Speranza annuncia la terza dose, in Europa crescono i contagi e si discute se immunizzare gli under 12. La cautela del direttore dello Spallanzani.
Il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato la somministrazione della terza dose di vaccino per gli over 40 dal primo dicembre, i media spiegano come questa sia la soluzione definitiva alla pandemia intervistando gli stessi esperti che a settembre erano scettici sull’utilità per tutti della dose booster e oggi sostengono che questo richiamo garantirebbe una copertura di «cinque-dieci anni», continuando così a utilizzare quel tipo di comunicazione vaga e a effetto che ha fatto anche danni alimentando lo scetticismo dei non esperti che si sentono dire che bisogna ascoltare «la scienza» (e non importa se si contraddice un giorno sì e uno no).
Una voce non polarizzata
Grazie alle vaccinazioni siamo messi molto meglio rispetto a un anno fa, anche se in tutta Europa aumentano i contagi, l’Austria annuncia il lockdown per i non vaccinati, in alcuni paesi si adottano misure simili al green pass all’italiana e si inizia a discutere della inquietante possibilità che ai non vaccinati venga chiesto di pagarsi le cure come a Singapore – una volta passato questo principio per il Covid, chi saranno i prossimi? Gli obesi? I fumatori? Gli ubriachi che vanno a sbattere contro un palo? Inseriremo la categoria morale “quelli che se la sono cercata” tra i non meritevoli di assistenza pubblica?
Gli Stati Uniti hanno iniziato a vaccinare anche i bambini tra i cinque e gli undici anni, ed è possibile che presto succeda anche in Italia. Tra le posizioni estreme a riguardo, in un dibattito ormai polarizzato da no vax da una parte e i “burioni” che vogliono zittire chiunque avanzi un dubbio, emerge come estremamente ragionevole quella di Francesco Vaia.
Bimbi vaccinati per solidarietà sociale? «Ideologia»
Non esattamente un passante, né un virologo da Twitter o un biologo prestato alla virologia che passa più tempo a scrivere sui giornali che a fare ricerca. Vaia è direttore dello Spallanzani di Roma, l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive, e in una recente intervista a Libero ha spiegato che sul vaccino ai bambini sotto i dodici anni «il punto è sempre il calcolo tra rischi e benefici. Qualsiasi farmaco può dare effetti collaterali, la strategia corretta è evitare il rischio quando, anche se basso, non è indispensabile. Se un bambino ha già di suo delle altre patologie gravi, conviene vaccinarlo, per proteggerlo da un virus che, associato ad altre malattie, può rivelarsi grave. Se invece è sano, non vedo necessità di vaccinarlo. Almeno data la situazione odierna, poi le cose possono sempre cambiare. Quanto al rischio di miocarditi, i casi sono rari e la miocardite a un bambino può venire anche a seguito di un long-Covid».
Vaia osserva giustamente che «i bambini hanno una vita sociale meno intensa degli adulti, frequentano poco o affatto i mezzi pubblici, stanno per lo più in ambienti protetti dove tutti sono vaccinati, come le scuole. Si dice che i piccoli si contagiano e contagiano anche gli altri ma analizzando i dati non si può dire che al momento la loro incidenza sul propagarsi del virus sia forte. Vaccinare i bambini per proteggere gli anziani? La solidarietà sociale da chi ha meno di dodici anni rasenta l’ideologia e il fanatismo. Il vaccino non va fatto ai bambini per impedirgli di contagiare gli adulti, ma solo se sono fragili di loro».
«Il vaccino non è una pozione magica»
Ideologia e fanatismo, dunque, stesse caratteristiche di chi all’opposto nega l’efficacia dei vaccini ma a cui si dà troppa importanza mediatica: «Ci concentriamo troppo sui no vax, che sono una minoranza. Bisognerebbe piuttosto spingere a tavoletta sulla terza dose, nelle fasce di popolazione fragili, negli over 80, nei sanitari, in coloro che hanno rapporti con il pubblico, e convincere soprattutto chi non ha completato il ciclo vaccinale, ancora troppi. In Italia si è immunizzato l’85 per cento delle persone: è più facile persuadere loro a sottoporsi a una terza iniezione, piuttosto che far vaccinare uno che finora non lo ha ancora fatto, salvo che non pensiamo ad azioni coraggiose di obbligo per fasce di popolazione. Ma quest’azione dovrà necessariamente essere accompagnata ad altre che riconquistino la fiducia del cittadino nello strumento vaccino che in questi giorni sento vacillare».
È innanzitutto una questione di fiducia, e di realismo. Si è sbagliato qualcosa fin dall’inizio, quando si è descritto «il vaccino come una pozione magica, che ti trasforma in Superman o Superwoman, perché poi quando un vaccinato si ammala – capita – tutta la narrazione crolla e i no vax se la ridono, anzi diamo loro tanta legna da ardere. E, se mi consente, argomenti per dibattiti a volte surreali».
L’«ideologico» dibattito sui vaccini ai bambini e la ragionevolezza che serve