Alla vigilia del voto amministrativo, poche settimane fa, in un grande mercato rionale milanese c’erano banchi con le insegne di tutti i partiti – quasi deserti. Solo a un piccolo banco una piccola folla in coda: quello per il referendum a favore dell’eutanasia. Tanto interesse e tanto disinteresse affiancati, e così evidenti, facevano pensare. I simboli degli eredi dei partiti socialcomunisti e democristiani, dei 5Stelle e perfino della Lega non reggevano il confronto.
In coda da un’associazione radicale gente dai sessanta in su, i capelli grigi, spesso la badante accanto. Chi avrebbe governato Milano, sembrava loro indifferente: assicurarsi il diritto di morire quando lo si vorrà, invece, una questione prioritaria. È un vento, l’eutanasia, che soffia forte in buona parte del mondo. L’’Economist’ l’altro ieri le ha dedicato una nuova puntata dell’inchiesta di cui già ha scritto su queste nostre pagine di ‘Avvenire’ Assuntina Morresi. Solo negli ultimi giorni, nota il settimanale inglese, la Nuova Zelanda ha approvato una legge, e il Portogallo ha reso meno severa la sua. Si discute di eutanasia a Londra ma anche in Paesi di tradizione cattolica, come l’Irlanda, l’Uruguay e appunto l’Italia. In Spagna la legge passò col 60 % di consensi, oggi secondo i sondaggi i ‘sì’ sono al 71 %. Guardando il planisfero tracciato dall’’Economist’ le aree del mondo in cui l’eutanasia è legale o si avvia a esserlo coincidono sostanzialmente con il Primo Mondo: Canada e diversi Stati degli Usa, Australia, buona parte dell’Europa.
L’eutanasia è la domanda dei Paesi benestanti, e in seno a questi – secondo il settimanale – è anche la battaglia dei baby boomers, la generazione oggi sui sessant’anni o oltre: la generazione dei vaccini di massa, della scuola garantita, quella che non ha conosciuto guerra e fame. Mentre la questione del diritto alla morte tende allargarsi nei dibattiti internazionali dall’ambito dei malati terminali ai malati psichici, fino ai sofferenti di Alzheimer. E si affaccia un nuovo fronte, quello di chi, non malato, sia semplicemente stanco di vivere, e ritenga suo diritto essere aiutato. Un’onda, la pretesa di morire e, dunque, di vedersi servita la morte quando lo si decida, e quasi l’ultima libertà rivendicata dalla generazione che negli anni Settanta sosteneva libero amore, divorzio, aborto, in una globale affermazione dei diritti dell’«io».
Le lotte operaie e comunitarie per il pane o il diritto di sciopero appaiono ormai battaglie quasi di un altro evo. La punta più avanzata della ‘libertà’, così come è declinata in Occidente, è il diritto a morire. E certo gli ultimi due luttuosi anni, con anziani portati via da casa soli e morti soli in reparti Covid, hanno lasciato il segno. Abbiamo assistito a un modo di morire, che non avevamo mai visto. Quanti, percossi dalla violenza della pandemia, si sono detti che non vogliono rischiare di affrontare una fine così dolorosa e solitaria? L’impatto di quelle ambulanze che ripartivano a sirene spiegate ha lasciato una ferita profonda. Che si assomma alla questione generazionale: gli ex rivoluzionari degli anni Settanta sono ora uomini e donne con i capelli grigi.
Appena anziani magari, ma avviati a quella vecchiaia e quelle malattie che forse sembrano loro le ultime nemiche, l’ultima imposizione millenaria da abbattere. Così il ‘diritto di morire’ nei dibattiti internazionali si allarga, si fa più ampio. Sempre, però, in quella certa parte del mondo che non ha conosciuto da molti decenni la guerra, o la fame. Il planisfero dell’’Economist’ infatti non riporta battaglie per l’eutanasia nelle regioni africane e asiatiche dove si muore di bombe o di carestie, di saccheggi o di persecuzioni. Lì non chiedono la ‘buona morte’, di lì s’incamminano, esiliati, sofferenti ma assolutamente affamati di vita.
Alcuni (una minoranza, il 15 per cento tra tutti) premono alle porte del Nord, o cercano di buttare al di là dei nostri muri almeno i bambini. Libia, Grecia, Turchia, Polonia, nuove barriere si alzano ogni giorno. Arrivano miserabili, feriti, anche mutilati. Eppure vogliono vivere: mentre noi, noi che abbiamo sempre meno figli, come stanchi, pensiamo a modi per andarcene prima. È un moto della storia? Come uno svuotamento, che altri vengono a colmare.