Il direttore di Malattie infettive al Policlinico di Milano: il Sistema sanitario può gestire un’eventuale nuova ondata, ma davvero non ce la meritiamo. E il bello è che esistono gli strumenti per evitarla. L’atteggiamento dei no vax non ha giustificazioni
Andrea Gori, direttore del reparto di Malattie infettive al Policlinico e professore ordinario alla Statale di Milano, secondo l’ultimo report dell’Iss sono in aumento i contagi negli over 40 mentre calano nei più giovani. Come è possibile?
«Uno dei motivi è che nelle fasce di età più basse l’infezione si manifesta spesso in modo asintomatico o paucisintomatico: probabilmente c’è una forte sottostima del dato perché in pochi si sottopongono volontariamente ai test. Gli over 40, al contrario dei giovani, hanno paura della malattia perché sanno di correre rischi maggiori. La categoria più critica è quella degli over 50, in cui ci sono ancora 6,5 milioni di persone non vaccinate. Il 10% della popolazione italiana».
Cosa sta succedendo nel suo ospedale?
«Il reparto Covid è pieno, a conferma dell’aumento di contagi che si è verificato nell’ultimo periodo. Oltre il 90% dei ricoverati non è vaccinato ed è una cosa difficile da capire: abbiamo un’arma potentissima per proteggerci e alcuni non la sfruttano. Rischiano la vita, ma continuano a sostenere, peraltro senza alcuna motivazione scientificamente valida, la scelta di non vaccinarsi. Sono convinto che il Sistema sanitario possa gestire un’eventuale nuova ondata, ma davvero non ce la meritiamo. E il bello è che esistono gli strumenti per evitarla. L’atteggiamento dei No vax non ha giustificazioni».
Crede che l’obbligo vaccinale potrebbe essere una strada percorribile?
«A livello generale no, ma sono favorevole all’obbligo per chi svolge un lavoro ad alto impatto sociale e a contatto con tante persone. Penso ai medici, tutto il personale sanitario, gli insegnanti».
C’è il rischio di tornare alla didattica a distanza?
«Dobbiamo fare di tutto per salvaguardare la scuola in presenza. I nostri ragazzi hanno sofferto troppo a lungo, soprattutto per la mancanza di contatti sociali. C’è bisogno di normalità e gli insegnanti senza green pass la mettono a rischio».
È importante che i ragazzi tra 12 e 17 anni si vaccinino?
«Sì, è fondamentale e stanno dimostrando grande senso di responsabilità. Non tanto per il rischio di malattia grave e morte, che è basso, quanto per limitare la circolazione del virus, unico modo per scongiurare il rischio di nuove varianti. La Delta è più contagiosa del ceppo originario Wuhan del 70%, le nuove mutazioni potrebbero trasmettersi ancora più velocemente. Sars-CoV-2 muta poco, per esempio rispetto a Hiv e Hcv (responsabile dell’epatite C, ndr), ma ogni nuovo ceppo aumenta la propria capacità di trasmissione. Questo è il motivo per cui non potremo raggiungere l’immunità di gregge. Abbiamo però le armi per ridurre la corsa del virus: i vaccini. Ecco perché è importante che tutta la popolazione dai 12 anni in su riceva le due dosi. I giovani sono spesso asintomatici o paucisintomatici ma, avendo molti contatti sociali, sono coloro che innescano la diffusione dei contagi».
Crede che sarà necessario un ulteriore richiamo?
«Non abbiamo dati sufficienti per stabilirlo. Dobbiamo studiare la durata dell’immunità indotta dai vaccini, solo allora si potrà prendere una decisione al riguardo. C’è una sola eccezione: nelle persone fortemente immunodepresse (per esempio pazienti oncologici e trapiantati) la terza dose offre un evidente beneficio a livello di risposta protettiva».
Possiamo sperare che il virus diventi endemico?
«L’altissima efficacia dei vaccini ci consente di essere ottimisti. Ma ci sono quattro variabili che potrebbero ribaltare la situazione: la durata della risposta immune prodotta dai vaccini, il numero (ancora troppo elevato) di persone non immunizzate, il rischio che emergano nuove varianti e infine la questione principale: la pandemia è globale e come tale va affrontata, altrimenti non ne usciremo mai».
Laura Cuppini
Corriere della Sera – 23 Agosto 2021