La Costituzione federale degli Stati Uniti d’America dà ragione a Cathy Miller, e un bravo giudice ci mette la firma e la faccia. Cathy fa la pasticcera; anzi è una designer di creme e pastafrolle, una vera artista creativa, nota e ricercata per il proprio talento. A Bakersfield, in California, è titolare della Tastries Bakery. Soprattutto è però una cristiana praticante. Quando, a metà agosto, si è rifiutata di preparare una torta di nozze per Mireya ed Eileen Rodriguez-Del Rio, lesbiche “coniugate”, perché il suo credo non le consente di mettere la propria arte al servizio di una pratica che giudica immorale, ne è nato il solito putiferio. Le due donne sono “sposate” da un paio di anni, ma dato che non avevano mai organizzato una vera festa di matrimonio, ne avevano programmato una – verrebbe da dire “riparatrice” – per dicembre. Davanti al rifiuto di Cathy, sono ricorse al Department of Fair Employment and Housing, l’agenzia dello Stato della California che si occupa delle discriminazioni sul posto di lavoro, nei contratti di locazione e nelle strutture pubbliche, che ha dato loro ragione: siccome la torta non era accompagnata da alcun scritta, non vi è stata alcuna violazione dei diritti tutelati dal Primo Emendamento della Costituzione federale che garantisce la libertà di coscienza, parola, culto ed espresione pubblica della religione.
Martedì 6 febbraio, però, un giudice, David R. Lampe, della Corte superiore della contea di Kern, ha ribaltato la questione. Lo ha fatto stampigliando la parola “irricevibile” sulla pretesa con cui lo Stato della California ha cercato di soggiogare la pasticcera: «Lo Stato non sta chiedendo agl’imputati di vendere una torta. Lo Stato chiede al tribunale di costringere la Miller a usare i propri talenti per progettare e realizzare una torta che ella non ha ancora ideato con la consapevolezza che poi la sua opera verrà esposta nella celebrazione di una unione sponsale che la sua religione proibisce». E questo è limpidamente anticostituzionale. La forza del paradosso rende bene l’idea. Forse che, scrive Lampe, lo Stato costringerebbe un pasticcere pro LGBT a preparare una torta di nozze per una coppia cattolica a cui prima l’aveva negata in odio alla Chiesa Cattolica che è contraria all’omosessualità?
Non solo. Il giudice Lampe è andato oltre, con grande finezza. Se la Miller è nel proprio pieno diritto costituzionale quando rifiuta una prestazione professionale che ne viola direttamente la coscienza, nessun negoziante ha invece il diritto di rifiutarsi aprioristicamente di servire genericamente un cliente perché non ne condivide l’orientamento sessuale, etico o religioso, oppure il colore della pelle. Un rivenditore di pneumatici – questo l’esempio usato da Lampe – non può rifiutarsi di cambiare le gomme a un omosessuale che abbia forato più di quanto possa rifiutarsi di cambiarle a un nero se è razzista o a un cattolico se è laicista: cioè mai. «Non vi è nulla di sacro o di espressivo in un pneumatico», ha scritto per farsi capire bene. Rifiutarsi di cambiare le gomme a un cliente per motivi personali non può essere tutelato dal diritto alla libertà di coscienza, parola, culto ed espressione pubblica della religione, e questo pur restando diritto costituzionale di quel rivenditore di pneumatici ritenere in coscienza inaccettabile l’omosessualità. La Costituzione tutela infatti il diritto di quel rivenditore a ritenere incompatibile l’omosessualismo con il proprio credo e a manifestarlo nei modi leciti, ma non a descriminare una persona. La persona va infatti tutelata sempre, le violazioni della coscienza e le imposizioni idoelogiche mai. Ora, la posta messa in gioco così dal giudice Lampe è altissima.
Il giro mentale di chi combatte l’obiezione di coscienza in casi come questo usa infatti il cortocircuito. Rifiutarsi di preparare una torta per una coppia omosessuale sarebbe cioè un crimine come quello che commetterebbe il barista che rifiutasse di servire un drink a un cliente di colore. Ma è falso. Il giudice Lamp ha risposto perfettamente all’obiezione, introducendo una dimensione ulteriore del caso. Questo.
Perché la Costituzione federale riconosce il diritto alla libertà di coscienza, parola, culto ed espressione pubblica della religione? Perché quella libertà è un valore. La disciminazione del nero al bar invece non è tutela perché è un disvalore. Lo Stato, insomma – che non è mai neutro anche se ci continuano a ripetere il contrario solo per far passere una e una sola ideologia pubblica -, nella misura in cui tutela quelle libertà prende le parti di un principio buono, così come sanzionando la discriminazione del nero al bar impedisce un principio cattivo.
Nessuno omosessuale può gridare all’omofobia se la coscienza di un credente obietta a un suo gesto lesivo del proprio credo, rifiutarsi di farsi calpestare dall’imposizione ideologica dell’omosessualismo è un diritto costituzionale di ogni americano e tutti i cittadini, omosessuali compresi, sono portatori di diritti in quanto persone. Non godono di diritti invece le scelte ideologiche che ledono la coscienza altrui.
La prossima udienza del caso Miller è fissata per giugno. L’avvocato di Cathy – Charles Limadri, presidente del Freedom of Conscience Defense Fund di Rancho Santa Fe, in California – ha già annunciato che chiederà l’archiviazione in ragione della forza inappellabile del parere del giudice Lampe. È purtroppo prevedibile che non sarà così.
Marco Respinti
La Nuova Bussola Quotidiana, 10 febbraio 2018