Il 9 febbraio è la data scelta per la Giornata nazionale degli stati vegetativi, istituita per ricordare Eluana Englaro e le persone in stato di minima coscienza. Eluana ritorna al cuore perché non l’abbiamo mai lasciata andare via. Le forbici del tempo non hanno reciso il suo volto. Siamo convinti che il modo migliore per parlarne è accennare a quanto in questi nove anni Eluana ha rivelato nell’intimo delle nostre coscienze.
Nessuno uccida una persona inerme. Nessuno ha il diritto di imporre un omicidio. Tutti abbiamo il dovere di opporci; sempre, senza eccezioni. Il fatto che vi siano tanta confusione e tanto dolore non cambia in nulla questi imperativi. Anzi, li rende più stringenti per chi, immeritatamente, vede ancora qualcosa dello splendore del vero attraverso il fumo della dittatura del relativismo. La testimonianza si rende qui e ora. Si risponde a Dio e alla propria coscienza. Ora.
Onu, singoli Stati, organismi e istituzioni di qualsiasi tipo e giurisdizione, magistratura, medici, familiari, tutori, garanti, e così via… nessuno ha il diritto di uccidere. Non può tantomeno esistere un dovere ad uccidere per “un’idea di giustizia”. Don Luigi Giussani, raccontando l’episodio dello scambio fra uno dei “condannati” nel lager e San Massimiliano Kolbe, sottolineò: “Se Hitler fosse stato lì in quel momento, non avrebbe certo premiato quel capitano… il capitano tedesco aveva applicato un’idea di giustizia che non era quella di Hitler”. Uccidere per “un’idea di giustizia”.
Eluana ci ha parlato in questi anni, ci ha cambiato. Ce ne siamo resi conto da come non abbiamo potuto tacere dinanzi al sacrificio del piccolo Charlie Gard. Eluana ci ha reso, dolorosamente, capaci di vedere l’orrore. Per tanti quell’orrore sembra non prendere forma, sembra non avere carne e sangue. Non siamo stati migliori… semplicemente non abbiamo chiuso gli occhi, abbiamo visto. E avendo visto l’orrore abbiamo potuto vedere il miracolo: persone come le suore che hanno curato Eluana per anni e che avrebbero continuato a farlo per sempre.
Persone che con la loro vita e non solo a parole dicono: “Se avete paura del bambino, dell’anziano, del malato, di chi non ha, a vostro dire, un’accettabile qualità della vita, se considerate loro ‘best interest’ adoperarvi per farli morire il prima possibile, dateli a noi; ne avremo cura e Dio si prenderà cura di loro e di noi”.
Ecco: Eluana ci ha aperto gli occhi sul bene che c’è in questo mondo. E sul nostro compito: non tacere. E chiedere a Dio che persone come queste si moltiplichino, offrendo quel che possiamo, quel che siamo. Lui saprà cosa farne. Ci vorrebbero diecimila, centomila donne e uomini come Madre Teresa e Padre Aldo Trento e case di accoglienza come ad Asunción, dove trovano ricovero tante Eluana, tanti Charlie, Patrizia, Isaiah, Alfie, Ines… Come le suore che accudivano Eluana.
Non voler vedere è il vero dramma di chi si illude di potere disporre della vita e della morte. Sosteniamoli, impariamo da loro! Anche ve ne fosse una di Madre Teresa, un solo Padre Aldo. Perché non voler vedere è il rifiuto del bene che c’è. Un bene che in tante famiglie, silenziosamente e con sacrifici al limite del martirio quotidiano, viene amato. Per anni e anni. Nonostante l’indifferenza dello Stato, che spesso a stento passa i pannoloni… Tante famiglie! Queste persone, questi luoghi esistono!
Un grido ci sale in gola che è una preghiera: che le Eluana e i Charlie di oggi, i loro torturati e ingannati genitori e compagni possano incontrare, vedere, persone e luoghi di cura come questi. Persone che hanno la statura del loro desiderio di vita. E non solo luoghi di morte e persone, medici e giudici in primis, con cui “civilmente discutere” per “civilmente morire” e barrare una casella sul modulo delle Disposizioni Anticipate di Trattamento. Coraggio, non siamo soli! Grazie Eluana.
Pietro Gargiulo
La Nuova Bussola Quotidiana, 9 febbraio 2018