OLANDA, BELGIO E CANADA DOCENT

Oggi, nel mondo, l’eutanasia è legale in sette Paesi: Olanda, Belgio, Canada, Lussemburgo, Spagna, Colombia e Nuova Zelanda. Nelle prime tre nazioni da molti anni, nelle ultime tre da pochi mesi, mentre il Lussemburgo per la sua esiguità è statisticamente insignificante. Esaminiamo le drammatiche esperienze di Olanda, Belgio e Canada.

 Olanda

Rileggendo la storia degli ultimi decenni dei Paesi Bassi è evidente che “il percorso di morte” esordì nel 1971, quando si eliminò con la legalizzazione dell’aborto un pilastro fondante l’etica medica: la difesa totale della vita umana dal concepimento alla morte naturale. Immediatamente, l’Associazione dei Medici Olandesi, dichiarò che non avrebbe mai tollerato l’eutanasia, anche se, due anni dopo, un tribunale assolse un sanitario che “aveva accelerato” la morte della madre, e si espresse anche sulle modalità d’azione che un medico doveva adottare di fronte a un paziente che reclamava la morte. Questi suggerimenti furono formalizzati e applicati negli anni ottanta del ventesimo secolo. Un caso che fece scalpore riguardò lo psichiatra e psicoterapeuta Boudewijn Chabot che somministrò dei medicinali letale a una donna depressa di cinquant’ anni che aveva rifiutato il trattamento psichiatrico usuale e invocava il decesso.

La porta della “dolce morte” era aperta, e con il trascorrere degli anni si spalancò sempre di più fino al 2001, quando l’Associazione dei Medici ammise “I’eutanasia per pietà” che divenne Legge dello Stato nel gennaio 2002. Il testo della normativa indicava la legalizzazione dell’eutanasia come “accoglienza del desiderio del paziente” che possedesse le stesse caratteristiche presenti nella Sentenza della Corte Costituzionale Italiana 242/2019 riguardante il suicidio assistito. Dopo alcuni mesi, la norma olandese, fu ampliata autorizzando, come vedremo inseguito, il medico a sopprimere il sofferente motivato dal “miglior interesse per il malato”.

Emblematici, ma soprattutto scioccanti, furono i manifesti affissi in tutto il Paese che rappresentavano un Orso Yoghi sdraiato in una bara nell’atto di chiudere il coperchio. E, già nel 2005, solo il 15% dei medici olandesi rifiutava di compiere un atto eutanasico. Di conseguenza, non meraviglia, che tra i medici si narrano episodi allucinanti essendo divenuto per molti di loro consuetudine, anzi un vanto, uccidere un paziente per compiacerlo o per accondiscendere al desiderio dei famigliari. “So di un malato d’Alzheimer ricoverato in una casa per non autosufficienti. Una settimana dopo la famiglia lo trova in stato comatoso. Sospettando il peggio, lo trasportano all’ospedale, dove il paziente si riprende dopo l’infusione intravenosa di tre litri di liquido”. Di più: “Il figlio di un vecchio paziente ospedalizzato chiede ai medici di ‘accelerare il processo’ di morte, in modo che il funerale del padre possa avere luogo prima della sua partenza per le ferie all’estero già prenotate. I medici, per questa ragione, gli somministrarono cospicue dosi di morfina[2].

Con il trascorrere del tempo i casi “extra legem” divennero inarrestabili e i dati lo dimostrano. “Le uccisioni” annuali sono passate da 1.882 nel 2003 a 3.136 nel 2010, a 6.858 nel 2019, il 4,4% dei decessi della nazione. Inoltre, un’associazione, la “Nederlandese Verening Voor Vrijwillge Euthanasie” (NVVE) con 161mila iscritti, si sta battendo da anni per l’eutanasia accessibile a tutte le persone che “stanche della vita” intendono porre termine alla loro esistenza mediante la “Kill Pill” (la pillola che uccide), da acquistare nelle farmacie per poi assumerla nella propria abitazione. Anche se ciò non è ancora autorizzato, nelle norme in vigore dal 2015, si legge che per esigere la morte prima dei 70 anni, non è richiesto di essere affetti da una malattia mortale. “Un insieme di situazioni come problemi della vista, dell’udito, l’osteoporosi, l’artrite, problemi di equilibrio, possono causare sofferenze insostenibili senza prospettive di miglioramento” per cui, ovviamente, è meglio morire. Ad esempio, Gaby Olthuis, 52 anni, mamma di due figli di 13 e 15 anni, clarinettista in carriera e ammalata di acufene[3] reclamò nel settembre 2017 la “dolce morte”[4].

