Torino. L’ultimo addio alla piccola Bea colpita da una malattia rara

By 21 Febbraio 2018Salute

La bimba affetta dalla malattia rarissima che le rendeva impossibile muoversi si è spenta il giorno di San Valentino, sei mesi dopo la sua mamma. In Italia 500 mila con malattie rare.

Accolta da un lungo applauso ha fatto ingresso nella chiesa del Santo Volto la salma della piccola Bea, la bimba colpita da una malattia tanto rara quanto incurabile che aveva reso il suo corpicino calcificato, spentasi la sera di San Valentino, sei mesi dopo la scomparsa della sua mamma, Stefania, portata via da un tumore. Ad accogliere, la piccola bara bianca portata in chiesa a spalle dal papà e da altri familiari, anche la Nazionale Italiana dell’Amicizia travestiti dai supereroi che tanto Bea amava che fanno ala nella chiesa affollata.
Appoggiata alla bara coperta da fiori bianchi un dipinto che ritrae la piccola tra le braccia della sua mamma, e intorno tanti fiori, tra
cui spicca un cuscino di rose rosse a forma di cuore di mamma e papà, pupazzi e palloncini. Alle esequie partecipa anche la sindaca di Torino, Chiara Appendino.
Il messaggio dell’arcivescovo Nosiglia
L’arcivescovo Cesare Nosiglia ha voluto inviare un messaggio: «La scomparsa di questa bambina, la sua malattia rara ricordano a tutti noi che la vita è un mistero profondo; e che di fronte alla sofferenza e alla morte di persone innocenti non abbiamo risposte umane credibili, ma ci può sorreggere solo la fede nel Signore e nella sua parola di vita. La breve esistenza di Bea, la sua storia travagliata hanno suscitato, a Torino e in tutto il mondo, solidarietà e attenzione; hanno provocato tanta gente a pregare, e a compiere gesti concreti di carità».
In Italia oltre 500mila persone come Bea
A dare l’annuncio del decesso della bimba, il 14 febbraio, è stata la zia di Bea con un post sulla pagina Facebook “Il Mondo di Bea”, l’associazione creata per sostenere la nipote e per sensibilizzare la ricerca sulle malattie rare: «Beatrice questa sera è volata via – ha scritto la donna -. In questo giorno, dedicato agli innamorati, ha deciso di correre ad abbracciare la sua mamma. Saperle insieme sarà la nostra forza». E i malati come Bea, i cosiddetti malati “rari”, in Italia sono tantissimi: secondo il rapporto MonitoRare, presentato alla Camera nel luglio del 2017, tra i 450.000 e i 670.000, senza considerare i tumori rari.
Sono un numero imprecisato anche le malattie, fra 7mila e 8mila. Ma una cosa è certa: per almeno 3 su 10 non esiste ancora neppure una diagnosi. È il caso di quella che ha colpito in modo così spietato Bea: non ha un nome, tanto che per mesi la piccola è stata chiamata in modo spiccio dai giornali “la bambina di pietra”.
La ricerca? Un tema delicato, visto che queste patologie, proprio per la loro rarità, in molti casi non ricevono l’attenzione scientifica, politica ed economica di cui avrebbero bisogno le persone che ne sono colpite. Si tratta di patologie in gran parte di origine genetica sulle quali numerosi studi e ricerche sono in corso: nel 2015 ben un trial clinico su quattro nel nostro Paese ha riguardato le malattie rare, nel mondo oltre 100 miliardi sono investiti in questa branca della ricerca. Attualmente sono 560 i farmaci in sviluppo nel mondo per le malattie rare, 2.720 le domande per la qualifica di farmaco orfano presentate all’Agenzia europea del farmaco, 1.825 delle quali hanno ottenuto la designazione di farmaco orfano, mentre 129 sono le autorizzazioni all’immissione in commercio di farmaci.
Ma è necessario fare di più, anche attivando una fruttuosa cooperazione fra ricercatori, medici, pazienti, famiglie, istituzioni,strutture pubbliche e private: «Contro queste patologie – ha ammonito il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, in occasione della Giornata mondiale dedicata alle malattie rare dell’anno scorso (si celebra o il 28 o il 29 febbraio) – solo l’unione fà la forza: altrimenti non si otterrà alcun risultato». Sono patologie, ha detto, che riguardano «pochi malati per ogni singola patologia, però quando poi si sommano cominciano a diventare migliaia di persone che hanno bisogno di non essere lasciate sole».

Avvenire.it, 17 febbraio 2018