Dopo lo scandalo degli abusi sessuali commessi all’ombra di alcune delle maggiori Ong del mondo, scoppia un altro bubbone nel mondo della solidarietà internazionale: in Uganda, milioni di dollari di cooperazione sono andati perduti, i profughi erano molti meno di quelli dichiarati e quelli reali erano lasciati sulle loro gambe.
Decine di milioni di persone nel mondo per vivere dipendono del tutto o in parte, anche per lunghi periodi, dagli aiuti forniti dalla cooperazione internazionale. I rifugiati e gli sfollati da soli sono circa 60 milioni, ma il numero degli assistiti raddoppia, come minimo, aggiungendo le persone colpite da calamità naturali e quelle vittime di conflitti, di politiche economiche fallimentari, corruzione e malgoverno. Quasi tutti i fondi richiesti per soccorrerle provengono dai paesi occidentali. Il compito di provvedere ai loro bisogni è affidato alle agenzie Onu – Acnur, Unicef, Pam… – e alle organizzazioni non governative che, tra piccole e grandi, locali e internazionali, sono decine di migliaia.
Nei giorni scorsi nel mondo della cooperazione internazionale, denunciati dai mass media, sono scoppiati due scandali entrambi gravissimi. Eppure di uno già non si parla quasi più e l’altro, almeno in Italia, è stato pressoché ignorato. Il primo è lo scandalo sessuale che ha investito il personale di alcune delle Ong più accreditate: Oxfam e Save the Children. Il secondo riguarda la scoperta di frodi e altri abusi nella gestione dell’assistenza ai rifugiati in Uganda.
The Times il 9 febbraio ha rivelato che numerosi dipendenti di Oxfam e Save the Children hanno tenuto “comportamenti sessuali inappropriati” ad Haiti e in altri paesi, senza per questo subire altra conseguenza che la richiesta, per quattro di essi, di dimettersi prima della conclusione delle indagini interne, “per consentire una loro uscita di scena graduale e dignitosa” (Volontari e violentatori: il lato oscuro della solidarietà). Nei giorni successivi sono stati divulgati altri dettagli “assolutamente raccapriccianti”, per dirla con il primo ministro britannico Theresa May. È emerso tra l’altro che tre dei dipendenti oggetto di indagine interna Oxfam ad Haiti sono ricorsi a minacce fisiche per intimidire i testimoni.
Lo scandalo potrebbe coinvolgere anche Medici senza frontiere. Il 16 febbraio il presidente di Haiti Jovenel Moise ha chiesto conto alla Ong dell’improvviso rimpatrio di 17 dipendenti. “Il caso Oxfam – ha dichiarato il presidente in una intervista dell’agenzia Reuters – non è che la punta di un iceberg, altre Ong sono nella stessa situazione e nascondono informazioni”.
Il 21 febbraio il ministro britannico dello sviluppo internazionale Penny Mordaunt, in un intervento alla Camera bassa, ha accusato Oxfam di aver ingannato, “con tutta probabilità deliberatamente”, governi, polizia e società civile nascondendo la portata e la natura dello sfruttamento sessuale di cui i suoi dipendenti si sono resi responsabili. Mentre il ministro Mordaunt stava parlando, Save the Children ha porto scuse formali a tre donne oggetto di comportamenti e commenti inappropriati da parte di Justin Forsyth, all’epoca in cui era amministratore delegato della Ong. Il giorno successivo Forsyth, che dal 2016 è vicedirettore dell’agenzia Onu per l’infanzia Unicef, ha annunciato le proprie dimissioni.
Circa 7.000 persone hanno già interrotto le donazioni a Oxfam. Il governo britannico ha bloccato i finanziamenti alla Ong e adesso minaccia di tagliare anche i contratti pubblici stipulati. Il governo di Haiti ha deciso di sospendere per almeno due mesi l’autorizzazione a Oxfam di operare nell’isola.
Il 17 febbraio, intervistato dal quotidiano britannico The Guardian, l’amministratore delegato di Oxfam Mark Goldring aveva denunciato risentito “l’intensità e la ferocia degli attacchi” alla sua Ong, protestando che si stava ingigantendo e manipolando lo scandalo: “alla fine, che cosa abbiamo mai fatto? – aveva detto – mica abbiamo ucciso dei neonati in culla!”. Qualche giorno dopo Goldring si è scusato per l’uscita infelice. Intanto, per mitigarne l’effetto, il direttore esecutivo di Oxfam, Winnie Byanyaima, aveva promesso: “Oxfam farà ammenda e procederà a una completa riorganizzazione, ma non deve assolutamente morire, il mondo ha bisogno di noi”.
Dell’altro scandalo, in Uganda, ancora non si conosce l’esatta portata, ma si sospetta enorme. Il paese finora era considerato il miglior luogo al mondo in cui chiedere asilo, portato a esempio dall’Acnur per la sua generosa volontà di accoglienza e integrazione: libertà di circolazione a tutti i rifugiati – stimati in 1,4 milioni – casa, cibo, istruzione scolastica e servizi sanitari gratuiti, piccoli appezzamenti di terra da coltivare. La realtà in effeti è diversa. Ricevuti alcuni attrezzi agricoli, materiali per costruirsi un riparo e le prime razioni di cibo, i rifugiati di solito si devono arrangiare. L’accoglienza inoltre è resa possibile grazie ai generosi fondi della cooperazione internazionale, quelli ordinari (che provvedono al 40% del bilancio nazionale) e quelli destinati ai rifugiati, la maggior parte dei quali arrivano dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti.
Lo scorso giugno l’Acnur ha organizzato una conferenza speciale con l’obiettivo di raccogliere almeno due miliardi di dollari. Adesso tutti si domandano che fine abbiano fatto. I fondi necessari si calcolano in funzione del numero di persone da assistere ed ecco che il rappresentante Onu per l’Uganda Rose Malango scopre che qualcuno ha notevolmente gonfiato il numero dei rifugiati presenti nel paese. Non solo. I primi accertamenti hanno individuato frodi – ad esempio, falsi documenti relativi alla consegna mai effettuata di generi alimentari – organizzazioni che praticano la tratta di donne e bambine, destinate alla prostituzione e a matrimoni forzati, addetti che fanno pagare ai rifugiati dei servizi che dovrebbero essere gratuiti. Da un controllo a campione è emerso ad esempio che un campo profughi vicino alla capitale Kampala ospita 7.000 rifugiati mentre ne sono stati dichiarati 26.000. “Che fine fanno il cibo, il denaro e le altre risorse che dovrebbero servire ad assistere i 19.000 rifugiati mancanti?” si domanda il quotidiano ugandese Daily Monitor che all’inizio di febbraio ha fatto scoppiare lo scandalo. Tutti sono coinvolti: governo, Ong, Acnur. L’agenzia Onu per i rifugiati assicura i donatori che, insieme al governo ugandese, sta già rivedendo e rafforzando controlli e monitoraggi per combattere la corruzione e proteggere donne e bambine. Stati Uniti, Unione Europea e Gran Bretagna minacciano di sospendere i finanziamenti. Il primo ministro ugandese Ruhakana Rugunda replica: “quanto emerso non cambia né compromette il primato dell’Uganda e il suo indiscusso impegno in favore dei rifugiati”.
Anna Bono
La Nuova Bussola Quotidiana, 26 febbraio 2018