Ebbene, la legge eutanasica, si è ampliata e incrementata negli anni a situazioni diversificate spalancando le porte della “dolce morte” a molteplici fragilità. Questo dimostra che quando l’uccisione è “medicalmente accettata”, l’azione da brutale si trasforma in legittima, vantaggiosa e moralmente indifferente. Inoltre, l’eutanasia, è somministrata anche ai malati psichiatrici. Si afferma nella normativa del 2015: “Come soluzione alle inevitabili fragilità dell’esistenza umana, alle persone malate di mente è offerta la possibilità di prevedere in tempo la loro uscita da questo mondo, quando altri giudicheranno venuto il momento”.

Cari lettori, l’esperienza olandese, insegna che “è un’illusione pensare di poter limitare l’eutanasia e il suicidio assistito entro confini rigidi, controllando la pratica”[5], poiché in questo Stato si è partiti dall’uccisione degli ammalati terminali per passare ai bambini, come vedremo inseguito, e giungere alle categorie più fragili della popolazione, non solo a livello fisico ma anche psicologico. Una depressione, un fallimento finanziario, una delusione sentimentale… autorizzano la “dolce morte”.

Emblematico, tra i molti, fu la tragedia di Noa Pothoven, una diciassettenne che nel giugno 2019 si è “lasciata morire”  interrompendo l’alimentazione e l’idratazione con il consenso dei genitori essendo affetta da disturbi post traumatici, depressione e anoressia, per tre stupri subiti. La sofferenza psicologica che provava l’ha indotta a desiderare la morte.

Il fatto che Noa abbia scelto la morte; chiamatelo “suicidio assistito” o “eutanasia”, poco importa, non rende meno drammatico l’atto essendo “il sintomo di una società che non reagisce più al dolore e che trova come soluzione finire la propria esistenza grazie alla cultura della ‘buona morte’”[6]. Il professore Giuseppe Nicolò, psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale Asl Roma 5, così commentò il caso. “Non possiamo entrare nel merito di quanto dolore provasse la ragazza, ma immaginare che la soluzione a questa sofferenza sia porre fine alla vita, come psichiatra, lo ritengo inconcepibile”. E, alla domanda: “Professore, la ragazza dice che nessuno è stato in grado di aiutarla. Chi ha fallito? Davvero non c’era altra soluzione?”. La sua risposta:Ci sono trattamenti specifici per il disturbo post traumatico da stress che nella ragazza era diventato cronico. Esistono anche terapie farmacologiche per superare la sofferenza generata dal trauma. Lei era davvero molto giovane, immaginare, a quell’età, di dichiarare inguaribile un disturbo post traumatico e che l’unica soluzione sia quella di porre fine alla vita del soggetto è una cosa che per la mia formazione, per il mestiere che faccio, è inconcepibile. Ma la questione è culturale[7].

In Olanda, dal 2015 al 2019, 1.237 uomini e donne con problemi psichiatrici hanno ricevuto l’eutanasia; il 15% tra i 18 e i 40 anni. Tra questi, quanti come Noa Pothoven? Sicuramente molti!

Concludiamo questa rapida e incompleta carrellata con alcuni passaggi dell’intervista che Theo Boer[8], docente all’università di Utrecht, convinto e consapevole sostenitore all’inizio del ventesimo secolo di questa folle pratica, membro di uno dei cinque Comitati Regionali Olandesi di Revisione dell’Eutanasia, dunque un “esperto” della “dolce morte”, ha rilasciato al mensile Tempi.it. Oggi, è “pentito”, e lancia un appassionato e drammatico appello ai cittadini italiani: “non fate il nostro errore”. Ma purtroppo, come sta avvenendo da tempo, troppi italiani accecati dall’ultima “novità etica” o da quelli che definiscono “nuovi diritti”, hanno smarrito la capacità di oltrepassare “la punta del loro naso” non intuendo, anche di fronte alle evidenze, le conseguenze di alcune decisione. I più si riputano “homines sapientes” ma poi agiscono terribilmente da banali, ostaggi delle loro emozioni e suggestioni, non apprendendo nulla dalle esperienze altrui, avendo scordato che l’esperienza, anche degli altri, è sempre madre di scienza e di sapienza.

