Il libro di Éric Marty. “Da dandy, il movimento Lgbt è diventato autoritario. Negare che esista una teoria del gender, restare elusivi, fa parte delle loro tattiche” Questa teoria del gender, che Marty fa risalire a Barthes, Deleuze e Derrida, “ha preso il posto del marxismo nell’immaginario collettivo, come orizzonte non più di emancipazione collettiva, ma individuale. La teoria del genere riprende, dopo il marxismo o l’Illuminismo, i grandi messaggi di emancipazione che l’occidente si è prefisso di inviare al mondo come sua missione. E’ un discorso straordinariamente efficace, perché a differenza della lotta di classe può risuonare in ogni individuo. La borghesia, nonostante il patriarcato a cui è associata, è diventata rapidamente un importante mediatore della rivoluzione di genere, integrandola nelle proprie dinamiche storiche, culturali ed economiche. Ecco perché non dovrebbe sorprendere che i principali marchi internazionali stiano aiutando a espanderlo”.
Quante volte in Italia è stato detto e scritto che la “gender theory” è soltanto un complotto della destra conservatrice per screditare e impedire il progresso per le persone transgender? “Potremmo essere sorpresi dalla negazione che non esiste una teoria, ma solo studi di genere. Per i sostenitori del ‘genere’, è indubbiamente necessario rimanere elusivi, in una posizione di apparente pluralità”.
A scriverlo è Éric Marty, il celebre docente di Letteratura francese all’Università di Parigi VII Denis Diderot, adesso autore di un nuovo libro, “Le Sexe des Modernes. Pensée du Neutre et théorie du genre”, pubblicato dalle edizioni Seuil. Si parla, ovviamente, del gender, battaglia politica in Italia con la legge Zan. Marty, che ha curato la pubblicazione delle “Oevres complètes” di Roland Barthes ed è specialista dell’opera di René Char, nel suo nuovo libro spiega la rivoluzione in corso. “Il gender è l’ultimo grande messaggio ideologico dall’occidente al resto del mondo”.
“Questo è ciò che mi ha spinto a scrivere questo libro. Sono rimasto stupito dalla velocità con cui questa nozione del gender ha invaso il pianeta e tutte le sfere della vita sociale, dai documenti amministrativi al marketing delle grandi multinazionali. E questo in soli trent’anni, da quando il libro di Judith Butler, ‘Gender Trouble’, è stato pubblicato nel 1990”.
Questa teoria del gender, che Marty fa risalire a Barthes, Deleuze e Derrida, “ha preso il posto del marxismo nell’immaginario collettivo, come orizzonte non più di emancipazione collettiva, ma individuale. La teoria del genere riprende, dopo il marxismo o l’Illuminismo, i grandi messaggi di emancipazione che l’occidente si è prefisso di inviare al mondo come sua missione. E’ un discorso straordinariamente efficace, perché a differenza della lotta di classe può risuonare in ogni individuo. La borghesia, nonostante il patriarcato a cui è associata, è diventata rapidamente un importante mediatore della rivoluzione di genere, integrandola nelle proprie dinamiche storiche, culturali ed economiche. Ecco perché non dovrebbe sorprendere che i principali marchi internazionali stiano aiutando a espanderlo”.
Per avere successo, questo movimento deve “promuovere vittime esemplari la cui visibilità deve essere assicurata”. Faticherà un po’ a imporsi in Europa, perché il gender porta con sé tanti “stereotipi americani, un certo puritanesimo malcelato, un discorso saturo di acronimi (a partire da lgbtiq…), una visione profondamente pragmatica del linguaggio, l’ipotesi di una flessibilità quasi illimitata delle identità, l’ideologia di ‘self-making’”. Il movimento lgbt da libertario è diventato repressivo, scrive Marty. “La mutazione avviene a cavallo del nostro nuovo secolo con un orientamento oggi molto autoritario, rigido, con questo nuovo attivismo di sorveglianza. Alla dinamica della sorveglianza si affianca poi un’altra violenza più imprevedibile, una competizione tra vittime e minoranze”. Ma il paragone con il marxismo di Éric Marty non si ferma all’aspetto autoritario. “Il gender è come il ‘proletariato’, che alla fine annuncia la scomparsa di ciò che nomina”.
Giulio Meotti
Il Foglio
18 Luglio 2021