Leggiamo nel sito dell’Associazione Coscioni: “Ogni giorno ci sono malati terminali che si suicidano nelle condizioni più terribili. Sono persone alle quali la legge italiana nega la possibilità di essere accompagnati alla fine della vita senza soffrire, condannando al carcere chi li aiuta” (https://www.eutanasialegale.it/). Che falsità! E ve lo dimostreremo illustrando le Cure Palliative, una metodologia d’intervento che i “paladini della morte” non solo non hanno mai tutelato ma neppure pronunciato, poiché la loro metodologia d’influenza è unicamente il “sentire emotivo e pietistico” e che i cittadini si abbeverino delle loro menzogne.
Cosa sono le Cure Palliative
Afferma l’ Organizzazione Mondiale della Sanità. “Si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non rispondono più a trattamenti specifici e la cui diretta conseguenza è la morte. Il controllo del dolore, di altri sintomi e degli aspetti psicologici, sociali e spirituali è di fondamentale importanza. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per i pazienti e le loro famiglie”. Dunque: “Obbedendo ad una visione olistica della medicina, che prende in considerazione la persona umana nella sua totalità unificata di spirito e corpo, le cure palliative offrono al malato terminale una terapia globale (total care), i cui risultati sono, nella maggioranza dei casi, davvero sorprendenti” (M. Cascone, Diakonìa della vita. Manuale di Bioetica, Edizione Università della Santa Croce, pg. 383).
A chi sono rivolte le Cure Palliative?
Numerosi sono i malati che giustificano un intervento palliativo essendo portatori di malattie croniche in fase avanzata e con una limitata attesa di vita. Non sono malati terminali, ma persone il cui orizzonte temporale si sta restringendo non unicamente per un tumore ma perché affetti dall’ Aids, per malattie celebro-vascolari o del sistema nervoso centrale e periferico, o cardio-vascolare o dell’apparato respiratorio…
Ebbene, le Cure Palliative, sono un ottimo ausilio per sostenere la gravità e il peso delle sofferenze nelle fasi pre-terminali e terminali dell’esistenza. “E’ un’autentica cura da praticarsi con grande saggezza e senso del limite e nella piena assunzione delle responsabilità morali e professionale che qualifica la pratica della medicina. È per il medico il modo più nobile di curare”(F. D’Agostino – L. Palazzani, Bioetica. Nozioni fondamentali, La Scuola, pg. 218).
La storia delle Cure Palliative
Il vocabolo “palliativo”, deriva dal termine latino “pallium”, che indicava il mantello di lana indossato dai pastori coprendoli totalmente. Dunque, le Cure Palliative, sono “un mantello” che “avvolgono” il malato e la sua famiglia. Un indicativo esempio è offerto da san Martino di Tours, vescovo del IV secolo, che trovandosi di fronte a un povero tremante per il freddo e non avendo nulla da offrirgli, tagliò in due, con la spada, il mantello che indossava, donandone la metà all’indigente. Metaforicamente l’episodio suggerisce gli obiettivi delle Cure Palliative. Il santo, pur non avendo eliminato la causa del disagio, cioè la povertà, coprendo quell’uomo lo ha protetto e ha contribuito a mitigare il suo malessere.
Pure le Cure Palliative, non eliminano la patologia, cioè la causa della situazione di dolore, ma leniscono efficacemente le sofferenze; migliorano la qualità della vita; curano la persona nella sua totalità unificata; offrono al malato una terapia globale; lo difendono dallo scoraggiamento, dall’isolamento, dalla chiusura in se stesso affinché attenda con serenità il naturale decorso della malattia.
Le Cure Palliative, in senso generale, furono praticate da sempre negli enti assistenziali gestiti dalla Chiesa cattolica, ma nacquero ufficialmente nella seconda metà del XX secolo in Inghilterra con l’esperienza degli hospices, strutture che offrivano assistenza a chi stava vivendo la fase terminale dell’esistenza mediante una cura globale, cioè medico-infermieristica ma anche emotiva, psicologica, relazionale e spirituale.
In Italia, questa modalità assistenziale, fu intrapresa solamente negli anni ’80 del XX secolo, prevalentemente come servizi domiciliari, poiché gli ospedali erano carenti nell’assistenza dei morenti. Anche i medici, formati “per guarire” ma poco “per curare”, erano scarsamente coscienti che l’ammalato in fase terminale non è un “già morto” ma una persona che sta percorrendo un tratto importante della vita. Quindi, l’etica delle Cure Palliative, si basa sul convincimento che anche nelle situazioni di disperazione, il paziente è una persona che deve essere curata con competenza e con amore.
L’Italia e le Cure Palliative
Si stima che ogni anno, in Italia, oltre 200mila persone dovrebbero essere accompagnate da un approccio palliativo e i numeri aumenteranno per l’invecchiamento della popolazione. Ma, attualmente nel nostro Paese, sono presenti 242 hospice per un totale di 3.076 posti letto (5 ogni 100.000 abitanti), oltre Reti Locali di Cure Palliative, ma con un ampio disequilibrio tra nord e sud.
