La celebrazione della giornata contro l’omofobia è l’occasione per rendersi conto che, con la scusa del ddl Zan, vogliono farci omologare tutti a un unico tipo di pensiero
Dieci anni fa, Roger Scruton aveva già capito tutto: «In tutte queste cause in cui gli ottimisti accusano gli oppositori di “odio” e “discorso dell’odio” ci vedo quella che il filosofo Michael Polanyi nel 1963 definì “inversione morale”: se deplori il welfare manchi di “compassione”; se ti opponi alla normalizzazione dell’omosessualità sei un “omofobo”; se credi nella cultura occidentale sei un “elitista”. L’accusa di “omofobia” significa fine della carriera, specie per chi lavora all’università».
Ieri è stata la giornata contro la omotransfobia, ma sarebbe meglio dire della “retorica sull’omofobia”, con gran sfoggio di luoghi comuni sul tema a partire della tre testate – Repubblica, Espresso e Stampa – apparse con i colori arcobaleno sui loro siti internet.
Sesso, razza, religione, genere
«Non conformatevi alla mentalità di questo mondo», diceva san Paolo ai romani, mentre qui è tutta una corsa e un invito a “conformarsi” il più possibile, a omologarsi, a entrare nel gruppo e nel gregge.
Ancora lo Scruton del 2013:
«Le frasi della neolingua suonano come asserzioni in cui la sola logica sottostante è quella della formula magica: mostrano il trionfo delle parole sulle cose, la futilità dell’argomentazione razionale e il pericolo di resistere all’incantesimo».
«Un sistema ragguardevole di etichette semi ufficiali sta emergendo per prevenire l’espressione di punti di vista “pericolosi”. La minaccia si diffonde così rapidamente nella società che non c’è modo di evitarla. Quando le parole diventano fatti, e i pensieri sono giudicati dall’espressione, una sorta di prudenza universale invade la vita intellettuale. La gente modera il linguaggio, sacrifica lo stile per una sintassi più “inclusiva”, evita sesso, razza, genere, religione. Qualsiasi frase o idioma che contenga il giudizio su un’altra categoria o classe di persone può diventare, dal giorno alla notte, l’oggetto di una stigmatizzazione».
Conformismo sociale
È l’«identity politics, il vero oppio dei popoli» di cui ha scritto Carl R. Trueman su First Things. Partendo da un altro punto di vista e commentando i casi dei tre professori Gervasoni, Bassani e Gozzini, in un’intervista all’Huffington Post anche il politologo Giovanni Orsina arriva a parlare di questa pericolosa tendenza a mortificare il linguaggio e le opinioni dissenzienti.
«Si tenta di riportare ordine non più attraverso le regole politiche, ma attraverso il conformismo sociale e culturale. Una deriva pericolosa perché in questo modo portare avanti una battaglia è impossibile. Come risulta sempre più evidente nelle università americane».
Il problema, nota Orsina, è che
«procedendo in questa direzione, nessuno potrà più dire nulla sugli stili di vita degli altri perché li offende. Si sta imponendo il criterio distorto per cui devo rispettare il modo di essere di un altro al punto che non posso neanche criticarlo. Ma questo porta a una società costituita da tante bolle separate ed è profondamente illiberale».
I tre regalini del ddl Zan
Il tema riguarda soprattutto la sinistra, come nota un uomo “di sinistra” come Luca Ricolfi che, parlando del ddl Zan, dichiara in un’intervista alla Verità:
«Il ddl Zan è una estensione della legge Mancino, di cui condivide la debolezza fondamentale: l’incapacità di distinguere fra parole che concretamente minacciano le persone o lo Stato, e parole che si limitano a ledere la sensibilità di individui e gruppi. Con in più tre regalini niente male: la rieducazione dei reprobi, in perfetto stile maoista (art. 5); l’indottrinamento degli scolari (art. 7); il finanziamento permanente, con 4 milioni annui, delle associazioni Lgbt presso cui i reprobi potrebbero essere rieducati».
La sinistra è l’establishment
Sia per Ricolfi che per Orsina è nel campo progressista che si muovono queste tendenze liberticide.
Per Orsina perché
«col marxismo la sinistra vedeva nell’economia il luogo del cambiamento. Con la crisi del marxismo, a partire dagli anni ’60, anziché attraverso l’economia la sinistra ha pensato di poter cambiare il mondo attraverso la morale e il linguaggio».
Per Ricolfi perché
«la libertà di espressione è stato sempre un tema di sinistra, e la censura una tentazione della destra conservatrice e bacchettona. Oggi è il contrario, ma è logico: perché ci sia censura, occorre un establishment, e oggi l’establishment è la sinistra».
Redazione 18 maggio 2021