Le guerre e i conflitti diplomatici, l’immigrazione, l’aspetto religioso. È un inizio zoppicante quello del presidente americano
Le immagini del presidente Joe Biden inciampando tre volte sui gradini dell’Air Force One diretto ad Atlanta, sono paradigmatiche per raffigurare non tanto il suo precario stato psico-fisico, come è stato più volte evidenziato durante la campagna elettorale, quando i primi inciampi di un presidente osannato come colui che doveva condurre gli Stati Uniti ed il mondo ad una nuova era di pace e globale e fratellanza universale. Le immagini trasmesse in tv dalla Joint Base Andrews nel Maryland hanno fatto il giro del mondo e ora sono diventate virali sul web.
A soli sessanta giorni dal suo insediamento, avvenuto il 20 gennaio, il presidente 78enne si è reso protagonista di tre gravi incidenti di cui i tre inciampi sull’Air Force One sono ora una plastica rappresentazione. Una personalissima “vis crucis” per chi appena due mesi fa riceveva all’unanimità, dai media di tutto il mondo, un’accoglienza “messianica” come sottolineato nel suo libro il teologo italiano Massimo Faggioli sostenitore entusiasta e laudatore del “secondo presidente cattolico” della storia degli Stati Uniti d’America. Per Faggioli infatti quella di Biden è «una presidenza che suscita attese politiche ma anche religiose, persino salvifiche» perché a lui tocca «curare le ferite morali e corporali inflitte all’America da Trump, dalla pandemia e dalla globalizzazione». Biden infatti – prosegue il professore della Villanova University – incarna un cattolicesimo esperto in umanità, animato da valori di solidarietà, compassione e dignità umana”.
Eppure i primi inciampi del Presidente più amato del mondo dovrebbero destare qualche seria preoccupazione anche tra i suoi più convinti sostenitori.
Biden cade per la prima volta
Il primo inciampo di Biden riguarda il tema più caldo e più urgente del panorama politico, quello della guerra e dei conflitti diplomatici internazionali. Il suo predecessore è stato da subito etichettato come il governante più violento e pericoloso del globo, colui che avrebbe presto portato il mondo ad una guerra nucleare. Si parlava di un leader egolatra (qualcuno ha parlato di una qualche forma di malattia mentale) con una violenza verbale traboccante che presto si sarebbe tramutata in un doloroso conflitti bellici internazionale.
Eppure, «Trump – ha osservato Paolo Guzzanti sulle colonne de Il Riformista – ha inondato il mondo di parole, ma non di bombe», ordinando persino il ritiro di molte truppe dai fronti mediorientali (dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iraq e dalla Somalia) e più di seimila soldati dall’Europa.
Ebbene, a poco più di trenta giorni dal suo insediamento il presidente cattolico-democratico Joe Biden ha aperto il fuoco contro la Siria. Una tempistica straordinaria che rappresenta una sorta di record visto che erano quattro anni che gli Usa non colpivano nel Medio Oriente già sufficientemente destabilizzato dai bombardamenti Clinton, Bush e Obama (Premio Nobel per la Pace 2009).
L’attacco contro una base iraniana ha provocato ben 17 morti. Il portavoce della Pentagono, giustificando i raid come una risposta adeguata agli attacchi ricevuti dalle armate Usa, ha affermato: «Su ordine del presidente Biden, le forze militari statunitensi hanno condotto raid aerei contro infrastrutture utilizzate da gruppi militanti filo iraniani nell’est della Siria».
Per quanto riguarda la diplomazia internazionale durante il mandato di Trump (colui che pensava agli interessi degli americani) i rapporti tra gli Usa e le grandi potenze sono stati a volte tesi ma cordiali, come dimostra lo storico incontro e la stretta di mano col dittatore nordcoreando Kim Jong-Un (despota liberticida a cui la stampa mainstream guarda con benevola tenerezza e curiosità). Al contrario al buon Biden sono bastati venticinque giorni per portare alle stelle la tensione tra la Casa Bianca e Cremlino definendo il leader russo Putin un “assassino”. Putin, per tutta risposta, ha augurato “buona salute” al presidente democratico-pacifista, ma ha anche richiamato l’ambasciatore russo Anatoli Antonov da Washington e definito l’attacco di Biden “un attacco a tutta la Russia”.
Biden cade per la seconda volta
Un secondo inciampo è quello riguardante l’immigrazione, uno dei temi politici più divisivi e controversi degli ultimi anni. Per quattro anni il presidente Trump è stato accusato di respingere i migranti con l’uso della forza, di tenere reclusi i minori in specifici centri di detenzione e di aver costruito il muro alla frontiera col Messico, un lavoro iniziato nel 1990 da Bush padre e ampliata ininterrottamente finanche dal Premio Nobel per la Pace Obama, ma che costò a Trump una scomunica non ufficiale da parte di Papa Francesco (“Non è cristiano”).
Di fronte a questo panorama Biden veniva dipinto come il presidente dei migranti, degli stranieri e delle minoranze etniche, capace di spalancare le porte degli USA a tutto il Sudamerica. Un presidente di “ponti” e non di “muri”. Eppure i dati sono sconfortanti sia per tutti coloro che hanno creduto nel sogno di un’America senza frontiere.