Domanda. Nel 2001 l’Olanda ha approvato la legge sull’eutanasia. Com’è cominciato il dibattito e con quali argomentazioni la legge fu accettata?

Boer. “Il dibattito cominciò alla fine degli anni Sessanta. L’influente psichiatra Jan Hendrik van den Berg sosteneva che i medici infliggessero grandi pene ai loro pazienti accanendosi continuamente nelle cure e che, invece, fosse necessario che prendessero coraggio per porre fine alle loro vite. All’inizio, l’eutanasia era considerata prevalentemente un ‘omicidio per pietà’. Negli anni Ottanta, decidemmo che l’eutanasia, per definizione, dovesse avvenire solo su richiesta. Si decise, inoltre, che se i dottori avessero rispettato certi criteri, non avrebbero potuto essere perseguiti per il reato di eutanasia. I criteri erano che il paziente fosse capace di intendere e volere e che ne facesse richiesta, che la sofferenza fosse insopportabile e senza prospettive di miglioramento, che non ci fossero alternative e che venisse consultato un secondo medico. Per questo fu istituita nel 1998 una Commissione di controllo dell’eutanasia e io ho fatto parte di una di queste commissioni per più di nove anni”.

Domanda. Chi si opponeva alla legge, cosa sosteneva?

Boer. “Dicevano che l’Olanda si sarebbe trovata su un pericoloso piano inclinato. E che bisognava migliorare le cure palliative. Soprattutto sostenevano che per principio una società non potesse occuparsi dell’uccisione organizzata dei suoi cittadini. Coloro che, come me, appoggiavano la legge sull’eutanasia, argomentavano parlando di pietà, di autonomia e di libertà individuale. Con il senno di poi, dico che ci sbagliavamo. L’eutanasia è diventata sempre più normale e diffusa a molti altri tipi di sofferenza, soprattutto esistenziale, sociale e psichiatrica”.

Domanda. Può descrivere gli effetti che questa legislazione ha avuto sulla società sia in termini numerici sia culturali?

Boer. “In Olanda la legge sul ‘suicidio assistito’ non ha chiuso la lunga discussione in merito; anzi, ne ha fatta cominciare un’altra. I sostenitori della libertà illimitata hanno visto la norma del 2001 come un trampolino di lancio verso diritti ancora più radicali. Inoltre, credo che la decisione sull’eutanasia non possa essere definita una decisione ‘autonoma’. È autonoma tanto quanto il voto per un dittatore”.

Domanda. In questi anni si hanno avuto notizie di persone che hanno avuto accesso all’eutanasia anche se erano solo depresse; oramai sembrano essere saltati tutti i paletti.

Boer. “La situazione è complicata. Primo, credo che l’Olanda abbia fatto un errore nella legge sull’eutanasia: alcuni criteri furono presupposti in maniera implicita. Ad esempio, la ‘sofferenza insopportabile’ fu un criterio, ma non fu specificato cosa si intendesse. Molte persone negli anni Novanta erano convinte che si parlasse di un contesto legato alla malattia terminale. In realtà, però, ogni paziente oggi può ottenere l’eutanasia. Stando letteralmente alla legge non devi essere nemmeno malato. All’inizio si stabilì anche che la dolce morte fosse permessa solo all’interno del rapporto medico-paziente, ma anche questo non fu specificato. Di conseguenza ora esiste addirittura un’organizzazione di dottori dell’eutanasia a domicilio (Clinica di fine vita) che ‘aiuta’ ogni anno centinaia di persone a morire”.

Domanda. Pare davvero, come sostenne Oriana Fallaci, che l’Occidente sia più innamorato della morte che della vita e quindi della tolleranza individualista che del sacrificio caritatevole. Non le mancano i segni della carità?

Boer. “Sì, mi mancano molto quei segni. La nostra società sottolinea così tanto la necessità dell’autonomia e dell’indipendenza, spingendo, ad esempio, ogni adulto sano ad entrare nel mercato del lavoro, che il risultato è spesso la grande solitudine di molti anziani. I loro figli, magari, li visitano una volta alla settimana o mensilmente o se ne prendono cura per alcune settimane, ma non possono offrire loro tutte le cure e le attenzioni di cui hanno bisogno. In ultima analisi, credo che il problema dell’eutanasia in Olanda sia in parte un conflitto intergenerazionale”.

