APPROFONDIMENTO – Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica “Salvifici doloris” (2)

By 11 Febbraio 2022Pillole di saggezza

APPROFONDIMENTO – Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica “Salvifici doloris” (2)

E’ da trent’anni che la Chiesa, l’11 febbraio, memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes celebra la “Giornata Mondiale del Malato”. In questa occasione vogliamo offrire alcune riflessioni su un importante documento di san Giovanni Paolo II riguardante la sofferenza: la Lettera Apostolica “Salvifici doloris” (seconda riflesione).

“PARTECIPI DELLE SOFFERENZE DI CRISTO” (parte quinta).

Nella quinta parte, san Giovanni Paolo II sostiene che la sofferenza dell’uomo, condividendo quella redentiva di Cristo, è rilevante “per tutti”, per la società e per il mondo. La sofferenza “offerta” è un capitale che la persona consegna a Dio per le esigenze del cosmo e per la salvezza di altri uomini. Un patimento donato anche se il corpo è profondamente ferito, totalmente inabile, incapace di agire, costituisce un’espressiva lezione per i sani e si trasforma in fonte redentrice.

Il riferimento di questa “partecipazione” è la “teologia” di san Paolo ed ha come nucleo centrale l’incorporazione a Cristo e le sue conseguenze. Essendo il battezzato porzione di un “unico corpo” con il Signore Gesù, i suoi e nostri patimenti ora sono eguali; di conseguenza, anche il dolore dell’uomo, assume un pregio di espiazione. Dunque, la redenzione di Cristo è incompleta? “No”, risponde il Papa; “questo significa solo che la redenzione, operata in forza dell’amore soddisfattorio, rimane costantemente aperta a ogni amore che si esprime nell’umana sofferenza. In questa dimensione – nella dimensione dell’amore – la redenzione già compiuta fino in fondo, si compie, in un certo senso, costantemente” (n.24). Per comprendere il pensiero dobbiamo compiere tre passaggi.

Dalla sofferenza di Cristo alla sofferenza del cristiano. Alcuni brani di san Paolo pongono in un rapporto consequenziale la sofferenza del Cristo e quella del cristiano: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col. 1,24). “Infatti come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo abbonda anche la nostra consolazione; come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche delle consolazioni” (2Cor. 1,5-7); (cfr. anche 2Cor. 4,8-10; Rm. 12,1).

L’incorporazione a Cristo e le sue conseguenze. E’ questo un argomento cardine della teologia paolina ha come punto di riferimento la Seconda Lettera ai Corinzi (cfr.: 12,12-13,27) riguardante la riflessione sul corpo e sulle sue membra e la Lettera ai Romani (cfr.: 6,3-5) che esamina la rilevanza del battesimo che nei primi secoli del cristianesimo era amministrato per “immersione”. Il battezzato “riemergeva” dall’acqua “rinato a vita nuova”, cioè era, a quel punto, tutt’uno con “il corpo di Cristo” e, di conseguenza, destinato alla risurrezione e alla vita eterna.

La valorizzazione delle sofferenze “in” Cristo. Essendo ora l’uomo “un unico corpo con Cristo”, le sofferenze del Signore Gesù e quelle del battezzato sono conformi. Il sacrificio di Cristo “è completo” ma la sofferenza dell’uomo si trasforma in “espiatrice” quando la persona è “unita a Lui”.

“IL VANGELO DELLA SOFFERENZA” (parte sesta).

Nella sesta parte, il Papa, ripropone nuovamente e più intensamente alcune nozioni già espresse precedentemente.

-Gesù ha profondamente aderito al dolore dell’uomo soffrendo fisicamente, psicologicamente e spiritualmente: invocò il conforto umano (cfr.: Mt. 26,36-40); nel Getsemani ebbe paura e pianse (cfr.: Mt. 26,42-43); colto dall’angoscia sudò sangue (cfr.: Lc. 22,39). Inoltre, non nascose agli apostoli, l’ineluttabilità della sofferenza (cfr.: Lc. 9,23; Mt. 7,13-14; Gv. 15, 18-21). Il Signore Gesù, dunque, proclamò ma soprattutto visse il “Vangelo della sofferenza”, vivificato nella storia dall’esistenza eroica di uomini e di donne che accolsero pene ed afflizioni per  Cristo e per la diffusione del Regno.

-Accanto a Cristo fu sempre presente la Madonna nella quale “numerose ed intense sofferenze si assommarono in una tale connessione e concatenazione, che furono prova della sua fede incrollabile” (n. 25). E sul Calvario raggiunse il vertice del dolore. Oggi Maria è accanto teneramente e maternamente a ogni dolore umano consolando e infondendo speranza.

-Il “Vangelo della sofferenza” illuminò, inoltre, la malattia di alcuni santi trasformandola in opportunità di conversione e di santificazione. Ne sono esempi, tra i molti, san Francesco d’Assisi e sant’Ignazio di Loyola che nell’ infermità individuarono “una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione” (n. 26).

