Anche nelle Fiandre va in onda un programma per aspiranti genitori di neonati da dividere con altre coppie, single, gay o etero. Senza sesso e complicazioni affettive perché secondo gli esperti è meglio essere figli di un progetto che dell’amore.
Questa «classica idea del trovare l’amore della tua vita e farci dei figli è ormai superata», non c’è «niente di meglio» per un bambino che sentirsi frutto di una «co-genitorialità consapevole» invece che di una «genitorialità naturale e accidentale», in quanto la prima, al contrario della seconda, porta molta, «molta stabilità, nella vita e nell’interesse del bambino». Avete capito? No? Meno male: il virgolettato è di Frederik Swennen, professore di diritto di famiglia all’Università di Anversa, grande sostenitore del rimpiazzo della “famiglia tradizionale” con costellazioni “queer” e unioni alternative a quelle coniugali, nonché uno degli “esperti” che accompagnano i futuri genitori nel programma Ik wil een kind (“Voglio un bambino”) in onda da questa settimana sul canale televisivo fiammingo VTM.
Non è una innocua notiziola di costume, pare che Caroline Vrijens, commissario per i diritti dell’infanzia istituito dal parlamento fiammingo si sia quasi strozzata col caffè solo a leggere il titolo del reality che lancia un appello a coppie, sigle, omo ed etero per fare figli al di fuori di una relazione coniugale, con due, tre, o più persone: possibile dimenticare che un bambino è un soggetto giuridico e non un oggetto di ogni desiderio legale?
Co-genitorialità e bimbi smezzati
Di per sé Ik wil een kind non ha nulla di nuovo e da invidiare a Strangers Making Babies (“Sconosciuti che fanno bambini”), reality show ben più famoso in onda sull’emittente pubblica britannica Channel 4 (Tempi ne aveva parlato qui) a tema “co-genitorialità platonica”, evoluzione naïf della catena di montaggio riproduttiva che tanto pare andare di moda nei paesi anglosassoni. Paesi che a proposito dei diritti dei bambini a loro volta non avrebbero nulla da invidiare a Belgio, Paesi Bassi e dintorni, dove, per capirci, la fiera dell’utero in affitto “Men Having Babies”, coi suoi pacchetti di neonati all inclusive in vendita a 160 mila dollari, continua a fare sfracelli.
Dalla compravendita dei bambini alla luce del sole, in giacca e cravatta, portafoglio alla mano, in barba a leggi locali e convenzioni internazionali, al “progetto bambino” da smezzare tra adulti il passo è breve. Per chi vivesse ancora nel Medioevo spieghiamo: i co-genitori sono due adulti che non si amano ma decidono di “accoppiarsi” (spesso grazie ad algoritmi o test di compatibilità) al solo scopo di realizzare un figlio esente dalle “complicazioni” del rapporto di coppia. Non serve l’affetto, basta arrivare al prodotto e poi dividerne costi ed oneri. Non serve nemmeno il sesso ma una firma: certo, c’è chi ancora va a letto, previo scambio di screening medici sulle malattie a trasmissione sessuale, ma è molto più facile e frequente andare in laboratorio a fare l’inseminazione artificiale o, in caso di problemi di fertilità, ricorrere al vitro.
Bambini progettati, bambini voluti
Dopo di che probabilmente nascerà un bambino: un bambino che secondo la professoressa Susan Golombok, direttrice del Center for Family Research dell’Università di Cambridge e autrice di We Are Family (studio sui figli della fecondazione in vitro, donazione di sperma e ovuli e maternità surrogata, nonché di madri lesbiche, padri gay o single) che segue decine di famiglie di co-genitori “elettivi”, non avrà da soffrire dalla situazione perché «escludere il bagaglio romantico dalla relazione genitoriale può persino creare un ambiente più stabile».
Affermazioni come queste, enfatizzate dal New York Times al Guardian, avevano mandato in estasi il covo di Vanity Fair dove, qualche mese fa, ci si era occupati dei vantaggi indiscutibili della pratica: vuoi mettere – al netto dei fronzoli era questo il senso dell’articolo – il logorio di dover cercare, aspettare, l’uomo giusto, condizionare una gravidanza a carriera e situazione finanziaria per poi magari incorrere in un fallimento, una separazione, un divorzio, quando invece, come dice Golombok, si possono realizzare à la carte, «famiglie ben adattate, a volte più di quelle tradizionali. Questi sono bambini fortemente voluti»?
