È ora di cambiare denominazione a una ricorrenza usata da troppi per rivendicare un crudele e violento “apartheid” anagrafico
Caro direttore, sarà ora di cambiare dicitura alla Festa dell’8 marzo: qualcuno ha preso troppo alla lettera il complemento di specificazione “della donna” e l’ha immiserito a tal punto da farne la fiera della discriminazione. Come definire altrimenti la retorica andata in scena anche stavolta sui Tg e sui social ad associare la ricorrenza con la rivendicazione di un diritto “calpestato in tante parti del mondo e minacciato anche nel cuore dell’Europa”. Quale diritto? Quello “alto e nobile” di non riconoscere diritto alcuno a delle donne che hanno una grave colpa: quella di essere troppo piccole e fragili per andare in tv a difendersi o fare lobby politica per sopravvivere.
Già, perché la Festa della Donna si è ridotta per molti a megafono mediatico con cui pretendere sempre più mani libere per “fare la festa” a queste creature che stanno nel grembo materno e diventate non solo oggetto di eccidio ma di teorizzato “apartheid”. Infatti oltre alle discriminazioni etniche, politiche, religiose, sessuali siamo stati capaci di inventarci anche quella anagrafica: sotto una certa soglia di età non puoi accampare diritti!
Facciamo così allora: dalla prossima volta chiamiamola festa della “persona al femminile”, sempre che la dittatura gender lo permetta. Così sarà chiaro che è festa delle donne sì, ma anche delle bambine di qualunque età, comprese quelle che stanno nel grembo materno. Non una di meno.
09.03.2021
https://www.ilsussidiario.net/news/spillo-quando-l8-marzo-diventa-la-festa-della-discriminazione/2140824/