Parla il biologo Mauro Giacca: “La sequenza all’interno della proteina spike è diversa rispetto a quella del coronavirus dei pipistrelli cui il virus umano assomiglia di più. Chi crede che Sars-Cov2 sia frutto di ingegneria genetica fa riferimento proprio a questa sequenza particolare. La sua presenza potrebbe suggerire che sia frutto di ingegneria genetica”.
E’ la strategia del coronavirus: una delle astuzie che Sars-Cov2 usa per contagiarci. “Non solo infetta le nostre cellule. Dopo esservi penetrato, le spinge a fondersi tra loro”. Mauro Giacca è professore di biologia molecolare all’università di Trieste, ha diretto per 15 anni il Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia (un ente di ricerca delle Nazioni Unite) e oggi insegna Scienze cardiovascolari al King’s College di Londra. La prima osservazione di questi aggregati anche di 10-15 cellule fuse insieme, chiamati sincizi, era stata fatta a Trieste l’anno scorso a partire dalle autopsie condotte da Rossana Bussani, professoressa di anatomia patologica, sulle prime vittime del Covid. Quegli strani agglomerati nei polmoni avevano stupito i ricercatori ed erano sfociati in una pubblicazione su Lancet a novembre del 2020. “Oggi ci siamo anche accorti che le varianti più contagiose del coronavirus sono in grado di formare sincizi più grandi” spiega Giacca.
L’osservazione di novembre nel frattempo è stata raccolta dall’università di Gottinga, in Germania, che ha iniziato anche lei a studiare i sincizi. “Passare da una cellula all’altra attraverso questi agglomerati permette al coronavirus di diffondersi più rapidamente e di sfuggire in parte al sistema immunitario” ha scritto in uno studio Markus Hoffman, che con il suo gruppo ha pubblicato una ricerca su BiorXiv. “Se una cellula che viene infettata dalla variante delta viene indotta dalla proteina spike del coronavirus a fondersi con una cellula vicina non ancora infettata, questo permette al virus di propagarsi più rapidamente”.
Professor Giacca, cosa osservate esattamente nei polmoni?
“Ammassi di cellule aggregate che formano trombi, causano cicatrici nei polmoni e impediscono il passaggio dell’ossigeno al sangue. Al loro interno troviamo tracce del virus anche mesi dopo l’infezione, e anche dopo numerosi tamponi negativi”.
Questo può spiegare il mistero del long Covid, cioè dei sintomi che durano mesi?
“Spiega intanto come mai alcuni pazienti, in qualche raro caso, continuano a peggiorare nonostante i tamponi diventati negativi. All’interno dei sincizi troviamo infatti virus ancora attivi”.
Questo fenomeno è tipico di Sars-Cov2?
“C’è qualche altro virus che lo fa, ad esempio il virus respiratorio sinciziale, che colpisce sempre i polmoni. Anche la Mers, parente dell’attuale coronavirus, produceva sincizi. Non lo faceva invece la prima Sars, quella del 2002-2003”.
E le varianti hanno capacità diverse di causare sincizi?
“Sì, abbiamo messo delle cellule a contatto con i vari ceppi di coronavirus e abbiamo osservato aggregati più grandi con le varianti sudafricana e brasiliana. Attendiamo ancora i dati della variante delta o indiana, ma ci aspettiamo una grande capacità di formare sincizi. Gli aggregati si formano anche se usiamo cellule del topo. Il fatto che il coronavirus infetti anche i roditori, soprattutto con le varianti che hanno una mutazione sulla posizione 501 della spike, non è una buona notizia. Vuol dire che Sars-Cov2 potrebbe trovare un reservoir futuro in questi animali, che vivono vicino a noi”.
Ma da dove nasce la capacità di causare sincizi? E’ una tattica del coronavirus per evitare di incontrare i nostri anticorpi al di fuori delle cellule?
“Non credo, penso che sia semplicemente una sua caratteristica biologica, che si traduce in un danno importante per l’organismo. Per evitare gli aggregati di cellule abbiamo individuato un potenziale farmaco, che è in sperimentazione da un mese in India. Vedremo quali risultati darà, intanto lo abbiamo descritto in un articolo su Nature che ha suscitato molto interesse. Riguardo ai sincizi, poi, c’è un altro aspetto da considerare, che è inquietante e suggestivo insieme. Sars-Cov2 riesce a spingere le cellule a unirsi e fondersi grazie a una piccola sequenza ben individuata all’interno della proteina spike. E’ questa sequenza che permette a spike di attivarsi e quindi al coronavirus di penetrare nelle cellule. Il suo aspetto particolare è quello di essere diversa rispetto a quella del coronavirus dei pipistrelli cui il virus umano assomiglia di più. Chi crede che Sars-Cov2 sia frutto di ingegneria genetica fa riferimento proprio a questa sequenza particolare. La sua presenza, unita al fatto che non è stato individuato un ospite intermedio fra pipistrello e uomo, potrebbe suggerire che il coronavirus pandemico sia frutto di ingegneria genetica”.
Cioè, cosa potrebbe essere successo?
“Ingegnerizzare i virus è una pratica usata dai ricercatori per comprenderne la biologia, ad esempio il modo in cui infettano le cellule umane. Anch’io ho svolto esperimenti simili, ma un conto è trovarsi in un laboratorio dove le procedure di sicurezza sono rigorose, un altro conto è seguire regole più blande. Non credo che la diffusione di Sars-Cov2 sia stata intenzionale, ma può darsi che un ricercatore a Wuhan si sia contagiato accidentalmente e abbia poi diffuso l’infezione”.
Questa tesi non resta però senza prove?
“No certo, non ci sono prove e la teoria è oggetto di discussioni internazionali molto accese. Gli indizi sono che il coronavirus più vicino a Sars-Cov2 che sia stato ritrovato in natura, che condivide il 96% del genoma, compare solo in alcune grotte a mille chilometri di distanza da Wuhan. E proprio in quella città si trova uno dei laboratori di biologia più avanzati della Cina. Resta in piedi anche l’ipotesi che i ricercatori abbiano portato a Wuhan dei campioni di pipistrelli prelevati in natura. Per quanto riguarda la prima Sars invece un ospite intermedio tra il pipistrello e l’uomo era stato individuato negli zibetti, che sono una prelibatezza in Cina e vengono spesso trasportati nei mercati per essere venduti”
Elena Dusi
La Repubblica
30 Giugno 2021