Sta suscitando clamore il caso della studentessa di Piacenza che avrebbe trovato biglietti aggressivi rientrando a scuola dopo aver abortito. Ma cosa è successo davvero?
Trapelano poche informazioni, ma il caso mediatico è esploso. Se ne è fatta portavoce l’Avvocathy, ovvero l’avvocato Cathy La Torre che è attivista in prima linea e maestra di comunicazione sui temi che le stanno a cuore. E il diritto all’aborto è uno di questi. È bastato un post sul suo profilo Instagram e da lì a poco tutte le maggiori testate italiane erano pronte a infiammare la polemica.
La vicenda è accennata in modo solo vago, eppure le conclusioni e le accuse sono già scolpite sulla pietra: un atto di violenza contro una ragazza che ha abortito. Emergono anche voci che raccontano una diversa versione degli stessi fatti.
Piacenza, biglietti offensivi dopo un aborto
Partiamo dal racconto appassionato e amareggiato dell’avvocato La Torre:
Cosa è successo?
In attesa di circostanziare la vicenda in modo più chiaro e approfondito, quello che viene riportato è che una ragazza sia stata vittima di offese dopo aver abortito. Accade nella provincia di Piacenza, in una scuola superiore.
Dopo un’interruzione volontaria di gravidanza una studentessa di Piacenza è tornata in classe, ma sulla porta dell’aula e nel corridoio del suo piano ha trovato appesi quattro biglietti scioccanti con l’immagine riprodotta di un feto e frasi allusive, offese irrispettose delle sue scelte. Un gesto per il quale la dirigente della scuola ha annunciato di aver avviato un’indagine interna, promettendo la massima severità nei confronti dell’autore o degli autori. da Repubblica
Le scuole sono attualmente chiuse, i ragazzi seguono le lezioni via Dad. La ragazza di cui stiamo parlando ha dei bisogni educativi speciali, è seguita da un’insegnante di sostegno e per questo frequenta le lezioni in presenza. Questo scarno ritratto della vicenda suscita alcune domande.
Ancor prima, però, va detto chiaro e tondo che l’aggressione verbale o fisica è sempre esecrabile, nei confronti di chi è più vulnerabile diventa un gesto di vigliaccheria orribile.
Qualche domanda…
La narrazione molto generica della storia presenta alcuni punti che interrogano.
Possibile che in una scuola semi-deserta i pochi studenti presenti siano proprio degli incattiviti prolife? Hanno avuto modo di preparare questi cartelli e biglietti, attaccarli in giro, e il personale presente non si è accorto di nulla prima del rientro della ragazza?
Si sapeva davvero in giro che la ragazza era incinta e sarebbe andata ad abortire in un giorno preciso? Insomma: c’è stato un piano calibrato al millimetro per ferirla nel momento più doloroso della sua vita?
Emerge un altro possibile orizzonte di intepretazione dei fatti, anche questo tutto da appurare, in base a cui quei cartelli fossero già presenti nella scuola e non siano stati fatti ad hoc per ferire la ragazza.
La battaglia della vita
Scorrendo i tantissimi commenti sotto il post di Cathy La Torre ne spicca uno fuori dal coro, che parla di un fraintendimento radicale della vicenda e anzi di una mistificazione della realtà.
Anche in questo caso non siamo nel campo dei fatti, ma di un’opinione espressa su un canale social. Questa lettura dei medesimi eventi racconta una trama diversa: un progetto di scienze dedicato alla vita (svolto in una forma che può essere constestabile o meno) e nessun attacco diretto alla ragazza, la quale però vedendo quelle immagini dopo la sua scelta di porre fine alla gravidanza ne è stata colpita in modo doloroso.
Questa voce potrebbe essere solo un tentativo di “aggiustare le cose”. Ma provando a rileggere il post dell’avvocato La Torre alla luce dell’ipotesi appena proposta ci si rende conto di come sia scritto molto bene per dire molto più di ciò che dice. In effetti in nessun punto è stato esplicitamente detto che quei biglietti sono stati creati apposta contro la ragazza. Lei “si è ritrovata” quei biglietti, potevano dunque già essere lì. Eppure le deduzioni che ora campeggiano sui titoloni dei giornali sono ben altre: i prolife hanno aggredito una ragazza che ha abortito.
La vita a scuola
Può essere che tutto questo clamore abbia come reale intento quello di togliere dalla scuola ogni discorso sulla vita?
Vale la pena ricordare qual è l’orizzonte reale sul tema dell’aborto nel nostro paese. Pochi giorni fa su diverse testate si poteva leggere un profondo sdegno verso la notizia che gli obiettori di coscienza sono in aumento. E chi lavora nelle scuole sa bene quanto sia impossibile proporre percorsi di educazione alla vita e quanto invece siano benvenuti i catechismi su contraccezione e aborto. Si parla di diritti, ma è evidente che l’altoparlante più chiassoso è in mano a chi si batte per il diritto di sopprimere le vite nel grembo.
Viene dunque il dubbio lecito che il “caso della ragazza di Piacenza”, dovutamente sfumato su certi dettagli fondamentali, possa essere l’ennesimo cavallo di Troia per conquistare il fronte molto vulnerabile della scuola. E’ lì che il tema della vita è davvero scabroso, tra gli adolescenti.
Usare le persone
In tutto ciò, quello che conta davvero è ai margini: come è arrivata quella ragazza alla scelta dell’aborto? Come sta ora? Chi le è accanto? Queste non dovrebbero mai essere le domande di un interrogatorio ma di una compagnia sincera.
La cosa peggiore di questi casi mediatici è che rinfocolano la menzogna più grande di tutti, cioé che ci sia una battaglia. Fronte aborto vs fronte pro life. Quando il tema più umano possibile viene rinchiuso in un recinto del genere, la sconfitta è garantita a tutti.
Chi conta davvero sono le tante “ragazze di Piacenza” che non devono essere usate come armi per infliggere un colpo al fronte nemico. Di fronte a una donna che affronta una gravidanza difficile non ci sono schieramenti, perché lei non e suo figlio non sono pedine.
Dovrebbe esserci l’urgenza di farsi presenza accanto a lei, senza offrirle un catechismo bigotto e senza neppure metterle in mano alla svelta scorciatoie chimiche. Non è una “vittoria” se abortisce. Non è una “vittoria” se tiene il bambino. Il punto non è neppure la scelta di una donna: di ben più grande importanza è stare con lei, prima durante e dopo. Esserci lì dove il buio della solitudine fa male.
E non è mai una faccenda da tifoserie. Il gergo della guerra e gli slogan faziosi – da entrambe le parti – ci restituiscono un’immagine pessima dell’umanità.
Bisognerebbe accendere un gran bel falò con quelle grandi paginate che non bramano altro che scaldare gli animi per inasprire le tinte del scontro prochoice vs prolife. Divide et impera è un motto diabolico. Lo potremmo anche declinare nel più contemporaneo discute et impera.
Mentre tante energie si spendono per suscitare il clamore mediatico, c’è chi esce sconfitto e disperato da un dramma reale. Come nel caso del Re Salomone, la scelta è facile per chi sa qual è la posta in gioco. Possiamo serenamente fare a meno dei dibatti, se rischiano di distrarci dalle presenze che stanno a un passo da noi.
26/03/21
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