L’Irlanda è l’unico paese in Europa – e insieme soltanto alla Corea del Nord, nel mondo – ad avere un divieto legale di partecipare alla Messa. Il governo irlandese ha cercato di respingere l’accusa di essere antireligioso, ma le azioni sono più forti delle parole. Il professor Oran Doyle, professore di Diritto presso la principale università irlandese, ha scritto che, nonostante il governo affermi il contrario, un nuovo decreto legislativo promulgato sabato 10 aprile può essere letto solo come una deliberata penalizzazione del culto religioso. È difficile per la maggior parte delle persone al di fuori dell’Irlanda, e anche per molti all’interno, capire come un’ex roccaforte cattolica dell’Europa sia arrivata a questo.
Eppure non dovrebbe essere considerata una vera sorpresa. L’Irlanda è stata l’unica ad applicare un divieto così severo di partecipare al culto pubblico, eppure questo è un atteggiamento coerente. Ad eccezione di un breve periodo a dicembre, i cattolici non possono assistere alla Messa da ottobre, e per i cattolici di Dublino, il divieto è iniziato ancora prima. Nelle ultime 30 settimane, 27 sono state senza culto pubblico.
Nell’ottobre 2020, mentre il governo stava introducendo un altro lockdown, il settimanale cattolico The Irish Catholic ha chiesto al ministro della Salute Stephen Donnelly se le nuove disposizioni rendessero la partecipazione alla Messa un reato. La risposta è stata no, e che preti elaici non sarebbero stati sanzionati per aver celebrato o partecipato a una Messa: il divieto era da considerare solo come raccomandazione.
Tuttavia, quanto accaduto a sacerdoti in tutto il paese suggeriva esattamente il contrario. Ad esempio un sacerdote nell’Irlanda del sud ha riferito di essere stato avvertito che sarebbe stato multato per aver celebrato la Messa con fedeli. E a Dublino, il Gardaí – la polizia irlandese – ha interrotto la distribuzione della comunione in una chiesa. Ma queste cose sono venute veramente alla ribalta solo quando padre P.J. Hughes, un sacerdote della contea di Cavan, ha continuato a celebrare la Messa con il popolo nonostante gli avvertimenti del Gardaí. È stato incriminato e multato di 500 euro. Si è rifiutato di pagare, dicendo che avrebbe preferito andare in prigione, e ha continuato a dire Messe. In un incredibile crescendo, il Gardaí ha picchettato la chiesa per allontanare i parrocchiani che cercavano di partecipare alla Messa.
A quel punto l’affermazione del governo secondo cui la Messa non era un reato si è palesata inconsistente. L’ultimo chiodo sulla bara è stato piantato a seguito di una azione legale che contestava la costituzionalità del divieto, azione promossa dall’uomo d’affari cattolico irlandese Declan Ganley. La discussione del caso di Ganley, iniziata nel novembre 2020, è stata continuamente rinviata dall’avvocatura dello Stato ed è ormai certo che non venga ascoltato prima che il divieto venga finalmente revocato. Tuttavia, il suo caso ha reso evidente che il governo considerava che fosse in vigore un divieto legale.
Ma è stato solo dopo questa conferma delle intenzioni dello Stato irlandese che il divieto è stato definitivamente introdotto. Almeno questo è il modo in cui il professor Doyle ha interpretato la situazione. Secondo la sua analisi il governo ha introdotto il nuovo decreto legislativo del 10 aprile perché si è reso conto che nel primo decreto non c’era una esplicita sanzione per le celebrazioni religiose. Perciò con una mossa subdola e ingiusta, ha criminalizzato la religione in Irlanda per la prima volta in oltre un secolo.
Ma questo è solo quello che è successo. Capire perché sia successo è più complicato. Perché il governo è stato così zelante nel colpire la religione, calpestando quello che è un diritto umano fondamentale? E perché i vescovi non sono stati più decisi, come è avvenuto altrove in Europa e nelle Americhe? La risposta a entrambe queste domande può essere collegata alla posizione storica e odierna della Chiesa in Irlanda. La Chiesa in passato aveva il potere e ne ha abusato; oggi non ne ha ed è abusata.
Il fatto è che negli ultimi cinquant’anni la Chiesa è stata attaccata da chi era al potere, sia nel governo che nei media. Per una istituzione abituata ad avere una posizione di privilegio nelle stanze del potere, abituata a essere rispettata, questo è stato molto difficile. La Chiesa poi ci ha messo del suo con la copertura degli abusi all’interno della Chiesa. Questo, tuttavia, è stato solo uno dei pretesti con cui la Chiesa è stata sminuita e ridicolizzata. Tuttora i media e il governo colgono ogni opportunità per schiacciare ulteriormente la Chiesa, come è evidente dalla recente risposta a un programma cattolico di educazione sessuale. È un’altra opportunità per dimostrare quanto sia arretrata la Chiesa e per mostrare quanto sia invece avanzata e progressista l’Irlanda moderna.
In definitiva, questa è una messinscena. In realtà, si tratta di potere. Noi, la Chiesa, non ce l’abbiamo, loro ce l’hanno. È per questo motivo che il governo non aveva problemi nel trattare il culto pubblico in modo così abominevole. Non è semplicemente che non gli importi, anche se chiaramente è così, è anche che sanno di non trovare ostacoli e sono ben felici di relegare il culto pubblico al livello di musei, cinema e altri servizi non essenziali. Questa è una posizione scomoda per la Chiesa, alla quale non si è abituata. Raramente ci si difende quando si è diffamati dai media o si fanno polemiche quando i rappresentanti eletti attaccano. Ci si è abituati a perdere e si è ancora, sembrerebbe, in uno stato di shock. C’è ormai la tendenza ad accontentarsi di commenti su temi di moda che siano sicuri e non controversi, cogliendo ogni opportunità per essere visti fare “la cosa giusta”.
Di conseguenza, quando si è verificata la pandemia, i vescovi non vedevano l’ora di accettare la chiusura della Chiesa per il bene comune. In quel momento, potevano essere scusati per due motivi: uno, non sapevano quanto sarebbe durata la pandemia; due, agivano aspettandosi che il governo avrebbe risposto in buona fede. La realtà ha dimostrato che hanno sbagliato in entrambi i casi. A quel punto, tuttavia, era troppo tardi: dopo aver tanto spinto sull’accettazione dei regolamenti, attaccarli sarebbe sembrato ipocrita. Eppure, col passare del tempo, è diventato chiaro che questa sarebbe stata la decisione da prendere.
Declan Ganley, dando voce alla frustrazione di buona parte dei laici cattolici in Irlanda, lo scorso 27 aprile ha invitato i vescovi ad aprire le porte al culto pubblico in un atto di pacifica disobbedienza civile. La sua causa contro la costituzionalità del divieto era stata rinviata ancora una volta. Come ha detto, tutti i mezzi disponibili erano stati provati, ma nessuno aveva avuto successo. La disobbedienza è l’ultima risorsa di fronte a tale intransigenza.
Si dà il caso che il governo abbia annunciato il ritorno al culto pubblico per il 10 maggio, il che rende improbabile che la Chiesa intraprenda un’azione così drastica in questi pochi giorni. Anche se sembra che la pressione esercitata recentemente sul governo riguardo al trattamento riservato al culto pubblico abbia dato i suoi frutti, è ancora vero che ai cattolici viene semplicemente concesso ciò che è loro diritto.
Budhhan Jones Giornalista a “The Irish Catholic”
7 maggio 2021