Genitori separati, genitori organizzati
Prova provata del successo della “coppia platonica”, «un concetto ben radicato nelle comunità gay che si sta diffondendo tra i single eterosessuali», sarebbe il boom di iscrizioni ai siti di “parental matchmaking” (durante il lockdown, scriveva il Telegraph, i siti Coparents.co.uk o PollenTree.com hanno segnalato traffico in aumento fino al 50 per cento) che vanno ispirando programmi televisivi dove tutto è così adulto, controllato, garantito e responsabile da avvenire sotto le telecamere sotto la guida di un panel di esperti del “progetto bambino”: nel caso del programma fiammingo, accanto al luminare del diritto della famiglia troviamo anche una “coach del desiderio di avere un figlio”, madre di due figli avuti in co-genitorialità con una coppia omosessuale; un medico della fertilità dell’UZ Brussel, una psicologa familiare dell’Università di Gent. Chiederete, ma come si fa a dividere un bambino? Come fanno i genitori separati: ci sono due case, due camere da letto, due famiglie eccetera. Solo che non si chiamano più genitori separati ma organizzati. Non c’è fallimento ma consapevolezza.
Un documentario della Bbc dedicato ai genitori platonici che fanno famiglia incontrandosi sui portali dedicati raccontava la storia di Nisha Nayak, psicologa quarantenne che si identificava come “queer” e che dopo essere uscita a mangiare una pizza con un altro utente del portale Modamily (Charles, infermiere omosessuale sposato con Lynn) si era accordata con lui per la fecondazione in vitro. Morale, sono nati due gemelli, i tre li crescono alternandosi ogni tre giorni, vivendo a venti minuti di auto dalle rispettive abitazioni e andando d’amore e d’accordo. In caso di conflitti ci sono gli esperti dediti ad addestrare i co-genitori platonici a gestire l’affidamento congiunto «in modo obiettivo e senza emozioni». Anche il Guardian aveva raccontato le storie di tanti «migliori amici» che vivono a un’ora di macchina l’uno dall’altro dividendosi il pupo e riunendosi solo per le feste comandate: a metterli insieme per dividersi un bambino era stato un test di compatibilità online, punteggio realizzato “compatibili al 93 per cento”.
La legge del vaso di Pandora
Ma torniamo nelle Fiandre, dove il dibattito dal bambino-soggetto che ha dei diritti si è ovviamente spostato sulle “carenze” dell’ordinamento giuridico rispetto alle molto progressivamente aggiornate “scelte di vita” dei genitori. Un vaso di Pandora scoperchiato da quando, nel 2014, la legge belga decise di equiparare le coppie formate da due donne a quelle eterosessuali per quanto riguarda il riconoscimento legale e giuridico della filiazione: una delle prime normative a riconoscere ciò che non esiste nella realtà, cioè che un bambino non è generato da un uomo e una donna.
Questo allontanamento dalla genitorialità complementare maschio-femmina, nota giustamente l’Institut Européen de Bioéthique, ha aperto la strada alle denunce di “vuoto giuridico” laddove non esisteva nessun vuoto ma semplicemente la legge escludeva altre possibilità: come si può giustificare ora l’esclusione di un coniuge omosessuale maschio di uno dei due genitori biologici dalla “amministrazione famigliare”?
Reality, specchio della realtà superata
Senza lo sdoganamento della fecondazione eterologa tali situazioni (dalla surrogata alla co-genitorialità e relative implicazioni giuridiche) non sarebbero state nemmeno immaginabili, tuttavia agli esperti di “Voglio un bambino” mezzi e costi per ottenerlo non interessano affatto. Non è ancora nato, ma “nel suo interesse” è già stata organizzata una procedura che a partire dal laboratorio alla crescita con genitori part-time (ci sono test ad hoc, con domande quali “quanto tempo potresti dedicare a un figlio?” ed elenco dei vantaggi a dividerlo con un’altra famiglia quali “non dovrai rinunciare al tuo tempo e ai tuoi spazi”) è già stata organizzata. Ora, come sempre, si aggiusterà la giurisprudenza.
Secondo gli autori del programma, scrittori, professoroni e medici, sapersi figli di una convenzione meditata e firmata (in pratica, sentirsi oggetto di un comune accordo) invece che di un incontro d’amore e carnale, dovrebbe confortare i bambini. Se si sentano confortati a non avere una mamma e un papà ma varie madri, padri, case, stanze, fratelli, e occupare tempi e spazi di persone e famiglie diverse bisognerebbe in realtà chiederlo ai bambini. Ma la realtà, con la sua classica idea di fare figli per amore, è del tutto superata. Da reality, esperti, da adulti capaci solo di calcoli e puntare i piedi: “Voglio un bambino”.
«Voglio un bambino», un altro reality che dei bambini se ne frega