ESCLUSIVO. Terapie domiciliari precoci. Il Centro Studi Livatino: “Dubbi sull’ordinanza del Consiglio di Stato”

By 9 Giugno 2021Coronavirus

Intervista a Claudio Borgoni, avvocato cassazionista del Foro di Piacenza, che ha analizza per conto del Centro Studi Livatino l’ordinanza del Consiglio di Stato sulle cure domiciliari precoci. L’intervista è a cura di Francesco Servadio.

Diritto alle cure e responsabilità del medico. Il Centro Studi Rosario Livatino prende posizione in merito all’ordinanza del Consiglio di Stato, che il 23 aprile scorso ha accolto il ricorso del Ministero della Salute e di AIFA, contro la decisione del TAR del Lazio di sospendere la nota del 9 dicembre 2020, in cui la stessa Aifa indicava “paracetamolo e vigile attesa” come unica strada da seguire nell’approccio alla cura domiciliare contro il Covid, a seguito di un’istanza cautelare presentata al Tar dai medici del “Comitato Cura Domiciliare Covid-19” (l’approfondimento qui). Composta da giuristi di chiara fama, tra cui magistrati, avvocati, notai e accademici, l’associazione ha espresso forti perplessità sulla decisione del massimo giudice amministrativo. Ad analizzare dettagliatamente l’ordinanza del Consiglio di Stato, per conto del Centro Studi Livatino, sodalizio, costituitosi nel 2015 e dedicato alla memoria di Rosario Livatino (soprannominato il “giudice ragazzino”), ucciso dalla mafia nel 1990 e proclamato beato il 9 maggio scorso, ha provveduto l’avvocato cassazionista del Foro di Piacenza, Claudio Borgoni.

Diritto alle cure e libertà prescrittiva del medico. Avvocato, l’ordinanza del Consiglio di Stato lede questi due principi? 

Accogliendo l’appello del Ministero della Salute e di AIFA, Il Consiglio di Stato ha affermato che “la nota AIFA non pregiudica l’autonomia dei medici nella prescrizione, in scienza e coscienza, della terapia ritenuta più opportuna”. Ciò che afferma il Consiglio di Stato è corretto: il medico può in scienza e coscienza non attenersi ai protocolli e prescrivere medicinali off label, nell’interesse del paziente. Operando in questo modo, però, egli è costretto ad assumersi il rischio di rispondere civilmente e penalmente non solo delle scelte inerenti le sue prescrizioni, ma anche di ogni possibile conseguenza che possa discendere dall’evoluzione della malattia. La legge n. 24 del 2017 ha stabilito, infatti, il principio secondo il quale la responsabilità colposa del medico si fonda su una dettagliata disciplina delle linee guida all’interno delle quali individuare le raccomandazioni tendenzialmente vincolanti per gli esercenti le professioni sanitarie”.

Quindi?

“Quindi è vero che il medico è libero di prescrivere e di curare in scienza e coscienza, ma è altrettanto evidente che, se il protocollo del Ministero e dell’Aifa prescrive “paracetamolo e vigile attesa”,egli, di fatto, per curare il paziente nel modo che ritiene corretto è costretto a discostarsi dalle linee guida. In questo senso, i medici che durante la pandemia hanno curato i pazienti nelle loro abitazioni sono stati doppiamente coraggiosi, non solo perché hanno rischiato di contagiarsi, ma anche perché non hanno avuto remore nell’assumere decisioni difformi da quelle prescritte dal Ministero”.

I medici che effettuano le cure domiciliari precoci per i malati di Covid prescrivono farmaci presenti nel prontuario: perché, allora, questo continuo braccio di ferro da parte di Ministero e Aifa?

“Indubbiamente ciò che è accaduto e che tuttora accade è inquietante e pone degli interrogativi che richiedono delle precise risposte. In una situazione d’emergenza sanitaria ed economica come quella che stiamo vivendo, ogni soluzione individuata dai medici come possibile terapia avrebbe dovuto essere immediatamente applicata e diffusa, soprattutto se fondata sulla prescrizione di farmaci noti e sperimentati da anni. Invece è accaduto che il Ministero della Salute e AIFA, di fatto, hanno osteggiato ogni novità di cura prospettata non solo dai medici, ma anche dai centri di ricerca ospedalieri e dalle università, contrapponendo la giustificazione dell’assenza di evidenze solide e incontrovertibili sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci utilizzati”.

