C’è una storia che sembra raccogliere in sé tutta la tristezza del mondo. Parla di solitudine, di dolore, di povertà. Racconta di schiene piegate dagli anni, di capelli bianchi, di fame di cibo e abbracci, di figli che non chiamano, di una realtà che va troppo veloce per non perdere il passo.
Succede in Giappone ma presto potrebbe avvenire anche da noi, se non è già accaduto. Capita infatti che nel Paese con la percentuale più alta al mondo di over 65enni, molti anziani preferiscano il carcere alla libertà solo apparente di una società che non li vuole più.
Meglio, molto meglio stare al caldo e in compagnia dietro le sbarre, che dover mendicare un po’ di cibo, persi nella nebbia degli invisibili. La strategia è semplice: si commettono tanti piccoli furti, di un ventaglio o di qualche polpetta, in modo da farsi arrestare, sperando poi in condanne per quanto possibile esemplari. Un dato per capire: nel Paese del Sol Levante, il 40 per cento della popolazione carceraria ha più di 65 anni con una percentuale che cresce tra le donne ‘ospiti’ del braccio femminile. Le loro storie, raccontate dalla stampa locale, si assomigliano un po’ tutte.
«Abitavo con mia figlia e usavo ogni risparmio per mantenere mio genero, un uomo violento», ha confessato una signora di 89 anni per spiegare la scelta di farsi arrestare. «In carcere vivo molto meglio, qui la vita è più semplice, posso essere me stessa e respirare», ha aggiunto un’ottantenne. Alla base dei crimini d’argento, in Giappone li chiamano così, molto spesso c’è una povertà non solo materiale. «Trascorrevo ogni giorno da sola. Mio marito mi ha lasciato molto denaro, la gente mi diceva che dovevo sentirmi fortunata, ma il denaro non era ciò che volevo – ha sintetizzato una 79enne –. Ero infelice». Una miseria, quella di affetti, che nessuna ‘macchina’ può colmare. Nemmeno nel Paese più tecnologico del mondo. Una condizione, quella della solitudine dei poveri, che interpella la coscienza collettiva e insieme i bilanci.
Il Giappone, sono cifre ufficiali, nel 2015 ha speso l’equivalente di 120 milioni di euro per mantenere la popolazione carceraria anziana, che spesso necessita di cure mediche e di personale specializzato. Cifra non indifferente anche per un Paese del G7. Perché sentirsi soli o, meglio, rifiutarsi di essere dimenticati, costa. Molto. Per le tasche oltre che sul cuore. La conclusione allora è quanto mai amara: se la nostra coscienza di uomini non si indigna più, se l’essere umani sembra diventata una realtà senza valore, aiutiamoli in maniera diversa. Con residenze pubbliche per anziani soli, con rapporti di vicinanza, ma aiutiamoli. Almeno per risparmiare.
Riccardo Maccioni
Avvenire.it, 22 marzo 2018