Domanda. Cosa direbbe oggi alle persone che in Italia, come avvenne nel suo paese quindici anni fa, chiedono la legalizzazione dell’eutanasia?

Boer. “In una situazione in cui un numero crescente di persone soffre di solitudine, si può vedere l’eutanasia come la migliore soluzione ad essa. L’opzione dell’eutanasia può distogliere la nostra attenzione dalla ricerca delle alternative. L’eutanasia e il suicidio assistito sono legati alla libertà dell’individuo, ma si tratta anche di un evento sociale. L’omicidio di una persona ha conseguenze anche sulla vita degli altri! La morte assistita può spingere altri a richiederla. La sola offerta dell’eutanasia crea la sua domanda. Voi italiani non fate il nostro errore”[9].

Boer, però, non finisce di stupire. All’inizio del 2019 dichiarò che in Olanda negli ultimi anni si erano incrementate le “morti volontarie”, cioè i suicidi tra i giovani; 1.811 nel 2018 con un aumento del 44% dal 2007. Secondo l’ex membro della Commissione per l’eutanasia, ciò non è casuale ma dovuto alla cultura di morte sempre maggiormente presente nel Paese. Questa sua opinione la deduce notando che un ampliamento così preoccupante di suicidi è presente unicamente nelle Nazioni dove è stata legalizzata l’eutanasia. La riflessione di Boer fu riportata da N. Francis nell’articolo “Netherlands ‘suicide contagion from assisted dying”[10] (Paesi Bassi “contagio suicidario da morte assistita”) pubblicato dal Journal of Dying che riprende alcune frasi di Boer associate all’autocritica evidenziata precedentemente.

 Belgio

Il Belgio legalizzò l’eutanasia nel 2003, e più volte modificò la norma per ampliare le categorie a cui consentire la “dolce morte”. E, i numeri, sono “schizzati”.

È ciò che apprendiamo da uno studio pubblicato nel marzo 2015 da The New England Journal of Medicine, che esaminando i dati del 2013 evidenziò che dopo dieci anni dall’introduzione della normativa si era giunti a più di 1.000 morti all’anno; parecchi uccisi con motivazioni irrilevanti e irrisorie. Alla stessa conclusione giunsero anche K. Raus, S. Sterckx e B. Vanderhaegen dell’università di Gand nell’articolo pubblicato dal Journal of Medicine & Philosophy: “L’eutanasia in Belgio: carenza della legge e della sua applicazione e del monitoraggio” (febbraio 2021). “La legge – scrivono i tre ricercatori – è passata dall’essere usata per malattie gravi e incurabili ad essere usata per prevenire la stanchezza della vita[11].

Molteplici casi giustificano questa affermazione. Ad esempio quello di Tine Nys, una donna di 38 anni a cui nel 2010 venne diagnosticato un finto autismo; poi si scoprì che volle l’eutanasia essendo depressa dopo essere stata abbandonata dal fidanzato[12]. Oppure quello di Godelieva De Troyer, uccisa nell’aprile 2012, a 65 anni, perché depressa. Un caso nascosto dal governo per sette anni, obbligato poi a rivelarlo dalla Corte dei Diritti Umani di Strasburgo, alla quale si era rivolto il figlio della De Troyer.

Da ultimo, non possiamo trascurare l’ampia indagine, ancora in corso a Lovanio, che intende accertare se dal novembre 2020 al giugno del 2021 a decine di persone sia stata praticata l’eutanasia in violazione alle norme vigenti[13].

Approfondiamo ulteriormente le “motivazioni di morte” in Belgio esaminando i dati del 2019, l’ultimo anno di cui possediamo un report ufficiale, cioè il “Rapporto alle Camere Legislative della Commissione Federale di Controllo e di Valutazione dell’Eutanasia”. Dal documento costatiamo che il 64% dei casi erano malati tumorali, il 25% soffrivano di poli patologie, una situazione classica dell’anziano, il 7% erano affetti da patologie del sistema nervoso e il 4% del sistema respiratorio[14].