Inoltre, la maggioranza della popolazione, ignora queste cure o non sa come accedervi. Emblematica fu la richiesta della stilista e scrittrice Marina Ripa di Meana poco prima di morire di cancro il 4 gennaio 2018: “Fallo sapere, fatelo sapere”. Aveva scoperto che per “liberarsi dalla sofferenza”, “non si è costretti ad andare in Svizzera come io credevo di dover fare”, poiché possediamo “la via italiana delle cure palliative”. Aveva individuato ciò che la legge 38/2010: “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, assicura da oltre dieci anni ma che pochi conoscono. Ciò è dovuto anche all’impreparazione di molti medici di famiglia, poiché il primo approccio palliativo dovrebbe essere il loro. Nella seconda fase, nelle ultime settimane di vita, entra in azione la “Rete Locale delle Cure Palliative” o gli hospices dove sono presenti il palliativista, lo psicologo, gli infermieri specializzati e l’assistente spirituale.
Il DPCM del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017: “Definizione e aggiornamento dei livelli di assistenza”, tutelò ulteriormente il diritto del cittadino ad accedere alle Cure Palliative inserendole nei livelli essenziali di assistenza (LEA).
Ebbene, “la medicina palliativa costituisce una scelta attiva di accompagnamento alla vita, per darle ancora tutto il significato possibile, compatibilmente con una malattia che distrugge a poco a poco il corpo, ma generalmente mantiene integro e vivo ciò che di più significativo c’è nell’uomo: lo spirito e la mente, che dal corpo non sono mai disgiungibili” (Diakonìa della vita. Manuale di Bioetica, op. cit., pg. 383).
La Chiesa cattolica è totalmente favorevole alle Cure Palliative che definisce una forma di carità cristiana nel momento finale della vita, e sono “una riscoperta della vocazione più profonda della medicina, che consiste prima di tutto nel prendersi cura: il suo compito è di curare sempre, anche se non sempre è possibile guarire” (Papa Francesco al Congresso Internazionale: “Palliative care: everywhere & by everyone” – 28 febbraio 2018).
Così un’infermiera di un hospice ha riassunto i desideri di questi malati: “Spesso la cosa più importante che offriamo ai nostri pazienti è una tazza di tè e la possibilità di parlare della morte. Ed è quello che vogliono davvero. Qualcuno che li ascolti e che condivida con loro questo ultimo viaggio senza spaventarsi e senza scappare. Senza volere, a tutti i costi, fare qualcosa”.
La terapia antalgica
“Padre, se è possibile, allontana da me questo calice” (Mt. 26,39). Così il Signore Gesù si rivolse a Dio la sera del giovedì santo attendendo Giuda, il traditore, nell’Orto degli Ulivi. Questa affermazione ci impegna ad alleviare il dolore, concedendo al malato di vivere serenamente l’ultimo periodo della vita. Ciò si attua anche con la somministrazione della terapia antalgica così definita: “la somma degli atti ed interventi tesi alla soppressione, attenuazione e forse anche a una diversa percezione di sensazioni dolorose, abnormi per tipo, intensità e durata, sì da incidere profondamente o in maniera episodica o ricorrente o continua sulla qualità della vita” (Atti del simposio di terapia antalgica, Accademia pratese di medicina e scienze, 16 novembre 1980).
All’inizio del XX secolo il Parlamento approvò la Legge 12/2001: “Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore” riguardante la fruizione dei farmaci oppiacei per sedare il dolore dei malati in fase terminale. Ma, la tematica, era già stata affrontata dalla Dottrina Cattolica. Papa Pio XII, il 24 febbraio 1954, incontrando gli anestesisti approvò la legittimità di questi analgesici e sollecitò a lenire il dolore acuto, non altrimenti alleviabile, con I’uso degli oppiacei: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo di narcotici (quando è richiesta da una indicazione medica) è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente“.
La sedazione profonda
Accanto alla terapia antalgica è presente la “sedazione profonda” che è essenziale per meno del 10% dei malati terminali. È questo l’intervento somministrato nell’ambito delle Cure Palliative in presenza di “sintomi refrattari” e comporta la riduzione o la soppressione della coscienza. La “sedazione profonda”, però, non è una forma di suicidio assistito o di eutanasia non anticipando la morte, poiché i farmaci somministrati sono dei sedativi che non agiscono sui centri vitali con esiti letali.
Per effettuali è obbligatorio il “consenso del malato”, poiché questi medicinali annebbiandolo o privandolo della conoscenza, potrebbero ostacolarlo nell’ assolvere obblighi famigliari, professionali, civili e religiosi.
La nostra proposta e auspicio
Ampliare e incrementare le Cure Palliative poiché il reale e autentico dramma dell’ammalato in fase terminale è la carenza e l’inadeguatezza di questa assistenza.
Don Gian Maria Comolli