L’annuncio della creazione in laboratorio del primo embrione ibrido pecora-uomo solleva una serie di questioni riguardanti l’aspetto etico di un certo tipo di ricerca. In effetti il Magistero della Chiesa ha già dato un giudizio chiaro su questi esperimenti.
È stata accolta con un certo entusiasmo dalla stampa italiana nelle settimane scorse la notizia giunta dal mondo accademico americano, che ha annunciato la creazione in laboratorio del primo embrione ibrido pecora-uomo. La ricerca, capitanata da Pablo Ross, è stata presentata nel corso del meeting della American Association for the Advancement of Science, tenutasi ad Austin, in Texas, dal 14 al 19 febbraio. Tra le varie sessioni che riguardavano le principali novità della scienza in più settori, dalle neuroscienze all’ambiente, dalle nuove fonti di energia alla genomica, si è fatta strada una nuova “creazione”, la chimera pecora-uomo.
Si tratta di un embrione in cui tra le cellule di pecora vi sono cellule umane, una su 10 mila per l’esattezza, in maggior numero rispetto al precedente embrione ibrido maiale-uomo, presentato lo scorso anno dallo stesso gruppo di ricerca, che ne contava una su 100 mila, ma ancora lontano dall’obiettivo, una su 100. Il progetto del gruppo zootecnico di Scienze Animali, dell’Università di Davies in California, si sta impegnando in questa direzione con lo scopo di far crescere all’interno di animali organi umani, da sfruttare per i trapianti, i cosiddetti trapianti xenogenici, da una specie a un’altra, ovvero da animale a uomo.
Tecnicamente si tratta di introdurre cellule staminali pluripotenti umane nell’embrione di pecora a cui si è modificato il corredo genetico in modo da eliminare i geni responsabili dell’organogenesi di un determinato tessuto o organo e riempire il “difetto” con le cellule di origine umana. Per manipolare il corredo genetico viene utilizzata una tecnica recente, rivoluzionaria, di nome CRISPR/Cas9 che, agendo sul genoma in una sorta di editing, taglia, copia, incolla, è in grado di allungare, accorciare o modificare intere sequenze di DNA. Poiché il problema del trapianto xenogenico è il rigetto, con queste chimere si vorrebbe superare l’ostacolo ottenendo organi il più possibile compatibili con il ricevente e rispondere così alle richieste di trapianto di tante persone in attesa, «affrontando la carenza mondiale di donatori di organi», come lo stesso Prof. Ross dichiara.
Insomma sembrerebbe, ad una prima occhiata, la tecnica, e quindi la scienza, al servizio dell’uomo, in nome di una nobile e desiderabile prospettiva. Ma siamo sicuri che non si tratti del contrario, ovvero dell’uomo al servizio della scienza? L’uomo che da fine diventa mezzo?
Il primo ad avere riserve etiche è lo stesso Pablo Ross. Il veterinario argentino dichiara: «se scoprissimo che le cellule umane vanno al cervello dell’animale non potremmo portare avanti il tentativo». E lo stesso dicasi se andassero nelle cellule germinali, ovvero quelle responsabili della riproduzione. Evidentemente questa è una possibilità, ma pare che l’ipotesi, non eticamente accettabile, non abbia al momento fermato il team che ha comunque intrapreso l’esperimento. Gli embrioni dopo 28 giorni, di cui 21 di gestazione all’interno dell’utero di pecora, sono stati poi distrutti per rispettare il limite temporale massimo per cui avevano avuto l’autorizzazione. Qualche problematica etica sembrava esserci, quindi.
Negli Stati Uniti, durante il governo Obama, nel 2016, negli ultimi mesi del suo mandato, fu revocato il divieto al finanziamento alla ricerca sugli ibridi uomo-animale dal National Institutes of Health (NIH), la prima agenzia del governo per quanto riguarda la ricerca biomedica. Si aprirono i cancelli e si riaccese il dibattito tra scienziati e bioeticisti sulla inquietante ipotesi delle chimere. Il Prof. Stuart Newman, biologo del New York Medical College, esperto in biotecnologie, arrivò ad affermare che «è possibile da queste ricerche arrivare ad avere animali dotati di cervelli umani oppure corpi umani dotati di cervelli animali». Si spera che si trattasse solo di un paradosso, e non di una profezia, ma quello che nel 2016 era accolto come la possibilità di studiare modelli cellulari ibridi “in provetta” per meglio comprendere malattie umane, sia nella fisiopatologia sia nelle eventuali terapie, a distanza di due anni ha prodotto la prima chimera uomo-pecora.
Il termine chimera viene utilizzato in genetica per definire un organismo le cui cellule hanno patrimonio genetico diverso, proveniente da due o più animali di specie differenti, termine attinto dalla mitologia greca che indicava un mostro composto da porzioni di animali diversi (testa di leone, petto di capra e coda di serpente), che vomitava fuoco, provocando distruzione.
In Italia la produzione di ibridi e chimere è vietata dalla legge 40/04 (art. 13, comma 3 lettera d). Sulla rilevanza etica delle chimere si pronunciò già nel 2009 il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) con un documento dal titolo “Chimere ed ibridi con una riflessione particolare sugli ibridi citoplasmatici”. Così scriveva: «La produzione di embrioni misti uomo/animale non è approvabile perché implica una manipolazione radicale dell’essere umano, fino a renderne incerta la natura e a impedirne il riconoscimento di appartenente alla specie umana».
Innanzitutto veniva messa in evidenza la “confusione” di fronte ad esseri che non possono essere definiti né umani né non umani. La confusione che ne deriva determina a valle un’incomprensione dello statuto morale dei singoli esseri e quindi dei doveri morali verso di essi. Veniva inoltre paventata la perdita dell’ordine naturale delle cose, il fare “contro natura”, col superamento delle barriere tra specie umana e specie animali, fino ad arrivare ad intaccare l’identità dell’uomo: «Il superamento mediante l’uso delle tecnologie delle barriere tra le specie altera l’ordine della natura e pone le condizioni per una possibile degradazione dell’identità dell’umano, violandone la dignità intrinseca».
E il rischio di una visione dell’uomo non come fine, ma come mezzo, non come unità anima-corpo, ma come un insieme di pezzi di lego in mano al laboratorista-Dio: «Anche chi non riconosce una tutela piena all’embrione umano, può tuttavia ritenere necessario tutelarlo come un essere alla cui vita è riconosciuto un valore primario del tutto diverso da un mero materiale biologico, o dal mondo animale o vegetale». La scienza spesso dimentica che non è sempre moralmente ammissibile, ciò che è tecnicamente fattibile.
Come la stessa Congregazione per la Dottrina della fede in Dignitas personae ha condannato riferendosi a tali esperimenti in questi termini: «Dal punto di vista etico simili procedure rappresentano una offesa alla dignità dell’essere umano, a causa della mescolanza di elementi genetici umani ed animali capaci di turbare l’identità specifica dell’uomo…Esporre consapevolmente un essere umano a questi rischi è moralmente e deontologicamente inaccettabile» (paragrafo 33).
Martin Heidegger nel 1976 scrisse, su La questione della tecnica, che il pensiero tecnologico, così potente ed efficiente nella scoperta dei mezzi, non è affatto neutro, ma implica una ben precisa visione della realtà e una correlativa concezione della libertà umana. E pensare che quando Heidegger scrisse queste parole le chimere erano solo nel mondo mitologico!
Roberta Spola
La Nuova Bussola Quotidiana, 6 marzo 2018