Alessandro, 39 anni, è malato di Distrofia muscolare dei cingoli da quando ne aveva 4. Grazie alla fisioterapia respiratoria è riuscito a evitare la tracheostomia. Ecco come vive.
Parlare con Alessandro è un’iniezione di ottimismo. Affetto dall’età di quattro anni da Distrofia muscolare dei cingoli, una patologia degenerativa neuromuscolare, spiega come faccia di tutto per non arrendersi e cogliere il bello che c’è in ogni giornata. Nonostante la fatica, la sedia a rotelle, l’aiuto indispensabile di un assistente nella quotidianità.
«Da piccolo non camminavo bene, non mi riusciva di correre come gli altri, avevo una grande stanchezza e non capivo il perché – ci racconta –. Poi in seconda media sono caduto, non riuscivo a stare in piedi, e mi sono reso conto della gravità della malattia. Non è stato facile accettare la diagnosi, ma ho dalla mia parte mamma, papà e una sorella che mi spronano a combattere». Nato a Palermo 36 anni fa, ha quasi sempre vissuto a Milano, dove ha studiato economia aziendale e ha frequentato un corso sul Web design. Così ha trovato lavoro e da 16 anni è assunto con mansioni di monitoraggio dei sistemi in una grande azienda di telecomunicazioni. Attualmente Alessandro è in cura presso il Centro Clinico Nemo di Milano: la distrofia provoca infatti una progressiva perdita di tessuto muscolare scheletrico e quindi una condizione generale di debolezza e compromissione delle capacità motorie, respiratorie e cardiache.
Grandi passioni, oltre la malattia
La malattia non ne ha scalfito, però, la voglia di coltivare interessi e passioni: il cinema, lo sport, il Milan, l’Olimpia basket. Ha praticato fino a un anno fa l’hockey in carrozzina. «Mi piace il rock, su tutti U2 e Ligabue, quando posso vado ai concerti». Gli amici? «Quelli delle superiori, della Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare) e alcuni volontari». Ogni estate trascorre due settimane con loro a Venturina Terme, in provincia di Livorno, non lontano dal mare. Il Comune mette a disposizione una scuola dove i disabili possono svolgere varie attività.
Oggi Alessandro ha difficoltà anche a respirare autonomamente ed è aiutato da un dispositivo che in modo non invasivo, attraverso una mascherina appoggiata sul naso, spinge l’aria verso i polmoni. Usa lo strumento circa venti ore al giorno e, grazie alle sue dimensioni ridotte, può portarlo con sé. Inoltre dedica alla respirazione una delle tre sedute settimanali di fisioterapia effettuando esercizi di respirazione polmonare per mantenere l’elasticità e mobilizzare la gabbia toracica. Tutti i giorni esegue la fisioterapia respiratoria con l’aiuto della “macchina della tosse”, strumento che permette di espellere le secrezioni dalle vie respiratorie e fare profondi respiri, importanti per ridurre il rischio di infezioni. Purtroppo la sua muscolatura non è abbastanza forte per poter farlo autonomamente e nelle situazioni critiche, come raffreddori o bronchiti, utilizza un giubbotto vibrante associandolo alla ventilazione non invasiva.
Grazie alla fisioterapia respiratoria e a questi ausili, Alessandro può evitare forme di aiuto alla respirazione invasive, come la tracheostomia, cioè la creazione di un’apertura permanente nella trachea in cui viene inserita una cannula in cui passa l’aria. Del tema si è parlato giorni fa nel corso del Convegno “Come ottimizzare la gestione respiratoria nelle patologie neuromuscolari” organizzato dal Centro Clinico NeMO, Associazione Riabilitatori dell’Insufficienza Respiratoria (ARIR) e Ospedale Niguarda. Una procedura da cui potrebbero trarre beneficio molti pazienti.
Giovanna Sciacchitano
Avvenire.it, 10 febbraio 2018