I detrattori delle terapie domiciliari sostengono, infatti, che l’efficacia delle cure debba essere comprovata dai grandi trials clinici, che tuttavia richiedono molto tempo. L’esperienza sul campo dei singoli medici non è quindi “riconosciuta”?

“È proprio così. Credo che lo comprovi quanto è avvenuto”.

Iniziamo da febbraio 2020…

“Nel febbraio 2020 alcuni medici cinesi riferiscono il primo caso di un paziente affetto da Covid-19 trattato con l’ozonoterapia. Successivamente, in Spagna, si constata che un gruppo di pazienti trattati con l’ozono guarisce molto più rapidamente di altri non sottoposti a tale cura. Nell’aprile 2020, l’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine rende noto che su 36 pazienti trattati precocemente con questa terapia, 35 sono stati dimessi. Nel luglio 2020, l’ISS pubblica un rapporto nel quale afferma che sebbene l’ozonoterapia possa avere effetti antiossidanti, antinfiammatori, immunostimolanti, ossigenanti e citoprotettivi, di fatto è una terapia che non può essere utilizzata in quanto “mancano ancora delle dimostrazioni dirette ottenute in studi controllati”.

E la questione del plasma iperimmune?

“Quella risale alla fine di aprile 2020, quando il dott. De Donno, dell’ospedale di Mantova, mette a punto una cura a base di trasfusioni di plasma prelevate da persone guarite dal Covid 19: il cosiddetto plasma iperimmune. Il Ministero della Salute avvia una sperimentazione a largo raggio gestita dai responsabili di ISS, di AIFA e del Comitato scientifico. Per lunghi mesi non se ne sente più parlare. Lo scorso 15 aprile AIFA boccia definitivamente la cura dicendo che “non ha evidenziato un beneficio”.

Sono state bocciate anche altre cure?

“Sì. Nel giugno 2020 due dottori del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria hanno l’intuizione di fare arrivare l’adenosina -una sostanza prodotta dal nostro organismo che ha il compito di bloccare le infiammazioni acute- direttamente nei polmoni dei pazienti affetti da Covid-19, mediante aerosol. La cura dà ottimi risultati, perché permette di far risalire l’ossigenazione del sangue a valori normali e di ridurre la carica virale. In poche settimane la mortalità da virus regredisce sensibilmente. Nel gennaio 2021, però, l’AIFA non autorizza la sperimentazione della cura affermando che “il rapporto rischio/beneficio non è definibile””.

Com’è andata con la quercetina e con gli altri integratori?

“Il 3 settembre 2020 il CNR comunica di avere scoperto che la quercetina ha un effetto destabilizzante su una delle proteine fondamentali per la replicazione del Covid-19. Lo studio è pubblicato sull’”International Journal of Biological Macromolecules”. Il 30 settembre il Ministero della Salute pubblica una nota nella quale testualmente dice: “non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercetina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato”.

Stessa sorte è toccata all’ivermectina…

“Nel gennaio 2021 uno studio britannico afferma che l’ivermectina, un antiparassitario utilizzato da decenni in tutto il mondo, è efficace contro il Covid-19 con tassi di sopravvivenza superiori all’83%. Ai primi di marzo 2021, la Repubblica Ceca ne autorizza l’utilizzo temporaneo e, a fine aprile, i decessi giornalieri si riducono da 200 a 50. Il 22 marzo 2021 l’EMA pubblica una nota, riportata anche da AIFA, con la quale raccomanda di non utilizzare l’ivermectina al di fuori degli studi clinici, perché “sono necessari ulteriori studi randomizzati e ben disegnati per trarre conclusioni in merito all’efficacia e alla sicurezza del medicinale nella prevenzione e nel trattamento di Covid-19”. Così si può proseguire con l’idrossiclorochina, l’azitromicina, l’eparina e i cortisonici”.

A proposito dell’idrossiclorochina: bocciata dalle linee guida ministeriali ma “riabilitata” dal Consiglio di Stato. Come se lo spiega, sul piano giuridico?

