Due anni fa Tiziana De Meis, un’insegnante romana allora di 56 anni, si sottopose a una mammografia di controllo. Il medico non rilevò niente di particolarmente allarmante, ma le raccomandò di ripetere l’esame dopo un anno. Quando quel momento arrivò, l’Italia era nel pieno del primo lockdown e Tiziana De Meis non osò neppure avvicinarsi a strutture ospedaliere che — lo sapeva — erano travolte dall’emergenza e piene di persone potenzialmente contagiose. L’insegnante romana aspettò ancora un altro anno, quando ormai avvertiva distintamente la presenza di un grosso corpo estraneo fra i tessuti del petto. La mastectomia è arrivata solo il mese scorso, dura, dolorosa, perché in ritardo di dodici mesi. Nel caso di Tiziana De Meis la rinuncia ai controlli è stata indotta dal clima nel Paese all’apice della pandemia. Ma in un’infinità di altri casi i pazienti non hanno potuto scegliere.
Mammografie diminuite del 32%
Un’inchiesta di Roberto Saporiti della Sissa di Trieste documenta come dall’inizio del primo lockdown il governo abbia «rimodulato l’attività differibile» del sistema sanitario. Il tempo però sta dicendo che quelle cure e quelle analisi non erano rimandabili. Per una lunga lista di malattie non contagiose, lo stress di Covid-19 su un sistema sanitario nazionale già fragile e impoverito dalla pressione sulla spesa degli anni precedenti ha innescato una seconda epidemia. Non virale questa, ma fatta di procedure o decisioni omesse e delle loro conseguenze. Visite e esami di prevenzione non affrontati, sale chirurgiche chiuse, cure posticipate. Il costo umano e sociale di questa seconda epidemia è ancora difficile da decifrare, perché a rilascio lento. Ma si presenterà, non molto meno elevato del Covid stesso. E forse potrà indurre una riflessione più informata sui buchi nella rete del Sistema sanitario nazionale. Davide Croce dell’Università Liuc stima — sui dati delle aziende sanitarie pubbliche e dell’Agenzia nazionale dei servizi sanitari (Agenas) — che nel 2020 gli italiani hanno ricevuto 73 milioni di prestazioni specialistiche in meno rispetto all’anno prima. I ricoveri sono calati di circa un quarto e di un ulteriore 11% nei primi sei mesi di quest’anno sullo stesso periodo di quello passato. Sempre nel 2020 le mammografie sono diminuite del 32%, mentre in Sardegna e in Lombardia si sono quasi dimezzate. Simili gli andamenti sugli screening di colon e retto. Anche le terapie per le malattie gravi hanno risentito del rallentamento delle attività ordinarie e della riconversione in terapie intensive di interi blocchi di sale operatorie.
Nel 2020 40mila morti in pià «non Covid»
Francesco Cognetti, presidente della Confederazione degli oncologi, cardiologi e ematologi italiani, stima negli ultimi 15 mesi «ritardi e cancellazioni di oltre 100 mila interventi chirurgici per tumore»; un fenomeno, a suo avviso, «ancora in corso». Quello che Cognetti definisce «l’incredibile disastro clinico-assistenziale» degli ultimi quindici mesi spiega — in parte — la particolarità italiana sottolineata dal cardiologo della Cattolica di Roma Filippo Crea: durante la pandemia abbiamo perso moltissime vite in Italia per motivi ufficialmente diversi da Covid. Dopo la Spagna l’Italia è il Paese ad aver registrato nel 2020 più morti «in eccesso» — rispetto alle medie del quinquennio precedente — sui quali non è mai stato diagnosticato il virus. Ogni due decessi per il contagio se ne conta uno formalmente attribuito a cause diverse: circa 40 mila morti in più del solito, che restano da spiegare. In parte sarà stato l’effetto statistico di tamponi mai effettuati su persone contagiate; ma in parte — sostengono Cognetti e Crea — i decessi per problemi cardiaci avvenuti fuori dagli ospedali sono cresciuti del 30% rispetto agli anni precedenti.
L’altra epidemia, quelle delle cure mancate
Le persone non sono riuscite a raggiungere i pronto soccorso o non si sono fidate di andarci: l’anno scorso l’accesso a queste strutture è crollato di oltre un terzo — nota Davide Croce — e i ricoveri di un quarto. La novità degli ultimi mesi è che tutto questo sta cambiando, in apparenza. Un esame dei dati dell’Istat, l’istituto statistico, mostra che fino a tutto il mese di aprile 2021 in Italia resiste purtroppo una mortalità in eccesso di circa il 10% rispetto al quinquennio prima dell’emergenza. Allo stesso tempo, i fattori si sono invertiti: nei primi quattro mesi di quest’anno si contano circa 28 mila decessi in più rispetto alle medie italiane dei tempi recenti, ma i morti per Covid dei primi quattro mesi del 2021 sono 46 mila. In sostanza se la pandemia si fosse arrestata a dicembre scorso, avremmo avuto meno decessi che in tempi normali. Senz’altro è un effetto del virus, che ha anticipato al 2020 la scomparsa di molti anziani. Ma questa rischia di rivelarsi una tregua ingannevole. L’altra epidemia — quella di cure mancate sulle malattie tradizionali — prosegue. E il suo vero costo deve ancora emergere. Con il supporto di Farmindustria — ma senza condizionamenti da essa — la società di analisi di mercato Iqvia ha calcolato l’impatto delle analisi e terapie non fornite fino al mese scorso.
Tempi di attesa per chirurgia oncologica più lunghi del 20%
Rispetto alle medie pre-Covid, in Italia si contano 632 nuove diagnosi non fatte e 456 mila nuovi trattamenti terapeutici non avviati in aree come malattie respiratorie, cardiache, ipertensione e diabete. Ancora a maggio le visite dal cardiologo erano poco più della metà di quelle dei tempi pre-Covid. Le diagnosi di diabete invece sono oggi superiori alle medie storiche, ma solo perché non sono state fatte nell’ultimo anno e ora arrivano in ritardo. Nelle malattie del sangue e nei tumori si conta un accumulo a maggio di trentamila diagnosi mancanti e 18 mila trattamenti non avviati (rispetto alle medie pre-Covid). Secondo Iqvia due terzi del calo nell’individuare i tumori «è dovuto alle misure di contenimento introdotte per limitare gli accessi ospedalieri», con il restante spiegabile con i timori dei malati stessi. Di certo i tempi di attesa per la chirurgia oncologica in questi quindici mesi si sono allungati del 20%. E l’onda lunga di questi ritardi, sottolineano sia Cognetti che Crea, non potrà che riemergere nei tassi di moralità dei mesi e anni a venire. Non solo per tumori non individuati in tempo. Anche per gli infarti mal curati o il dimezzamento registrato delle diagnosi di fibrillazione atriale, che porterà probabilmente a un aumento degli ictus. «Il lockdown è stato un deterrente all’affrontare gli ospedali» riflette Tiziana De Meis, che ha superato con successo la chirurgia e ora si prepara alle cure. «Ma vorrei dire a tutte: andate, fatevi vedere. Un’ora dedicata alla prevenzione vale una vita intera».
Federico Fubini, Simona Ravizza
Corriere della Sera
29 Giugno 2021