Non sarà un servizio delle Iene a chiudere la Chiesa per mancanza di credibilità. Così come non saranno preti e vescovi felloni a minarne le solide basi di santità indefettibile che le vengono da Cristo. Ma capire questa grande verità è arduo, soprattutto se l’obiettivo è quello di attaccare la Chiesa e non, semplicemente, di denunciare i suoi uomini che la tradiscono.
Perché essa è santa e senza macchia pur accogliendo in sé uomini macchiati di peccato.
Vale anche per l’ultimo episodio raccontato dalle Iene mercoledì sera su cui le cronache stanno in questi giorni dando fuoco alle polveri. Che le Iene si scandalizzino per la mancanza di santità di alcuni rappresentanti di Chiesa è bene, ma perché non si scandalizzano quando il male che loro denunciano viene propagato con la mentalità odierna? E per giunta spesso con l’aiuto proprio di quel sistema mediatico che alimenta anche il consenso del programma Mediaset?
Le cronache parlano del caso del sacerdote cosentino che, dopo averla messa incinta, avrebbe costretto una donna ad abortire, con la complicità del vescovo. Lo scandalo è grande, proprio perché se i fatti fossero andati come è stato narrato, la mancanza di coerenza del sacerdote getterebbe in imbarazzo la Chiesa.
Che gli uomini di Chiesa commettano errori e peccati imperdonabili e financo reati le Iene lo scoprono solo ora, ma fa parte della vita e della caducità del mondo, che è dominato dal peccato e non esenta gli uomini di Chiesa per il solo fatto di appartenere ad una sposa che mostra costantemente la sua santità proprio perché dentro questo peccato vi abita per sradicarlo.
A Cosenza l’atmosfera è incandescente e gli avvocati del vescovo tirato in ballo sono già pronti con le carte bollate delle querele. Il servizio è confezionato secondo un canovaccio prestabilito: la donna camuffata che racconta l’amore per il giovane parroco, don Giuseppe Leone, la gravidanza, la decisione attribuita al prete di farla abortire su spinta anche del vescovo di allora, Salvatore Nunnari e infine l’aborto. Poi si passa a raggiungere con telecamera l’attuale vescovo emerito e il sacerdote. Ovviamente, trattandosi di vicende del passato, tutti vengono presi alla sprovvista: il vescovo ricorda la relazione del prete con la donna, ma sembra attribuire la decisione dell’aborto a lei, poi dice che il sacerdote si è confessato e ora ha ripreso a fare il prete. Ancor più elettrica l’atmosfera nella parrocchia del sacerdote, che viene colto alla sprovvista, farfuglia parole un po’ a caso e diversi strafalcioni linguistici dettati evidentemente dall’emozione (“io sto stando male”) e si nega all’intervistatrice. Poi all’uscita arrivano anche i genitori del sacerdote che aggrediscono la malcapitata giornalista con una violenza inaudita.
Il giorno dopo il vescovo attuale di Cosenza annuncia l’apertura di un’istruttoria, esprime solidarietà al vescovo emerito bersaglio delle telecamere e chiede scusa per gli eventuali peccati commessi. Ma la vicenda non finirà qui, dato che il vescovo Nunnari annuncia querela contro le Iene. Lo farà? Quel che è certo è che per raccontare queste storie, con tanto di gogna mediatica e prete “sputtanato”, il luogo adatto non è né la redazione delle Iene né il confessionale. Per costringere un prete a prendersi le sue responsabilità e nel caso a pagare il suo conto c’è la giustizia.
Si chiamava Aborto di donna non consenziente, oggi ha perso quel nome, ma all’articolo 18 della Legge 194 prevede comunque pene dai 4 agli 8 anni. Non per andare contro il facile sentimentalismo di certo showbiz mascherato da giornalismo, ma è quella la sede più opportuna in cui una donna, per far valere anche dopo anni le sue ragioni e le ricadute dei suoi comprensibili choc emotivi, deve rivolgersi. E scomodare, se è il caso, persino sua eccellenza. Dal servizio non risulta che l’abbia fatto. Raccontare il tutto con il clamore di una comparsata televisiva non contribuisce a fare giustizia, ma a infangare la Chiesa per partito preso da parte di chi invece, con servizi a favore dell’aborto libero, ha contribuito a rafforzare quel clima libertario che ora rimprovera agli ecclesiastici.
Eppure l’azione di quel sacerdote che ora viene additato come mostro è l’effetto della cultura abortista che le Iene appoggiano e hanno appoggiato in tanti servizi. La vulgata dice che bisogna partorire solo se il figlio è accettato, ma si dimentica facilmente che in questi casi si è in due. Però il figlio può essere indesiderato non solo dalla madre, ma anche dal padre. Ma se la prima può abortire in modo autonomo senza aver il permesso del padre, il secondo non può farlo: da qui le pressioni psicologiche del padre per far abortire la donna.
Questa storia è la logica conclusione di alcune premesse culturali sposate anche dalle Iene. E cioè che l’aborto è un diritto. Se lo è per la madre, perché non dovrebbe esserlo anche per il padre? Se invece ammettiamo che l’aborto non è un diritto la prospettiva cambia. Che cosa sta più a cuore alle Iene allora? La giustizia o infangare la Chiesa?
Andrea Zambrato
La Nuova Bussola Quotidiana, 18 febbraio 2018