“Occorre premettere che l’idrossiclorochina è un farmaco noto da 80 anni, utilizzato per la cura della malaria e dell’artrite reumatoide e impiegato con successo anche nel 2002-2003 contro il virus della SARS-CoV nel 2003. Il 26 maggio 2020, l’AIFA, con la nota recante il titolo “sospensione autorizzazione all’utilizzo di idrossiclorochina per il trattamento del COVID-19 al di fuori degli studi clinici”sospendeva l’autorizzazione all’utilizzo di tale farmaco. Il 22 luglio successivo, l’AIFA emetteva un’altra nota nella quale affermava che “in questa fase dell’epidemia, considerate le evidenze attualmente disponibili, l’AIFA conferma la sospensione dell’uso dell’idrossiclorochina, da sola o in associazione ad altri farmaci, al di fuori degli studi clinici”.Tale situazione, di fatto, impediva ai medici di prescrivere idrossiclorochina per il trattamento del Covid-19 se non violando le prescrizioni dell’ente regolatore, con le conseguenti responsabilità civili, penali e disciplinari”.

 

 

Cosa accadde successivamente?

“Alcuni medici, riunitisi successivamente nel “Comitato Cura Domiciliare Covid-19”, impugnavano i provvedimenti dell’AIFA, lamentando che tali disposizioni impedivano loro di esercitare in scienza e coscienza. Le prime fasi del processo non erano favorevoli ai ricorrenti poiché sia il TAR Lazio prima, sia il Consiglio di Stato dopo, non accoglievano le loro richieste cautelari. Quest’ultimo giudice, tuttavia, già con il decreto di rigetto del 24/11/20, riconosceva un principio fondamentale da tenere in considerazione, cioè che, nel nostro ordinamento, il “diritto di ciascun paziente alla cura appropriata e il diritto–dovere di ciascun medico di prescrivere il farmaco più utile a contribuire alla guarigione del malato, corrispondono a valori costituzionali indefettibili”.

Nello scorso dicembre si è espresso il Consiglio di Stato, con un’ordinanza di portata epocale…

“Con ordinanza dell’11/12/2020, il Consiglio di Stato accoglieva le richieste dei ricorrenti e sospendeva la nota AIFA del 22 luglio 2020, consentendo ai medici di prescrivere l’idrossiclorochina ai pazienti affetti da SARS-CoV-2 nella fase iniziale della malattia. Nel capo 15 di tale provvedimento, il Consiglio di Stato affermava un altro importante principio, cioè che “la perdurante incertezza circa l’efficacia terapeutica dell’idrossiclorochina, ammessa dalla stessa Aifa a giustificazione dell’ulteriore valutazione in studi clinici randomizzati, non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l’irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti”. Un altro passaggio particolarmente significativo del provvedimento è quello contenuto nel capo 17.2, relativo alla legittimazione dei medici di potere prescrivere l’uso dell’idrossiclorochina. In merito, il Consiglio di Stato affermava che “la scelta se utilizzare o meno il farmaco, in una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica, sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio iniziale della malattia, deve essere dunque rimessa all’autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico, con l’ovvio consenso informato del singolo paziente, e non ad una astratta affermazione di principio, in nome di un modello scientifico puro, declinato da AIFA con un aprioristico e generalizzato, ancorché temporaneo, divieto di utilizzo”.

Qualcuno sostiene che, se venisse riconosciuta ufficialmente una terapia contro il Covid, verrebbe meno l’obbligo vaccinale nei confronti di determinate categorie. Le risulta?

“La risposta potrebbe risiedere nel Regolamento CE n. 507/20061 in tema di autorizzazione all’utilizzo di farmaci sperimentali. L’art. 4 comma 1 lettera c) del suddetto regolamento afferma che l’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco può essere rilasciata anche quando non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia del medicinale, purché tra le altre condizioni il medicinale risponda ad “esigenze mediche insoddisfatte”. Il comma 2 del medesimo articolo specifica che, con la locuzione “esigenze mediche insoddisfatte” si intende “una patologia per la quale non esiste un metodo soddisfacente di diagnosi, prevenzione o trattamento autorizzato nella Comunità o, anche qualora tale metodo esista, in relazione alla quale il medicinale in questione apporterà un sostanziale vantaggio terapeutico a quanti ne sono affetti”Poiché i vaccini attualmente in corso di somministrazione sono a tutti gli effetti farmaci sperimentali, il cui iter non è stato ancora completato, autorizzando qualsiasi altro tipo di cura diverso dalla vigile attesa verrebbe a mancare il presupposto delle “esigenze mediche insoddisfatte”. Quindi non si può escludere che le scelte del Ministero della Salute siano strettamente correlate con la volontà di proseguire nella vaccinazione di massa tuttora in corso”.

