Con 25 milioni di italiani vaccinati l’indice di contagiosità del virus risulta sempre meno efficace nel misurare il rischio della ripresa dell’epidemia. Verso una nuova mappa dei colori
È l’ultimo complicato dilemma degli scienziati ma, come tanti che li hanno interrogati negli ultimi mesi, ha molto a che vedere anche con la vita reale delle persone. Serve ancora l’Rt? Ha senso calcolarlo (e desumerne decisioni) se a ogni giorno che passa mezzo milione di italiani o quasi viene vaccinato? E, se effettivamente fosse sostituito, quale altro parametro ci permetterebbe di tenere il polso dell’epidemia mentre cerchiamo di ritornare alla normalità?
Intanto serve capirsi. L’Rt, ovvero l’indice di replicazione (o contagiosità) del virus, è materia da statistici: viene calcolato con complicati algoritmi, per altro variabili in base alle curve e ai tempi presi in considerazione, grazie a cui alla fine viene quantificato il numero di persone che ogni positivo al Covid è in grado di infettare in relazione alle misure restrittive introdotte. Un dato fondamentale, anche se per scelta degli esperti del Cts calcolato da sempre sulla settimana precedente alle effettive decisioni prese poi dalla Cabina di regia sui colori delle Regioni: quando è superiore a 1 (quando cioè una persona infetta ne contagia più di un’altra) l’epidemia è in fase ascendente e serve chiudere, quando è inferiore all’1 è in fase calante e si può riaprire. Questo il ragionamento, e la strategia, adottati finora. Con successo, per altro: zone rosse e arancioni hanno ciclicamente tamponato le emergenze, in un sistema che di fatto non ci ha mai portati davvero al collasso nonostante la virulenza sia della seconda che della terza ondata.
Le cose, però, ora sono cambiate. Con quasi 17 milioni di italiani vaccinati con una dose (il 28% della popolazione) e 7 milioni e mezzo con due (il 12,6%), e con altri 4 milioni che il Covid l’hanno avuto e sono guariti, la platea di persone “contagiabili” si è fortemente ridotta. Difficile quantificare con precisione (tra i guariti ci sono dei vaccinati, i vaccinati a una dose sono meno protetti che quelli con due), ma fatte 100 persone e messo in mezzo a loro un positivo, si potrebbe tranquillamente calcolare che almeno in 30 non correrebbero rischi. O meglio: pochissimi rischi di contagiarsi; quasi nessuno di ammalarsi gravemente e occupare posti letto negli ospedali.
Il monitoraggio della settimana scorsa ha dimostrato la situazione plasticamente: Rt in crescita (allo 0,89), ma incidenza di casi su 100mila abitanti in calo (a 127). Come dire, la teoria che si scontra con la realtà. E questo non perché il virus abbia perso la sua capacità di replicazione, gli esperti lo stanno ripetendo ormai da giorni, ma piuttosto perché si replica molto meno nelle fasce d’età più a rischio (ora protette) e molto di più tra i giovani e i giovanissimi (ancora non vaccinati), che tendenzialmente risultano asintomatici e più difficilmente individuabili e conteggiabili. Sullo sfondo, un dato incontrovertibile: il calo costante dei ricoveri e quello graduale (anche se ancora non consistente) dei morti. Segno che se il virus c’è, e c’è ancora eccome, fa molto meno male.
Ed eccoci al nodo del dibattito di queste ore: da una parte le Regioni, che invocano sempre più riaperture e che temono che l’Rt possa penalizzarle riportandole in arancione o in rosso nonostante gli ospedali si stiano di fatto svuotando. Possiamo avere più contagiati, questo il ragionamento dei governatori, ma se non abbiamo più ricoverati e malati e se il sistema sanitario non è in affanno non si può tornare a soffocare l’economia. Dall’altra governo e autorità sanitarie, ancora prudenti nel cantar vittoria sull’epidemia (si veda la decisione ancora rimandata sull’abolizione del coprifuoco).
In mezzo, il compromesso sempre più promettente dell’Rt ospedaliero: un parametro di altrettanta complicata comprensione ai più, che sempre in linea teorica dovrebbe misurare l’impatto della curva dei ricoveri.
Il Cts per ora è diviso: una parte degli esperti ritengono il parametro dei ricoveri effettivamente più ficcante per determinare il rischio di una ripresa dell’epidemia (e per decidere eventuali, nuove restrizioni), un’altra vorrebbe mantenere validi i vecchi 21 parametri (Rt compreso) ancora qualche settimana. Una decisione potrebbe arrivare già nelle prossime ore: Istituto superiore di Sanità (Iss) e tecnici delle Regioni sono al lavoro sul possibile nuovo modello di valutazione del rischio del contagio, che domani dovrebbe essere esaminato nell’incontro tra Governo e Regioni. Sul tavolo ci sarebbe la revisione di due indicatori: l’Rt ospedaliero appunto, e l’incidenza dei casi di infezione da Covid. Il passaggio in zona ad alto rischio avverrebbe se il livello di occupazione di area medica ospedaliera e area intensiva arrivasse rispettivamente al 30% e al 20% (ora i limiti sono fissati al 40 e al 30). Tre le fasce di incidenza: quella a maggior rischio sarebbe fissata a partire da 150 casi su 100mila persone.
Viviana Daloiso
11 maggio 2021
Avvenire