Essendo la popolazione del Belgio composta da circa 11 milioni di abitanti, se gli stessi dati riguardassero l’Italia, i morti potrebbero essere 6/7mila ogni anno. Ma, i belgi, anche se tardivamente, stanno comprendendo l’errore commesso, e sempre più persone si recano nei Comuni dove hanno depositato “la dichiarazione anticipata di eutanasia” per annullarla. 170.942 domande registrate nel 2004; 128.291 quelle presenti e valide nel 2019.

 Canada

In Canada l’eutanasia fu legalizzata nel dicembre 2015. E, nel 2019, 4.235 persone l’hanno richiesta con un incremento del 57% rispetto al 2018 quando ci furono 2.704 decessi, il 168% in più del 2017 e il 195% in più del 2016[15].

Accanto ai numeri, quello che preoccupa, fu l’immediata e totale condivisione dei medici che ora reputano la MAID (morte medicalmente assistita) un atto equivalente a qualsiasi altra pratica terapeutica.

Appena approvata la legge, per ottenere la “dolce morte”, erano richiesti la maggiore età, l’iscrizione ai servizi sanitari finanziati dal governo federale, il dimostrare di essere affetti da una malattia o disabilità che a breve avrebbe portato alla morte, il presentare una richiesta volontaria e il consenso informato.

Ma come in Olanda e in Belgio la “malvagità” non ha confini!

Il 24 febbraio 2020, il Ministro della Giustizia e il Procuratore Generale del Canada presentarono un disegno di legge per modificare gli articoli del Codice penale riferiti alla MAID, in particolare quelli che ancoravano la richiesta di eutanasia a una morte “ragionevolmente prevedibile”. Questo scempio divenne normativa dello Stato con la legge BILL C-7 del 17 marzo 2021 ampliando le opportunità di accedere all’eutanasia. Ora, per avvalersi della pratica eutanasica, non necessitano più gravi sofferenze fisiche o accentuate disabilità, ma l’accesso è consentito a chi è affetto da qualsiasi infermità o fragilità, anche la solitudine e l’isolamento. E, l’11 marzo 2023, toccherà ai malati mentali. Ma, per non farsi mancare nulla, la nuova normativa afferma pure che i vincoli precedenti costituivano una violazione dei “diritti umani”.

Un’attenzione merita anche il Québec, una provincia del Canada a maggioranza francofona con 8.485.000 abitanti. Nel rapporto della “Commissione sul Fine Vita” presentato nell’ottobre 2019, riguardante le 1.300 persone eliminate in quella provincia tra il 1° aprile 2018 e il 31 marzo 2019, rileviamo che tredici casi erano totalmente mancanti dei requisiti previsti dalla legge[16]. In una nota a piè di pagina si puntualizza che “in tre casi la diagnosi era una frattura dell’anca”. La conclusione della nota: “La Commissione è del parere che la frattura dell’anca non sia una malattia grave e incurabile”, ma si è proceduto ugualmente alle uccisioni.

Non può fuggirci infine, che nel pieno della pandemia, quando in tutto il mondo abbiamo assistito alla commuovente ed eroica abnegazione di medici e di infermieri, e in Italia abbiamo dovuto contato 359 medici morti e decine di infermieri che hanno onorato fino all’ultimo respiro le loro professioni nel tentativo di salvare migliaia di vite, in Canada l’Associazione “Compassion and Choiche”, una delle più attive organizzazioni pro eutanasia, raccoglieva fondi per attivare l’ “eutanasia remota” o “telehealth”. Ha scritto l’Associazione nella sua newsletter: “Come sempre, stiamo rispondendo rapidamente ai bisogni e alle opportunità dei tempi. Mentre la forza lavoro è alle prese con la pandemia, la telehealth sta guadagnando importanza come modalità critica per fornire assistenza medica ai pazienti che chiedono l’eutanasia e il suicidio assistito. Ciò offre un’opportunità unica per assicurarsi che i sistemi sanitari e i medici stiano utilizzando la telemedicina anche per i pazienti che cercano di accedere alle opzioni di assistenza di fine vita. Questi sforzi dovrebbero migliorare l’accesso agli aiuti medici del morire a breve e lungo termine[17]. Pertanto, in vari casi, la richiesta di morte è valutata unicamente tramite la teleassistenza e, la prescrizione di farmaci letali, autorizzata senza nessun dialogo e rapporto con il paziente.