Com’è possibile che Ministero della Salute e AIFA abbiano presentato ricorso al Consiglio di Stato, mentre il Senato ha votato quasi all’unanimità la richiesta di istituire un protocollo domiciliare anti-Covid?

“L’8 aprile scorso il Senato ha approvato, con 212 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astensioni, un ordine del giorno firmato da tutti i gruppi parlamentari affinché́ il Governo si attivi per l’istituzione di un protocollo unico nazionale per la gestione domiciliare dei malati Covid, confermando così la necessità di eliminare le linee guida AIFA. Mi sembra un fatto molto grave che il Ministero della Salute, in totale spregio della volontà espressa in modo così chiaro dai rappresentanti del popolo, abbia ritenuto di proporre appello proprio contro il provvedimento del TAR Lazio che aveva disposto la sospensione della nota AIFA del 9/12/2020, che dettava le linee guida per curare a domicilio le persone colpite da Covid-19, prevedendo unicamente somministrazione di paracetamolo e “vigile attesa”. È evidente che c’è una grande distanza tra ciò che chiedono i rappresentati del popolo italiano e quello che vuole il Governo. Tale divario, collocato nel tempo che stiamo vivendo, di sospensione di alcuni dei più importanti diritti fondamentali, mi sembra emblematico e molto pericoloso. Né il fatto che l’appello sia stato accolto da parte del Consiglio di Stato attenua la gravità della situazione, ma, semmai, la aggrava. Auspico che all’udienza del 20 luglio i giudici del TAR Lazio scendano definitivamente nel merito concreto della situazione”.

Il Giuramento di Ippocrate è a “rischio”?

“Temo che la figura del medico, che con la sua borsa si reca a domicilio per visitare il paziente sia destinata a scomparire. Non che non esistano medici che svolgono la loro professione in questa maniera ma, purtroppo, non si può negare che da tempo sia in corso una sorta di burocratizzazione di questa professione. Il medico di controllo, il medico competente della sicurezza sul lavoro, il medico delle D.A.T., il medico che vaccina, i medici delle Commissioni, sono tutte figure che operano per conto di un soggetto diverso dal paziente. È come se lo Stato avesse individuato in questa categoria di professionisti i soggetti più idonei per esercitare le attività più pervasive rispetto ai diritti fondamentali. Per tutti basti pensare ai casi di Charlie Gard e Alfie Evans. Possiamo affermare che questi medici decidono, in piena autonomia e nell’interesse del paziente? La dipendenza funzionale ed economica da un ente pubblico o privato garantisce l’esercizio di una professione fondata sui principi di libertà, indipendenza e autonomia, così come previsti dall’art. 3 della deontologia medica? Ho qualche dubbio”.

Il paziente rimane ancora il centro della professione medica?

“Dall’altro versante la professione medica è aggredita anche dagli stessi beneficiati: i pazienti. La legge 22 dicembre 2017 n. 219, la cd. legge sulle D.A.T. che, in realtà, regola il consenso informato, ha stabilito che il soggetto titolare del potere di scelta della decisione terapeutica non è più il medico, ma il paziente, il quale può decidere di rifiutare anche immotivatamente le cure. La volontà del paziente diventa l’elemento centrale di ogni scelta. Al medico rimane l’obbligo di informare, quello di alleviare le sofferenze del malato, quello di astenersi da cure irragionevoli e trattamenti sproporzionati. Il medico non deve più decidere secondo scienza e coscienza: deve informare, formalizzare e attuare la volontà del paziente. Tutto ciò significa trasformare radicalmente la professione medica, passando da un modello tradizionale in cui il bene veniva sostanzialmente deciso dal medico, a un modello dove il medico diviene il mero esecutore della volontà altrui”.

ESCLUSIVO. Terapie domiciliari precoci. Il Centro Studi Livatino: “Dubbi sull’ordinanza del Consiglio di Stato”