Quello che segue vuole essere un excursus delle omelie che il Papa ha svolto a inizio del tempo quaresimale. Eletto al soglio pontificio il 13 marzo 2013, a Quaresima già avviata, Papa Bergoglio tenne la sua prima predicazione a Santa Sabina il 5 marzo 2014.
“La Quaresima ci chiama a “riscuoterci”, a ricordarci che noi siamo creature, semplicemente che noi non siamo Dio – affermò il Papa all’inizio dell’omelia. Con un forte richiamo alla apertura e alla dimensione interiore. “Quando le difficoltà e le sofferenze dei nostri fratelli ci interpellano, soltanto allora possiamo iniziare il nostro cammino di conversione verso la Pasqua. E’ un itinerario che comprende la croce e la rinuncia. Il Vangelo di oggi indica gli elementi di questo cammino spirituale: la preghiera, il digiuno e l’elemosina (cfr Mt 6,1-6.16-18). Tutti e tre comportano la necessità di non farsi dominare dalle cose che appaiono: quello che conta non è l’apparenza; il valore della vita non dipende dall’approvazione degli altri o dal successo, ma da quanto abbiamo dentro”.
In particolare, proseguiva il Papa, “la preghiera è la forza del cristiano e di ogni persona credente. Dinanzi a tante ferite che ci fanno male e che ci potrebbero indurire il cuore, noi siamo chiamati a tuffarci nel mare della preghiera. La Quaresima è tempo di preghiera, preghiera di intercessione”. Il digiuno, poi, “comporta la scelta di una vita sobria, che non spreca, che non “scarta”. Digiunare ci aiuta ad allenare il cuore all’essenzialità e alla condivisione”. Mentre l’elemosina “ci aiuta a vivere la gratuità del dono, che è libertà dall’ossessione del possesso, dalla paura di perdere quello che si ha”.
Nel 2015, il 18 febbraio, Papa Francesco si soffermò sulla conversione interiore, aiutata dal “dono delle lacrime” per ricevere una autenticità priva di ipocrisie. Così si interrogava a inizio della predica. ‘Ci farà bene farci la domanda: “Io piango? Il Papa piange? I cardinali piangono? I vescovi piangono? I consacrati piangono? I sacerdoti piangono? Il pianto è nelle nostre preghiere? E proprio questo è il messaggio del Vangelo odierno. Perché “gli ipocriti non sanno piangere, hanno dimenticato come si piange, non chiedono il dono delle lacrime”.
Il 10 febbraio 2016, nel Giubileo della Misericordia, il Papa non si recò sull’Aventino, ma tenne in San Pietro la Messa delle Ceneri e il contestuale invio nel mondo dei Missionari della Misericordia. “La Parola di Dio – esordì Francesco – rivolge alla Chiesa e a ciascuno di noi due inviti. Il primo è quello di san Paolo: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20)”. Non un semplice buon consiglio paterno – ricordava il Pontefice – e nemmeno soltanto un suggerimento, ma una vera e propria supplica a nome di Cristo. Perché Cristo sa quanto siamo fragili e peccatori. Ci possono essere alcuni ostacoli, che chiudono le porte del cuore. C’è la tentazione di blindare le porte, ossia di convivere col proprio peccato, minimizzandolo, giustificandosi sempre, pensando di non essere peggiori degli altri; così, però, si chiudono le serrature dell’anima e si rimane chiusi dentro.
Un altro ostacolo è la vergogna ad aprire la porta segreta del cuore. La vergogna è un buon sintomo, perché indica che vogliamo staccarci dal male; tuttavia non deve mai trasformarsi in timore o paura. E c’è una terza insidia, quella di allontanarci dalla porta: succede quando ci rintaniamo nelle nostre miserie, quando rimuginiamo continuamente, collegando fra loro le cose negative, fino a inabissarci nelle cantine più buie dell’anima”. L’altro invito è quello del ritorno a Dio. “Se bisogna ritornare – rifletteva il Papa – è perché ci siamo allontanati. È il mistero del peccato: ci siamo allontanati da Dio, dagli altri, da noi stessi. Non è difficile rendersene conto: tutti vediamo come facciamo fatica ad avere veramente fiducia in Dio, ad affidarci a Lui come Padre, senza paura; come è arduo amare gli altri, anziché pensare male di loro; come ci costa fare il nostro vero bene, mentre siamo attirati e sedotti da tante realtà materiali, che svaniscono e alla fine ci lasciano poveri”. E qui il Papa concludeva richiamando i “tre rimedi, le tre medicine che guariscono dal peccato”: la preghiera, la carità, il digiuno.
Anche l’anno scorso, il 1° marzo, il Papa incentrò la sua omelia sul ritorno a Dio e sulla necessità di vivere la Quaresima per liberarci dall’asfissia degli egoismi umani e per anelare al soffio di vita che il Padre non cessa di offrire nel fango della storia degli uomini. E il tempo di “Quaresima è il tempo per dire no. No all’asfissia dello spirito per l’inquinamento causato dall’indifferenza, dalla trascuratezza di pensare che la vita dell’altro non mi riguarda; per ogni tentativo di banalizzare la vita, specialmente quella di coloro che portano nella propria carne il peso di tanta superficialità. La Quaresima vuole dire no all’inquinamento intossicante delle parole vuote e senza senso, della critica rozza e veloce, delle analisi semplicistiche che non riescono ad abbracciare la complessità dei problemi umani, specialmente i problemi di quanti maggiormente soffrono. La Quaresima è il tempo di dire no; no all’asfissia di una preghiera che ci tranquillizzi la coscienza, di un’elemosina che ci lasci soddisfatti, di un digiuno che ci faccia sentire a posto.
Quaresima è il tempo di dire no all’asfissia che nasce da intimismi che escludono, che vogliono arrivare a Dio scansando le piaghe di Cristo presenti nelle piaghe dei suoi fratelli: quelle spiritualità che riducono la fede a culture di ghetto e di esclusione”. Per poi concludere che “Quaresima è il tempo per tornare a respirare, è il tempo per aprire il cuore al soffio dell’Unico capace di trasformare la nostra polvere in umanità. Non è il tempo di stracciarsi le vesti davanti al male che ci circonda, ma piuttosto di fare spazio nella nostra vita a tutto il bene che possiamo operare, spogliandoci di ciò che ci isola, ci chiude e ci paralizza. Quaresima è il tempo della compassione”.
Ciro Fusco
ACI Stampa, 20 febbraio 2018