Leggiamo nel Vangelo che il Signore Gesù afferma: “I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (Lc. 16,8). Così possiamo interpretare l’ultima trovata canadese, quella del “Prediction for elder-life in the comunity” (detto: Respect). Un solfware che pronostica la morte con sei mesi di anticipo; uno strumento che potrebbe persuadere molti a “togliere il disturbo” in anticipo. E, contemporaneamente, sul Canadian Medical Association Journal, fu pubblicato uno studio che stimò in 138 milioni di dollari annui il risparmio per lo Stato quando la legge BILL C-7 sarà “a pieno regime”.

 Ai minori

Giuseppe Povia, cantautore e blogger italiano, vincitore del Festival di Sanremo 2006, scrisse nel 2016 una canzone dedicata ai bambini: “Dobbiamo salvare l’Innocenza” nella quale affermava: “Ma quale progresso? Sono solo bambini! Lasciamoli fuori dalle nostre battaglie, fuori dalle nostre guerre, fuori dai nostri egoismi perché la vita non si vende, non si inganna…[18]. Ma già molti anni fa il cantautore Giorgio Gaber ammoniva: “Non divulgate illusioni sociali ai bambini, non gli riempite il loro futuro di vecchi ideali.
L’unica cosa sicura è tenerli lontano dalla nostra cultura
[19]. Questa visione dei due cantautori è ben riassunta per la nostra tematica dal noto avvocato statunitense Wesley J. Smith: “Se si apre a questa cultura non c’è più modo di fermarsi (…) sono passati ai bambini. Anche senza il consenso dei genitori. È l’implacabile forza di gravità degli abissi”.

Prima o poi, se anche in Italia fosse legalizzata l’eutanasia, si imporrà ai genitori di accettare l’uccisione da parte dello Stato dei propri figli,  in base all’ignobile motivazione del loro “best interest”, cioè “non è nel miglior interesse del bimbo proseguire i trattamenti vitali e curarlo fino alla morte naturale”. È già avvenuto a Charlie Gard (11 mesi), Isaiah Haastrup (12 mesi), Alfie Evans (23 mesi)…; casi che hanno mobilitato la coscienza morale mondiale e che narreremo  inseguito. Non sappiamo però, quanti altri piccoli, hanno subito lo stesso atroce trattamento.

Non stiamo parlando del passato ma del presente, non stiamo riferendoci a Stati bollati dalla storia come criminali ma di un Paese che si presenta al mondo come faro di civiltà, di libertà e di modernità, la Gran Bretagna dove l’eutanasia e il suicidio assistito sono illegali, e chi collabora per l’attuazione di questi due crimini è condannato per “istigazione al suicidio”. Comunque, l’Ordine dei Medici di quel Paese, sta attuando delle strategie per persuadere i propri iscritti a sviluppare una mentalità favorevole almeno al suicidio assistito.

Passiamo ora ad osservare cosa avviene in Olanda e in Belgio dove la pratica dell’eutanasia è stata legalmente estesa anche ai minori.

In Olanda, con il “Protocollo di Groningen” (elaborato dalla Clinica Universitaria di Groninger), dal 2004 l’eutanasia coinvolge chi ha compiuto i dodici anni e i bambini fino al compimento del primo anno di età se affetti da gravi malattie o malformazioni.

I rapporti ufficiali pubblicati dalla Commissione che “controlla l’eutanasia” parlano di 21 ragazzi e adolescenti che dal 2005 al 2019 hanno ricevuto la “dolce morte”, oltre 7 bambini nel primo anno di vita. Un ragazzo di 12 anni nel 2011, tra il 2012 e il 2014 cinque adolescenti sotto i 17 anni, nel 2015 uno di 16, nel 2016 due di 16 e 17 anni, altri tre sono stati uccisi nel 2017, quattro nel 2018 e cinque nel 2019. Quindici di loro erano malati di cancro, non si sa nulla invece degli altri sei come pure non abbiamo notizie riguardo ai bambini.