«L’ondata migratoria ha messo in seria difficoltà i piani dell’amministrazione, che aveva promesso una politica migratoria più umana e rispettosa dei diritti rispetto a quella di Donald Trump» (Il Post, 22/03/2021).
Con l’amministrazione Biden l’immigrazione si è triplicata: nei primi due mesi del 2021 hanno attraversato il confine quasi 200mila persone. Secondo il Los Angeles Times il 2021 potrebbe diventare l’anno con più arrivi degli ultimi due decenni.
Grazie alle promesse di Biden gli arrivi di minori e bambini non accompagnati si è alzato esponenzialmente, di questi molti dreamers sono ora reclusi al confine col Messico (14 mila circa) mentre il presidente implora ai sudamericani di non abbandonare le proprie comunità. Un bel guaio per il presidente che ora è costretto ad mettere in atto le misure del suo predecessore (condannate fino a ieri dai media di tutto il mondo): espulsioni, rimpatri, detenzioni. Ma tutto in maniera gentile e più umana.
Biden cade per la terza volta
Terzo scivolone di Biden (forse il più fragoroso, guardando le immagini) riguarda l’aspetto religioso. Il presidente è stato acclamato come cattolico democratico in piena sintonia con il pensiero e il messaggio di Papa Francesco. A questo riguardo, nei giorni della sua elezione, il gesuita Antonio Spadaro faceva notare con particolare entusiasmo la foto del Papa Francesco sul comodino del neo presidente.
Pacifista, dialogante, di aperte vedute, Biden è stato acclamato come il vero “cristiano adulto” che incarnava i valori evangelici e che staccava in devozione i persino i vescovi americani, troppo bacchettoni, troppo legati a Giovanni Paolo II, troppo concentrati sui temi morali come la difesa della vita, l’aborto e il gender. Presentato come un cattolico modello, un cattolico bonario e sincero, dotato di buona dose di discernimento adatto a governare con sapienza come il Re Salomone.
In realtà quella di Biden è uno strana forma di cattolicesimo “à la page”, quel cattolicesimo fluido, disinteressato si temi morali, concentrato su quelli sociali, ossessionato dai cosiddetti diritti civili, dall’ecologia e dalle battaglie LGBT+ che ha fatto sue in campagna elettorale eccitando una folla già sufficientemente delirante.
Un segnale forte lo ha dato con la nomina del pediatra Rachel Levine a vice-segretario per la salute: il primo funzionario federale apertamente transgender nel governo statunitense.
Ma proprio su questo tema si è venuto a creare il primo attrito tra Biden e il Vaticano che ha accolto con soddisfazione la sua elezione. Biden non sembra aver gradito la risposta della CDF sul quesito riguardante le benedizioni delle coppie omosessuali. Mentre le il Vaticano questo tipo di benedizioni sono “illecite” lo staff del presidente cattolico, nella figura dell’addetto stampa Psaki (anche lui a suo modo cattolico devoto) ha detto che Biden «continua a credere e sostenere le unioni dello stesso sesso. Ha da lungo tempo questa posizione».
Sul tema dell’aborto, si sa, il presidente Biden ha posizioni opposte a quelle del suo predecessore e a quelle della Chiesa cattolica. Ne ha dato prova il primo giorno dopo la sua elezione quando ha prontamente firmato l’inversione di rotta rispetto alle politiche che vietavano i finanziamenti degli aborti all’estero.
Un ultimo passo falso sul cattolicesimo bideniano non riguarda la sua persona ma quella del suo entourage spirituale. Mentre i vescovi americani hanno da subito messo in guardia Biden riguardo alle sue politiche contro la vita e a favore dell’ideologia LGBT, il presidente ha ottenuto il sostegno dei gesuiti americani. Non certo quelli della Ignatius Press, ancora troppo cattolici per mettersi a fare il tifo per un politico, ma quelli della Rivista America di James Martin e quelli delle Università che contano come la Santa Clara University nella Silicon Valley in California.
Proprio il suo preside, il sacerdote gesuita Kevin O’Brien amico di lunga data della famiglia Biden, ha presieduto a Washington la Messa di inaugurazione del mandato Biden-Harris prima della cerimonia di insediamento.
Ora padre O’Brien è sotto inchiesta per presunti comportamenti scorretti in quanto accusato di aver «mostrato comportamenti in contesti per adulti, costituiti principalmente da conversazioni, che potrebbero essere incoerenti con i protocolli e i confini stabiliti dai gesuiti».
Così ha scritto John M. Sobrato presidente del consiglio di amministrazione dell’ateneo in un comunicato mentre i gesuiti hanno avviato un’inchiesta interna. Il sacerdote è un «leader gesuita ampiamente riconosciuto a livello nazionale» e la sua amicizia con Biden ha contribuito a fomentarne la fama.
Un altro episodio sgradevole per Biden che contribuisce a gettare ombra su un mandato che in tre mesi è nel pieno di una personale via crucis che rischia di continuare nei prossimi mesi e anni di mandato. Se questo contribuirà ad aprire gli occhi dei ciechi… “Felice colpa!”.
Miguel Cuartero Samperi
1 aprile 2021