Esce in questi giorni, nella collana di Politica diretta da Dario Antiseri per la casa editrice Rubbettino, l’ultimo libro di Corrado Ocone: “Salute o libertà. Un dilemma storico-filosofico” (pagine 131, euro 14). Il volume si presenta come un excursus attraverso autori e momenti della storia del pensiero, da Machiavelli e Hobbes fino a Foucault.. Anticipiamo qui una parte relativa alle politiche con cui è stata affrontata la recente emergenza da Covid-19.
In Tempetes microbiennes, un volume del 2013, il pensatore francese Patrick Zylberman, con molta intuizione e prendendo spunto da qualche caso concreto, ha descritto il processo attraverso il quale, a suo modo di vedere, la sicurezza sanitaria, che era stata da sempre una preoccupazione dello Stato welfaristico, si sarebbe avviata a diventare sempre più centrale nelle politiche statuali e internazionali. Per governare le politiche della salute a livello collettivo e non semplicemente individuale, cioè di “popolazioni” per usare un’espressione foucaultiana, i governi saranno, a suo dire, propensi sempre più a mettere in essere politiche di biosicurezza radicali. Esse faranno riferimento, simulandolo, allo “scenario del caso peggiore” (worst case scenario). Solo in questo modo si potrà infatti avere una discreta sicurezza di non essere inefficaci di fronte a un virus o a una malattia, anche solo virtuale
Ciò comporterà, come corollario, in modo più o meno consapevole, l’instaurazione di una sorta di “terrore sanitario” in cui si estrinsecherà la nuova razionalità (bio)politica. Zylberman aveva anche previsto l’instillazione nei cittadini di una sorta di civismo, con tanto di conformistica approvazione, o al contrario sanzione sociale. In sostanza quel sistema di governo dell’emergenza, suffragato dalla più parte dei mezzi di comunicazione, che abbiamo visto all’opera, quasi come una sorta di “esperimento” sociale, nel periodo dell’emergenza pandemica. Un sistema per cui, con il supporto più o meno scientifico di esperti sanitari in evidente conflitto d’interesse, si veniva colpevolizzati per ogni azione che in modo anche solo presunto potesse “attentare” alla salute e sicurezza pubblica. Una religione della sicurezza e salvifica con tanto di ritualità (mascherine, “distanziamenti”, erogazione di insignificanti bollettini medici giornalieri…) e con la ricerca ossessiva di un capro espiatorio da additare ai più per “educarli” ai “giusti” comportamenti (i runner, i giovani in discoteca…). In sostanza, il classico, ma potenziato, Stato etico, ora sub specie sanitaria. Come aveva già osservato Zylberman, il diritto alla salute diventa obbligo (morale ma poi anche giuridico) alla sicurezza (dalla health safety alla biosecurity). Una tipica politica di controllo e disciplinamento sociale, nei termini di Foucault.
La suddetta politica di controllo e disciplinamento esiste effettivamente? È intenzionale o una conseguenza di fatto? Ed è diretta al mero dominio, o anche a un dominio indirizzato verso certi fini o non altri?
Che si tratti di una ipotesi che abbia una sua plausibilità, e comunque di una tesi che costituisca oggetto di dibattito, lo ammette anche Gustavo Zagrebelsky, pur contestandola, in un suo saggio recente. La sua tesi è che la “nuova razionalità politica” emergente sia collegata alla crisi della democrazia. Ne sia causa e risposta insieme. La crisi della democrazia dipende dall’emergere di forti e continue emergenze che creano disagio ma non sono governabili a sufficienza con le forme classiche della legittimità democratica. Queste ultime sono risultate sempre più insufficienti per garantire il governo della società (…). Che la democrazia sia in crisi, e che il sistema di potere usi leggi e decreti di emergenza per raggiungere i suoi scopi, è una tesi su cui convergono in molti autori, sia critici “da sinistra” sia “da destra” della società attuale. Il giurista torinese pensa soprattutto ai primi, come si evince dal riferimento che fa al «capitalismo selvaggio» e al «disagio sociale», ma l’avanzare dei movimenti anticasta è stato un fenomeno predominante, in questi ultimi anni, anche “a destra”. Come è noto, quello della crisi della democrazia, ma meglio sarebbe dire della democrazia liberale classica (costituzionale, rappresentativa), è un tema che ha generato, negli ultimi anni, una vasta e copiosa letteratura scientifica (spesso di maniera e a volte persino banale). Questa crisi comporta, in nome della governabilità e della rapidità, efficienza e efficacia delle azioni politiche, una messa in discussione delle forme e del potere delle istituzioni dello Stato di diritto. Essa comporta anche un ridimensionamento del ruolo del Parlamento (che è la più classica istituzione borghese e di controllo). In Italia, ad esempio, si è assistito progressivamente ad un ricorso sempre più massiccio da parte dell’esecutivo ai decreti legge, i quali fra l’altro sono stati gonfiati con emendamenti di ogni tipo. Con l’emergenza si è fatto un ulteriore passo avanti, con l’introduzione e uso dei cosiddetti Dpcm.
Ora, l’idea è che, per usare strumenti di questo tipo, anche in tempi “ordinari” si debba prorogare quanto più possibile l’emergenza, oppure “crearla” proprio; significa che le “emergenze” sono per lo più fittizie e che un classico esempio di fictio juris è anche la risposta che si dà ad esse. Anche se, d’altro canto, stando al paradigma beckiano, l’emergenza è permanente, un dato strutturale delle nostre società globali. Frasi come “approfittare del Covid non per tornare allo status quo ante ma per fare le riforme strutturali di cui abbiamo bisogno” sono significative da questo punto di vista. Oltre a una eccessiva dose di costruttivismo sociale, una frase del genere contiene di fatto una volontà di controllo del potere non indifferente.
Fonte: l’Occidentale
27 Marzo 2021
di Corrado Ocone.