In Belgio, il Parlamento, ha legalizzato l’eutanasia per neonati, bambini, ragazzi e adolescenti il 14 febbraio 2014 al termine di una rapida discussione dalla quale sono stati esclusi pediatri ed esperti del settore e, poi, la firma del re Filippo il 2 marzo 2014. Ma, nonostante la solerte approvazione della legge, ritenuta da alcune correnti ideologiche improcrastinabile, nei due anni successivi non risulta nessuna domanda, mentre tra il 2016 e il 2019 hanno ricevuto l’iniezione letale tre ragazzi/adolescenti di 9, 11 e 17 anni. Quello di 17enne era affetto da distrofia muscolare di Duchenne, quello di 9 anni soffriva di tumore al cervello, mentre quello di 11 aveva la fibrosi cistica.

Ebbene, in Belgio, un neonato, un bambino, un ragazzo o un adolescente può ottenere l’eutanasia se soffre di dolori fisici intollerabili, oppure è giunto allo stadio terminale della vita. La richiesta deve essere libera e ottenere il consenso di entrambi i genitori oltre che del ragazzo se ha compiuto dieci anni. Ma è credibile che a dieci anni un ragazzo scelga liberamente di morire senza essere influenzato da terzi, comprendendo pienamente ciò che sta decidendo? E, chi soffre di fibrosi cistica, può essere definito un malato terminale? Le statistiche evidenziano un’aspettativa media di vita intorno ai 40 anni, età in continua crescita per i progressi della scienza.

Ad agosto 2020, la rivista Acta Obstetricia Et Gynecologica Scandinavica[20], ha riportato i risultati di 117 questionari somministrati a medici neonatologi e rianimatori operanti presso gli otto centri con un’unità di terapia intensiva neonatale nelle Fiandre. I risultati sono inquietanti. Il 79% si è espresso a favore dell’eutanasia anche per quei piccoli, che pur presentando delle criticità, abbiano la possibilità di sopravvivenza. Di più. In tanti chiedono la modifica della normativa vigente per escludere totalmente dalla decisione i genitori. Inoltre, l’85,6% dei medici, anche di fronte a diagnosi poco chiare e con prognosi imprevedibile, ritiene l’aborto a termine, cioè praticato fino al momento del parto, una soluzione adeguata.

Per me questo è infanticidio; voi sapete proporre un termine più adeguato?

Pure in Canada in molti stanno “lavorando” per l’eutanasia pediatrica, poiché oggi la “dolce morte” è legale solo dopo i 18 anni. Nell’ottobre 2018, i pediatri dell’Ospedale dei Bambini di Toronto pubblicarono sulla rivista British Medical Journal-J Med Ethics ipotetiche Linee Guida per l’eutanasia ai minori. In queste notiamo che i genitori verrebbero estromessi dalla decisione e informati unicamente dopo la morte del figlio. E, per quanto riguarda i ragazzi e gli adolescenti, per rimuovere l’ostacolo “padre e madre” e per salvaguardare la privacy del minore, alcuni hanno proposto che la decisione sia unicamente del medico, sempre per salvaguardare il “best interest” del suo piccolo o giovane paziente.

 

La beffa del “buon samaritano”

In società dove l’uomo corre il rischio di essere reputato   persona non per diritto di natura ma per un beneplacito delle istituzioni. In società in cui è diffuso un dilagante odio verso l’essere umano ritenuto da alcuni il “cancro” del pianeta. In società che perseguono l’adeguamento dell’individuo al pensiero dominante e alla schiavitù imposta dall’orwelliano “grande fratello”. In società che vorrebbero cancellare la dialettica e il dissenso, dove è in atto una colonizzazione culturale anche mediante la manipolazioni del linguaggio, che con il trascorrere del tempo, modifica anche il “modo di pensare”, si giunge a visioni assurde, offensive e oltraggiose dell’intelligenza umana.

Ci riferiamo alla biasimevole dicitura coniata in questi tre Paesi: “l’eutanasia del buon samaritano” che, tra l’altro, stravolge totalmente una nobile parabola evangelica.

La pratica è illustrata in un articolo della rivista scientifica Jama Surgery: “La donazione di organi post eutanasia iniziata a casa è più che praticabile”[21]. Johan Sonneveld e Johannes Mulder, chirurghi, tentano di giustificare la positività della “dolce morte” mettendola in relazione con la donazione di organi. “Possiamo fare di meglio. I nostri pazienti meritano di meglio. I pazienti non meritano di vivere, bensì di essere uccisi e svuotati a dovere”. Quali sono i cadaveri più eccellenti? I malati mentali e i depressi essendo spesso giovani con corpi sani.

