Non si vede ancora l’auspicato cambio di passo nella gestione Draghi della pandemia, anzi i divieti sembrano aumentati e perfino rafforzati. Le riaperture timidamente annunciate potrebbero non essere sufficienti per salvare migliaia di aziende prossime al fallimento, ma soprattutto l’esasperazione di intere categorie e di milioni di cittadini ha ormai raggiunto livelli di guardia.
La beffa è che, parallelamente, stanno emergendo le responsabilità di chi per un anno ha guidato il Paese nelle decisioni più importanti riguardanti l’emergenza sanitaria e probabilmente lo ha fatto senza avere le idee chiare o addirittura commettendo reati. Un avviso di garanzia in uno Stato di diritto non vuol dire nulla e il garantismo impone di sospendere il giudizio sull’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, che sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Roma per peculato nell’affare delle mascherine. Si tratta di un reato che è punito dalla legge con il carcere fino a 10 anni e mezzo. A darne notizia è il quotidiano La Verità, che però, pur sottolineando che l’accusa è contenuta nel fascicolo sulle forniture di mascherine, non indica in modo circostanziato quali sarebbero gli episodi specifici che avrebbero portato all’accusa. Per di più il diretto interessato replica di non saperne nulla e dunque di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia, quindi di “non avere notizia di quanto riportato dal suddetto quotidiano”. Non è la prima volta che i giornali ricevono soffiate del genere, ma nella sostanza quanto viene anticipato da qualche testata poi viene a galla subito dopo. Le prossime ore, in questo senso, saranno rivelatrici della fondatezza o dell’inconsistenza di tali informazioni.
Secondo il quotidiano di Maurizio Belpietro, il reato di peculato sarebbe contestato anche ad Antonio Fabbrocini, che è stato uno stretto collaboratore di Arcuri e il responsabile unico del procedimento per l’acquisto di 801 milioni di mascherine da tre diversi consorzi cinesi. Per questo acquisto, gli intermediari hanno ricevuto, secondo la Procura, provvigioni per 72 milioni di euro (finendo indagati per traffico di influenze); Arcuri ha però sempre negato di essere a conoscenza delle maxi-commissioni, sostenendo invece attraverso il suo ufficio stampa di essere stato “oggetto di illecite strumentalizzazioni” da parte degli intermediari. Già a novembre la Procura aveva iscritto sul registro degli indagati Arcuri e Fabbrocini, ma dopo qualche settimana aveva chiesto l’archiviazione della loro posizione. E ora, secondo La Verità, i pm avrebbero deciso di contestare il nuovo reato. Nell’inchiesta sarebbe coinvolto anche l’ex giornalista Rai, conoscente di Arcuri, Mario Benotti.
La vicenda è alquanto torbida e andrà chiarita, a beneficio dei contribuenti italiani, che hanno il diritto di sapere se sono stati commessi degli illeciti nell’utilizzo di risorse pubbliche, tanto più in una fase così difficile per il Paese, anche sul piano strettamente economico. L’amministratore delegato di Invitalia, deus ex machina, uomo pressochè onnipotente che si è occupato per un anno di camici, respiratori, mascherine, altri dispositivi anti-Covid, banchi a rotelle, vaccini, terapie intensive e perfino di risanamento dell’ex Ilva, dovrebbe spiegare nei dettagli, non solo all’autorità giudiziaria qualora richiesto, ma anche ai cittadini italiani, se si tratti soltanto di voci oppure se siano stati commessi reati o anche solo leggerezze nella cura di dossier così decisivi per le azioni di contrasto alla pandemia. Forse Mario Draghi immaginava che potessero addensarsi nubi sul suo operato e ha giocato d’anticipo defenestrandolo?
Nonostante Arcuri non sia più il supercommissario al Covid, è fondamentale andare fino in fondo in queste inchieste che potrebbero svelare particolari agghiaccianti sulla eventuale prevalenza di interessi personali o aziendali nella gestione recente delle pratiche più delicate della vicenda Covid.
Altri nodi che si aggrovigliano sono quelli riguardanti il direttore aggiunto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ed ex direttore generale della Prevenzione al Ministero della Salute, Ranieri Guerra, indagato nell’inchiesta della Procura di Bergamo sull’applicazione del piano pandemico nazionale dopo l’allarme sul rischio pandemia globale lanciato dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità il 5 gennaio 2020. Il reato contestato dai magistrati è false informazioni rese ai Pm come persona informata sui fatti durante l’audizione sul piano pandemico, che risale allo scorso 5 novembre. L’inchiesta riguarda la gestione del Covid nella Bergamasca nel corso della prima ondata Covid. Il piano pandemico risale al 2006 e non fu aggiornato nel 2017 come previsto, se non con un’operazione di copia e incolla di passaggi del documento precedente. L’ex funzionario dell’Oms, Francesco Zambon, ha denunciato di avere subito pressioni per postdatare il piano, facendolo così sembrare aggiornato.
La giustizia farà il suo corso, come è giusto dire in questi casi, ma la domanda alla quale prima o poi qualcuno dovrà dare una risposta è la seguente: queste azioni alquanto discutibili, delle quali andrà accertato l’eventuale rilievo penale, coinvolgono ai massimi livelli anche il governo precedente? Il premier Giuseppe Conte e il Ministro della Salute, Roberto Speranza, erano a conoscenza di tutti questi intrighi? Conte ora non ha più ruoli istituzionali, ma Speranza è rimasto al suo posto e continua a decidere, in sinergia con il Comitato tecnico-scientifico, divieti, restrizioni e misure anti-Covid che incidono quotidianamente sulle vite di cittadini, famiglie e imprese. E’ ora di fare chiarezza, visto che finora la trasparenza è mancata.
Ruben Razzanti
12.4.21