Le ipotesi sulle mutazioni della Delta e l’evoluzione da pandemia a endemia. Decisiva la variabile vaccini
La stagione fredda è alle porte e sono passati quasi due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19. È possibile prevedere come cambierà il virus nel prossimo futuro? Le ultime ipotesi epidemiologiche suppongono una lunga convivenza con il Sars-CoV-2, ma le incognite sono più delle certezze, perché questo virus non assomiglia del tutto ai quattro coronavirus ancora circolanti e nemmeno all’influenza che affrontiamo ogni inverno. Non si esce da una pandemia in una settimana: serve una fase di transizione che potrebbe svolgersi proprio questo inverno e che porterebbe da una pandemia a un’endemia (quando una malattia contagiosa è costantemente presente, ma il cui numero di casi annuale non è soggetto a grosse variazioni). Gli scenari dipendono da numerosi fattori in gioco e da come evolveranno.
In gran parte del mondo le infezioni rimangono incontrollate e questo dà al virus maggiori possibilità di mutazioni: potrebbe diventare più trasmissibile, riuscire a eludere le difese del sistema immunitario o risultare più virulento. La variante Delta, prevalente ormai in tutto il mondo, ha confermato però «l’abitudine» di molti patogeni a evolversi verso una maggior infettività, piuttosto che letalità. Dove si è imposta, la Delta ha cancellato anche le varianti più preoccupanti rispetto alla capacità di «bucare» i vaccini. Gli scienziati ipotizzano pertanto che l’unica strada del Sars-CoV-2 passi attualmente dalle singole mutazioni della Delta, di cui si segnalano già diversi sottotipi, ad esempio nel Regno Unito. L’adattamento di un virus all’uomo è un processo che non dura per sempre. Nel frattempo, l’infezione naturale e i richiami dei vaccini potrebbero «ricaricare» l’immunità acquisita e «insegnare» ai nostri corpi a riconoscere nuove mutazioni. Anche il numero di persone «suscettibili» (completamente vulnerabili) è destinato a calare: la diffusione del Covid rallenterà e il virus avrà meno opportunità di cambiare.
L’altra variabile centrale nella lotta al Covid sono i vaccini. L’arretramento o meno della pandemia dipende dal tasso di vaccinazione e dalla diffusione e capillarità dell’immunizzazione: in alcuni Paesi si contano percentuali di vaccinati che arrivano al 90% della platea eleggibile, ma in Africa, ad esempio, si scende sotto al 10%. La pandemia non può finire finché in gran parte del mondo le infezioni corrono incontrollate. Altra incognita è rappresentata dal numero di individui che non si vaccineranno mai: quanti sono e come si distribuiscono? Anche i bambini sotto i 12 anni attualmente sono esclusi dall’immunizzazione. I vaccini stessi pongono alcuni interrogativi: si sono dimostrati estremamente efficaci contro la malattia da Covid, non lo sono totalmente contro la possibilità di contagiare e i richiami sono stati studiati perché l’immunità data dalla vaccinazione pare indebolirsi (in media dopo circa 6 mesi). Tutto questo comporta una certa soglia di circolazione del virus.
I possibili esiti
Lunga convivenza con il Sars-CoV-2, picchi ridotti, mortalità simile all’influenza
Infine, non va dimenticato che i comportamenti umani contano moltissimo: prima dell’avvento della vaccinazione di massa, ogni drastica riduzione della circolazione del coronavirus è stata ottenuta con provvedimenti di chiusure e misure di distanziamento. La sospirata «immunità di gregge», si è scoperto, è una chimera, dato che i vaccini non fermano tutti i contagi.
In questo contesto, l’evoluzione del virus da pandemico a endemico probabilmente avverrà in momenti diversi nel mondo e la transizione non sarà improvvisa.
Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas e presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca, ipotizza una lunga convivenza con il Sars-CoV-2, finché non sarà colmato il divario tra i Paesi del mondo in merito ai tassi di vaccinazione. Maria Van Kerkhove, capo dell’Unità di malattie emergenti dell’Oms, pensa a picchi meno alti, ma «più acuti in popolazioni specifiche, come i non vaccinati e i fragili». Trevor Bedford, biologo computazionale presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, immagina un virus tre volte più contagioso dell’influenza, ma con un tasso di mortalità simile a questa. Lo Statens Serum Institute (Ssi) danese lega l’aumento dei casi al tasso vaccinale e al livello di riaperture: il Regno Unito ha tolto ogni restrizione il 19 luglio, quando solo circa la metà della popolazione era completamente vaccinata, e i casi e i morti oggi sono in aumento. Sulla rivista Scienc e lo scenario ipotizzato è sempre quello del comune raffreddore, con una prima malattia durante l’infanzia, seguita da infezioni lievi ricorrenti.
Silvia Turin – Corriere della Sera – 17 Ottobre 2021