In Canada va anche peggio. “Dal 2016 a oggi – leggiamo sul Wall Street Journal del 23 giugno 2019 – circa trenta pazienti sottoposti a eutanasia hanno donato i loro organi dopo la morte”. Le Linee Guida diffuse il 3 giugno 2019 dall’Associazione Medica Canadese chiariscono che la rimozione dell’organo non può avvenire prima che il cuore abbia cessato di battere. Ma, alcuni esperti del settore, hanno attaccato questa restrizione. Sul New England Journal of Medicine, due ricercatori canadesi e un bioeticista di Harvard hanno espresso la loro contrarietà poiché questo limite riduce la qualità degli organi donati. Il modello da seguire, suggeriscono, è quello di uccidere il paziente rimuovendone gli organi, poiché i migliori provengono da persone ancora in vita. E allora, per i tre, la “morte per rimozione di organi” sarebbe il metodo più efficiente.

Comunque, state tranquilli, nulla di nuovo sotto il sole. Già nel 1994 Asia Watch nel rapporto: “Rifornimenti di organi ed esecuzioni giudiziarie in Cina” denunciò che quel Paese si avvaleva dei condannati a morte per il prelievo di organi[22]. Di più: “I condannati a morte sono diventati una fonte importante e alcune esecuzioni sono fatte in modo che il prigioniero non muoia immediatamente e quindi ci sia il tempo sufficiente per il prelievo”.

NOTE

[2] Testimonianza del professore K. Gunning al Convegno Internazionale dei Medici Cattolici, 5 Dicembre 2015.

[3] L’acufene è un disturbo della capacità uditiva e consiste nella percezione di rumori, suoni, fischi e ronzii.

[4] https://www.parool.nl/nieuws/euthanasie-vanwege-oorsuizen-op-het-ein d-zag-je-de-dood-in-haar-ogen~b8d1939c/?

[5] Intervista di Benedetta Frigerio a Theo Boer, Tempi.it, 1luglio 2015.

[6] Comunicato Stampa di Pro Vita & Famiglia, 4 giugno 2019.

[7] https://www.huffingtonpost.it/entry/da-psichiatra-trovo-inconcepibile-togliersi-la-vita-a-17-anni-a-causa-della-depressione_it_ 5cf6b96ce4b0e8085e4209e8)

[8] Il suo curriculum: https://cbhd.org/content/theo-boer-phd

[9] Intervista di Benedetta Frigerio a Theo Boer, op. cit.

[10] https://www.dyingforchoice.com/sites/default/files/JAD/JAD_04-01_1 -11_2019.pdf

[11] https://academic.oup.com/jmp/article/46/1/80/6118631?login= true# 22 6657626

[12] https://www.bbc.com/news/world-europe-51103687

[13]https://www.brusselstimes.com/news/belgium-all-news/141630 /euthanasia-leuven-prosecutor-investigating-dozens-of-cases/

[14]https://organesdeconcertation.s+ante.belgique.be/sites/default/files/documents/9_rapport-euthanasie_2018-2019-fr_0.pdf

[15] https://www.canada.ca/content/dam/hc-sc/documents/services/medical

-assistance-dying/annual-report-2020/annual-report-2020-eng.pdf

[16] http://m.assnat.qc.ca/en/redirection.html?d=www2.publicationsduque bec.gouv.qc.ca/dynamicSearch/telecharge.php%3Ftype%3D5%26file% 3D2014C2A.PDF. L’affermazione è a pg. 11.

[17] https://www.lifesitenews.com/opinion/assisted-suicide-lobby-call-for-teledeath-remote-euthanasia-during-pandemic/

[18] https://www.angolotesti.it/P/testi_canzoni_povia_3951/testo_canzone _dobbiamo_salvare_linnocenza_2040867.html

[19] https://www.angolotesti.it/G/testi_canzoni_giorgio_gaber_4285/testo_ canzone_non_insegnate_ai_bambini_157448.html

[20] https://obgyn.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/aogs.13967? Af =R

[21] https://jamanetwork.com/journals/jamasurgery/fullarticle/2776765

[22] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/08 /29/ nelle-carceri-cinesi-si-prelevano-gli.html