I precedenti non mancano. Per anni l’accanimento mediatico-giudiziario nei confronti di Silvio Berlusconi; più di recente verso Matteo Salvini. Ora è il turno di Giorgia Meloni. E i racconti fatti recentemente da Luca Palamara, ex Presidente dell’Associazione nazionale magistrati, sulle trame di potere dentro la magistratura e sui loro riflessi sulle vicende politiche nazionali, potrebbero aiutare non poco a far quadrare il cerchio.
Questa volta a sparare il siluro è Repubblica, anticipando un’inchiesta del settimanale L’Espresso, sempre del gruppo Gedi. La leader di Fratelli d’Italia, stando alle rivelazioni di un pentito alla Direzione distrettuale antimafia (Dda), avrebbe fatto avere 35mila euro a un clan di nomadi per la campagna elettorale del 2013. Nel dettaglio, a sostenere questa tesi è il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo. Si legge, nel verbale segreto, che quei soldi sarebbero stati consegnati in contanti dentro a una busta del pane davanti a un distributore in zona Eur. Motivo della dazione di denaro: pagare i rom di Latina per attaccare manifesti elettorali.
La reazione di Giorgia Meloni alle parole del pentito dei clan nomadi del capoluogo pontino non si è fatta attendere ed è arrivata con un video in diretta Facebook. “Notizia falsa che mi infanga”, ha tuonato la presidente di Fratelli d’Italia, rivendicando la collocazione all’opposizione del suo partito. La Meloni, giustamente, si chiede perché Repubblica non l’abbia contattata “anche per sentire l’altra campana”, quindi nel rispetto dell’elementare principio del contraddittorio. Inoltre definisce quanto meno curioso che “notizie” del genere escano a otto anni di distanza e quando il suo partito veleggia nei sondaggi intorno al 18%. “La notizia è inventata – ribadisce- e devo pensare che gli inquirenti l’abbiano considerata infondata altrimenti mi avrebbero chiesto conto di una notizia che mi infanga e mi chiedo come sia possibile che una rivelazione del genere sia finita su Repubblica, senza che nessuno abbia inteso chiedermi un punto di vista”. E aggiunge: “Non faccio affari con i rom, non metto soldi nelle buste del pane”.
Troppi i sospetti che affiorano verso una rivelazione del genere, alquanto tardiva se fondata su fatti veri. Non è dietrologia pensare che, in un momento in cui la Meloni catalizza tutti i consensi degli italiani contrari al governo Draghi, probabilmente questa scoperta può servire ad appannarne un po’ l’immagine di leader indiscusso della destra. L’unica forza che si oppone al governo di emergenza costituito dall’ex Presidente della Banca centrale europea viene colpita nel momento in cui c’è bisogno di unità e le voci di dissenso possono dare particolarmente fastidio e in qualche modo destabilizzare.
In secondo luogo, la nascita del nuovo esecutivo ha mandato in frantumi il fronte giallo-rosso, facendone emergere tutte le contraddizioni, peraltro nitidamente esplose in occasione degli inutili tentativi di dar vita a un Conte-ter. Lo sfascio grillino, con le epurazioni dei dissidenti ma anche con il braccio di ferro tra i vertici pentastellati e la piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio, ha indebolito il Movimento Cinque Stelle, ormai in caduta libera nei sondaggi. In casa Pd, le dimissioni di Nicola Zingaretti hanno fatto esplodere le tensioni tra le varie correnti e messo a nudo la crisi d’identità del mondo dem. Come distogliere l’attenzione dei media da questa agonia delle principali forze di sinistra se non con l’ennesimo attacco mediatico fondato su rivelazioni giudiziarie tutte da dimostrare?
C’è chi, in queste ore, denunciando il giornalismo-spazzatura nei confronti della Meloni, evoca il “sistema Palamara”, cioè i condizionamenti che certi ambienti giudiziari eserciterebbero sulla politica per orientarne il corso. E’ ancora presto per tirare conclusioni sulla vicenda. Anzitutto bisognerà capire quanto essa monterà oppure se a breve si sgonfierà per manifesta inconsistenza. Sicuramente desta enormi perplessità il fatto che nessun magistrato abbia mai preso in seria considerazione le presunte nefandezze e i presunti reati che otto anni fa la Meloni avrebbe commesso.
E poi, un giornalismo così spregiudicato nel dare spazio, senza contraddittorio, a rivelazioni tardive e sospette tutte da dimostrare, non può definirsi giornalismo d’inchiesta rispettoso della deontologia professionale, ma solo chiasso mediatico disancorato da ogni criterio di verifica delle fonti.
Ruben Razzante
7 marzo 2021