Pakistan, i giudici restituiscono la sposa bambina, rapita e convertita a forza, ai suoi genitori. Ma le ordinano di restare fedele all’islam
Arzoo non crescerà in un centro di accoglienza: l’Alta Corte del Sindh in Pakistan ha accettato la sua richiesta di tornare a casa, da mamma e papà. Tuttavia i giudici hanno ammonito i genitori: la ragazzina dovrà comparire davanti alla polizia ogni tre mesi e un ufficiale dovrà accertarsi che nessuno abbia provato a plagiarla o minacciarla per abiurare l’islam e tornare al cristianesimo. In caso contrario il tribunale farà giustizia.
In pratica i giudici, uscendo dai confini della loro giurisdizione, «hanno firmato la sua condanna a morte». Non si capacita della sentenza Saiful Malook, l’avvocato musulmano divenuto paladino delle assoluzioni cristiani perseguitati (da Asia Bibi ai coniugi Shagufta Kausar e Shafqat Emmanuel) e per questo finito nel mirino degli estremisti islamici: «Non riesco a capire perché i giudici abbiano dovuto sollevare la questione della conversione all’Islam quando si dovevano occupare solo della domanda di Arzoo di trasferirsi a casa dei suoi genitori», ha detto all’agenzia Morning Star News. «Non esiste alcuna disposizione legale che autorizzi una centrale di polizia a convocare la ragazza ogni tre mesi per verificare il suo benessere e se si attiene alla sua fede musulmana o meno. Questa sentenza è assurda».
La sposa bambina del Pakistan
Assurda come la vicenda giudiziaria di Arzoo Raja, di Huma, Maira e di centinaia di ragazzine cristiane diventate strumento di persecuzione delle minoranze in Pakistan: nessuna sfugge al canovaccio dell’uomo islamico, sequestro, stupro, conversione all’islam, matrimonio, umiliazione in tribunale. Dove molte bambine, terrorizzate dal contraddire i giudici e dalle conseguenze spesso minacciate dai rapitori che investirebbero le famiglie d’origine, arrivano a negare di essere state rapite o forzatamente costrette ad abiurare.
È il triste caso di Arzoo di cui Tempi vi ha più volte raccontato la storia: dopo la prima, folle sentenza, con la quale i giudici avevano chiuso le indagini abbandonandola al suo aguzzino, al cospetto dell’Alta Corte del Sindh la minuscola Arzoo era riuscita a sostenere di avere 18 anni, negare di essere stata rapita mentre giocava fuori dalla sua casa a Karachi, e pregare i giudici di lasciarla tornare dal marito Ali Azhar, il musulmano di 44 anni che l’aveva sequestrata, convertita e sposata il 13 ottobre 2020. Ma perfino i magistrati questa volta avevano fatto fatica a credere alla sua versione, la versione di una bambina visibilmente di soli 13 anni.
I giudici riaprono il caso di Arzoo
Erano stati loro a evitare indagini e arresto ad Azhar. Poi però si erano messi di mezzo Bilawal Bhutto Zardari, presidente del Partito popolare pakistano, e la Conferenza episcopale: all’appello del cardinale di Karachi Joseph Coutts per chiedere giustizia per Arzoo avevano risposto centinaia di persone e, da Lahore a Faisalabad, le piazze si erano riempite di manifestanti. I giudici erano stati costretti ad aprire un’inchiesta e trasferire la piccola in una casa di accoglienza. È lì che, in balìa delle minacce dei familiari del “marito” e dell’influenza di “educatrici” islamiche autorizzate dal governo, Arzoo aveva deciso che non sarebbe tornata a casa.
Incaricata una commissione medica indipendente di valutare l’età effettiva della ragazzina l’Alta Corte aveva deliberato che le surreali richieste di Azhar di ottenere la custodia della bambina e le sue accuse ai genitori di avergliela portata via fossero da rigettare, il matrimonio da invalidare e che l’uomo dovesse rispondere di stupro di minorenne, crimine punibile con la reclusione a vita o la condanna a morte. Nessuno si era addentrato negli aspetti religiosi e dell’abiura nonostante la produzione di un certificato di conversione all’islam rappresentasse un aspetto centrale nel caso di Arzoo come di migliaia di spose bambine in Pakistan, dove l’età minima per sposarsi è 18 anni, mentre le corti islamiche ammettono il matrimonio fin dal primo ciclo mestruale.
Obbligata a restare musulmana
Per mesi gli attivisti dei diritti umani denunciarono l’errore dei giudici di assecondare la richiesta di una minorenne sottoposta a un trauma violento di restare nel centro di accoglienza dove era stata presa in “custodia” in attesa del verdetto, da sola e lontana da casa. Se ai genitori era stato infatti vietato di avvicinare la figlia, Arzoo aveva ricevuto regolarmente visite di donne che l’avrebbero istruita su cosa dire alla corte per andare a vivere con una di loro e sottrarsi alle torture che le avrebbero inflitto i genitori cristiani. Alla fine l’Alta Corte del Sindh aveva deciso che non sarebbero stati i due a crescerla bensì le educatrici del centro di accoglienza, fino alla maggiore età. E Aznar era stato rilasciato su cauzione, «segno che sfuggirà alla punizione», ha commentato amaramente Malook.
Poi Arzoo ci ha ripensato. Dopo un anno al centro, il 22 dicembre scorso, di nuovo al cospetto dei giudici, la ragazza ha confermato ancora una volta di essersi convertita all’islam liberamente, ma di desiderare tornare a casa. I suoi genitori hanno dovuto giurare alla corte che la ragazza potrà praticare il suo credo senza alcuna restrizione né pressione per tornare al cristianesimo, e che nessuno le farà mai in alcun modo pesare o pagare la sua conversione, né la sua precedente decisione di vivere nel centro di accoglienza. Ma ai giudici, le promesse di quei due poveri genitori cattolici che da oltre un anno stanno raccontando solo la verità battagliando per salvare la figlia tredicenne da uno stupratore musulmano, non interessano: la ragazza sarà controllata ogni tre mesi. Sarà libera di praticare l’islam ma non di tornare al cristianesimo. Pena il ritorno in tribunale per lei e la sua famiglia. Nessuno si era addentrato nei pure dirimenti aspetti religiosi della dolorosa vicenda di Arzoo prima d’ora. Oggi, col suo aguzzino libero e impunito di fronte alla legge, promettendo di liberarla i giudici hanno in realtà «firmato la sua condanna a morte».