-Il “Vangelo della sofferenza” sollecita, infine, a oltrepassare l’impressione di infruttuosità che alcune situazioni d’infermità o di disabilità possono comportare, poichè “il sofferente non solo è utile agli altri ma adempie un servizio insostituibile (…). Le sofferenze umane, unite con la sofferenza redentrice di Cristo, costituiscono un particolare sostegno per le forze del bene, aprendo la strada alla vittoria di queste forze salvifiche” (n.21). Infatti “quanto più l’uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d’oggi, tanto più grande è l’eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo” (n.27).

IL BUON SAMARITANO (parte settima).

Il “Buon Samaritano” è l’esempio per chi assiste e cura il malato! Nel racconto evangelico si afferma semplicemente che la vittima dell’aggressione era un uomo, “un volto umano”, come quelli che incontriamo quotidianamente.

Come agì il Samaritano? San Luca elenca tre azioni: “lo vide”, “ne ebbe compassione”, “gli si fece vicino” (cfr.: 10,22). Il Signore Gesù, con questa parabola, “insegna la carità concreta” chiarendo: chi mendica l’intervento, che cosa domanda e come rispondere a questi appelli. Scrive il Papa: “La parabola del buon Samaritano appartiene al Vangelo della sofferenza. Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito passare oltre con indifferenza, ma dobbiamo fermarci accanto a lui. Buon Samaritano è ogni uomo che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque esso sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità (…). Buon Samaritano è in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che dà se stesso, il suo proprio ‘io’, aprendo questo ‘io’ all’altro. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l’antropologia cristiana. L’uomo non può ‘ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé’ – cfr.: Gaudium et spes, 29 -. Buon Samaritano è I’uomo capace appunto di tale dono di sé” (n. 28).

Parafrasando la parabola, la Lettera Apostolica, illustra le molteplici azioni da compiere.

-ll nostro rapporto con il sofferente.

-Il servizio al malato è una vocazione.

-Le espressioni costitutive del servizio.

ll nostro rapporto con il sofferente.

La parabola espone chi è il prossimo: il fratello che sollecita il nostro soccorso e la nostra vicinanza. Il racconto indica, inoltre, il rapporto da stabilire con lui: una relazione suscitata e supportata dalla commozione: “Se Cristo, conoscitore dell’interno dell’uomo, sottolinea questa commozione, la commozione del samaritano, vuol dire che essa è importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna, dunque, coltivare in sé questa sensibilità del cuore che testimonia la compassione verso il sofferente” (n. 28).

Il servizio al malato è una vocazione.

“Il dovere” è insufficiente; deve intersecarsi con l’amore che oltrepassi le leggi, le regole e i protocolli poiché servire il malato è una “vocazione”. Dunque, chiunque assiste i malati più che una “professione” svolge una “vocazione” ed una “missione”. Per questo san Giovanni Paolo II afferma: “Quest’attività assume, nel corso dei secoli, forme istituzionali organizzate e costituisce un campo di lavoro nelle rispettive professioni. Quanto è da buon Samaritano la professione del medico o dell’infermiere, o altre simili! In ragione del contenuto evangelico, racchiuso in essa, siamo inclini a pensare, qui, piuttosto a una vocazione che non semplicemente ad una professione (n.29).

Le espressioni costruttive del servizio.

“E le istituzioni che, nell’arco delle generazioni, hanno compiuto un servizio da samaritani, ai nostri tempi si sono ancora maggiormente sviluppate e specializzate. Ciò prova, indubbiamente, che I’uomo di oggi si ferma con sempre maggiore attenzione e perspicacia accanto alle sofferenze del prossimo, cerca di comprenderle e di prevenirle sempre più esattamente. Egli possiede anche una sempre maggiore capacità e specializzazione in questo settore” (n.29). Ma attenzione, “le istituzioni sono molto importanti e indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana; l’amore umano, l’iniziativa umana quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell’altro” (n. 29). E san Giovanni Paolo II termina: “Guardando a tutto questo possiamo dire che la parabola del Samaritano del Vangelo è diventata una delle componenti essenziali della cultura morale e della civiltà universale umana. E pensando a tutti quegli uomini che, con la loro scienza e la loro capacità, rendono molteplici servizi al prossimo sofferente, non possiamo esimerci dal rivolgere al loro indirizzo parole di riconoscimento e di gratitudine” (n.29).

La parabola del Buon Samaritano, non può lasciare tranquillo e impassibile nessuno; infatti tutti possiamo agire affinchè si riduca la sofferenza e quella esistente riacquisti “dignità” e “significato” non unicamente soprannaturale ma anche umano (cfr.: n. 30).

CONCLUSIONE

Le parole conclusive del Papa al commento della parabola sono una valida sintesi della Lettera Apostolica, scritta da san Giovanni Paolo II stimolato anche da  sofferte esperienze personali: “Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a fare del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza” (n. 31).

Don Gian Maria Comolli

PRIMA RIFLESSIONE