Dopo alcune settimane di dati positivi, i dai relativi al tasso di positività dovrebbero preoccuparci. Ma l’andamento negli altri paesi è rassicurante .Infatti, mentre in passato le curve dei ricoverati, quella dei ricoverati gravi e quella dei decessi hanno sempre seguito col ritardo di qualche giorno i movimenti registrati dal tasso di positività e del numero degli infetti, in questa fase essi sembrano essere insensibili agli stessi.
I dati positivi sono i seguenti. Il numero di morti in Italia continua a calare (15 al giorno su media settimanale) ormai da 100 giorni, il numero di ricoverati in terapia intensiva è attualmente pari a 170, pure in calo costante da 3 mesi circa ed il numero di ricoverati con sintomi è sceso a soli 1.185 dai circa 29.000 che avevamo registrato al picco di inizio aprile.
I dati che, invece, ci inducono ad una certa cautela sono quelli relativi al tasso di positività (il quale da una settimana ha ripreso a crescere, passando dal minimo raggiunto al livello dello 0,44% allo 0,77% odierno), ed al numero di nuovi infetti, i quali sono passati da 728 a 1.197 negli ultimi 8 giorni.
Come abbiamo imparato in questi mesi il tasso di positività è un po’ la sentinella della pandemia in quanto esso rappresenta il parametro che anticipa tutti gli altri.
C’è però una differenza importante tra la situazione attuale e quella degli altri momenti drammatici di ripresa dei contagi che abbiamo purtroppo osservato ripetute volte nei mesi passati.
Infatti, mentre in passato le curve dei ricoverati, quella dei ricoverati gravi e quella dei decessi hanno sempre seguito col ritardo di qualche giorno i movimenti registrati dal tasso di positività e del numero degli infetti, in questa fase essi sembrano essere insensibili agli stessi.
Certo, una settimana forse è ancora troppo poco per poter azzardare questa ipotesi. Ma se guardiamo ciò che è accaduto nei paesi che ci stanno precedendo in questa fase pandemica l’ipotesi appare corroborata.
Nel Regno Unito, ad esempio, i nuovi casi hanno ripreso a crescere a partire dal 5 maggio (2.020 casi) e proseguono la crescita anche oggi (ben 29.000 il 9 luglio), e tuttavia i decessi restano al di sotto dei 20 giornalieri ormai da fine aprile. E se deve certamente preoccupare il fatto che tale numero non scenda ulteriormente, è pur vero che nel Regno Unito la pandemia è abbondantemente al di sotto dei livelli di guardia nonostante la crescita esponenziale dei nuovi casi.
Similmente in Israele, il paese campione di vaccini con il 57% della popolazione completamente vaccinata, il numero di casi ha ripreso a salire passando da una decina di casi giornalieri a metà giugno a circa 400 il 9 luglio, ma ciò non sembra aver influenzato l’andamento dei decessi che da un mese è sostanzialmente zero.
Persino l’India, colpita duramente da un picco pandemico in marzo a causa della nuova variante Delta (inizialmente denominata proprio Indiana) dopo il picco di nuovi casi dell’8 maggio su numeri straordinariamente elevati (400.000 nuovi casi al giorno), oggi ne registra un decimo (40.000), tuttavia il numero di decessi nello stesso periodo è sceso costantemente da 4.000 a 800.
Anche il Brasile, infine, tra i più colpiti dalla variante Delta in giugno con un passaggio da 60.000 a 80.000 nuovi casi nella sola ultima quindicina del mese, oggi è risceso intorno ai 40.000 casi giornalieri. Anche in questo paese la nuova ondata di variante Delta ha influito poco o nulla sul numero di casi gravi con i decessi che hanno proseguito nel loro tragitto di discesa senza troppi scossoni da un valore pari a 3.000 al giorno a metà aprile ai valori odierni di 1.300.
Anche a livello mondiale, a fronte di un incremento del numero di casi nell’ultimo mese (da 360.000 a 380.000 circa giornalieri), il numero di decessi continua una costante diminuzione dal 3 maggio (13.000) ai numeri odierni (circa 8.000),
Dalla sola lettura dei numeri, e senza alcuna pretesa di giungere a conclusioni di natura epidemiologica, dunque, sembrerebbe di poter osservare che la ripresa dei contagi dovuti alla variante Delta per quanto da monitorare con molta attenzione, non influenzerebbe più di tanto la gravità della pandemia e la sua discesa verso valori maggiormente confortanti nei suoi parametri cruciali.
Massima attenzione, dunque, anche in Italia e certamente ritorno a regioni colorate laddove questo sia necessario, ma senza l’eccessivo timore di un ritorno all’emergenza sanitaria dei mesi passati. Le terapie intensive sono oggi sostanzialmente vuote e anche guardando alle esperienze all’estero i tempi delle postazioni di emergenza allestite nei corridoi sembrerebbero essere alle spalle, almeno per il momento.
Il vero pericolo attualmente è costituito dalla diffusione delle varianti e la sfida sta nella nostra capacità di tracciarle e sequenziarle.
In particolare, è urgente utilizzare l’analisi genomica per tracciare la presenza della variante Delta nel paese, mappare tempestivamente tutte le altre varianti del virus e identificarle rapidamente nel caso in cui ne insorgessero di nuove. Ciò ci consentirà di giocare in anticipo sull’epidemia, evidenziando cambiamenti nella patogenicità e nella capacità di diffusione del virus ed eventualmente adeguare i vaccini e le cure alle nuove mutazioni.
Il Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ecdc) prescrive che un minimo dl 5% dei tamponi positivi vengano sequenziati a tal fine e l’Italia sta rapidamente adeguandosi a tali protocolli. Dal 28 dicembre 2020 al 5 luglio 2021 il Sistema di sorveglianza integrata Covid-19 dell’Istituto superiore di sanità ha svolto la genotipizzazione tramite sequenziamento di 33.886 casi di infezione su un totale di 2.179.134 casi riportati (pari all’1,56%). La percentuale di casi genotipizzati è, però, in aumento essendo passata da circa lo 0,5% di gennaio al 6% in giugno.
Tuttavia, come già osservato più volte in passato in tutte le altre fasi della pandemia, più che la dimensione del campione ciò che conta è la qualità del dato in entrata e in particolare, nell’impossibilità di sequenziare tutti i casi positivi, il criterio utilizzato nella raccolta dei dati. Questi, ad oggi, a quanto è dato sapere tramite l’informativa fornita dell’Iss, non vengono raccolti con un criterio statistico, così che le stime basate su di essi non risultino particolarmente affidabili.
In effetti l’Iss utilizza due fonti di dati: una flash survey, condotta centralmente sottoponendo a sequenziamento un numero di campioni raccolti giornalmente, e il sequenziamento quotidiano operato dalle regioni su campioni rivolti ad alcune categorie particolari, ad esempio persone che si infettano una seconda volta o che contraggono l’infezione seppur vaccinati. Per avere una stima affidabile della percentuale di infetti da variante Delta e per identificare al suo primo insorgere nuove eventuali varianti occorrerebbe, invece, affidarsi ad un campione ripetuto nel tempo identificato con un preciso criterio statistico quali quelli già suggeriti per stimare correttamente il numero degli infetti. Il momento attuale è l’ideale per affiancare tale iniziativa a quelle già messe in atto dall’Iss. È infatti in una fase post emergenziale che ci si può organizzare per una raccolta sistematica dei dati la quale consenta oggi di intervenire tempestivamente ed un domani possa essere di sicuro ausilio nel caso di un’eventuale ripresa della pandemia.
Giuseppe Arbia
Il Sussidiario
14 Luglio 2021