difenderla da eventuali attacchi ideologici e non?
«Certo. È proprio così. Questa idea che Gesù perdona addirittura senza che nemmeno l’uomo lo chieda e si penta, è un’idea totalmente estranea al vangelo».
Lei ha dichiarato in una recente intervista: «Al Festival è stata calpestata la fede, mentre la gente in ospedale per il Covid trae sostegno da quegli stessi simboli». A proposito di Covid, analizziamo anche questo aspetto: molti che hanno risentito anche economicamente del lockdown, hanno protestato per il fatto che non si siano rispettate le distanze di sicurezza e che non sia stato rispettato, durante il Festival, l’obbligo della mascherina. Per di più parliamo di una tv di Stato che, in questo modo, non trasmette forse l’idea di una distanza nei confronti dei cittadini, sotto vari aspetti: nell’irridere la loro fede, in primis (molti dei contribuenti sono cristiani) ma anche riguardo le misure di sicurezza legate al Covid? È stato un po’ un farsi beffe del pubblico stesso, sotto vari aspetti?
«È proprio così. La gente rispetto ai simboli della fede, della liturgia, della nostra iconografia, siccome la religione cristiana è autenticamente umana e quindi fa ricorso all’immagine, ai segni (la nostra è la religione dell’Incarnazione) quindi la gente, rispetto a questi segni, in questi segni, trova consolazione, trova riferimento. Il problema è che questo politicamente corretto ha la pretesa di sovrapporsi alla gente. Come quei partiti che, se il popolo vota loro, il popolo vota bene, se il popolo non vota loro, allora il popolo è becero. E’ così in questo caso. Questa è una forma di violenza verso gli spettatori: io sono davanti alla tv, vedo uno spettacolo tradizionale, perché il Festival fa parte della tradizione italiana, e mi ritrovo insultato. L’unica possibilità che ho è spegnere la televisione, però è anche vero che noi paghiamo il canone».
Il cardinale Sarah ha affermato a proposito del declino culturale dell’Occidente: “L’Occidente si è progressivamente allontanato dalla sorgente della vita (…) la rottura con Dio può soltanto essere fatale. Come si può credere che le conseguenze spirituali, morali e psicologiche non siano gravi? (…) Prendiamo per esempio l’arte, l’architettura, la poesia, la pittura o la musica. Come non constatare un terribile arretramento? Il bello scompare dall’orizzonte. Il brutto viene eretto a criterio irrinunciabile (…) i falsi valori sono apprezzati e propagati. Il brutto è diventato bello, l’immorale considerato un progresso” Vogliamo commentare brevemente queste parole anche in merito a questa faccenda?
«E’ profondamente vero questo. Assolutamente vero: la bellezza non è pura soggettività né tantomeno capriccio, la bellezza ha dei riferimenti a dei canoni oggettivi che materialmente possono essere: l’armonia, le proporzioni ecc. ma in maniera più profonda, è l’adesione alla verità».
09/03/2021 di Manuela Antonacci
https://www.provitaefamiglia.it/blog/esclusiva-vescovo-di-sanremo-al-festival-una-forma-di-violenza-verso-chi-crede