Mai come quest’anno la festa del papà è una festa contro ignoti. Da tempo, diciamo almeno dal ’68, celebriamo i parricidi rituali e simbolici. Da tempo, i padri sono ridotti a bignè di san Giuseppe, nel senso che sono molli, dolci e fritti, anche nella variante ciambellosa delle zeppole.
E sporcano pure. Da tempo i padri contano sempre meno in casa, o se sono separati si devono svenare perché la parità dei diritti viene gridata ai quattro venti ma poi quando si divorzia, nei tre quarti di casi, il padre si riduce a babbomat, e torna sul piano economico il pater familias che si deve caricare sulle spalle la famiglia.
Ma l’assenza della figura di un padre non riguarda solo le famiglie e in generale la società, il declinare di figure guida come i docenti e in generale le autorità. E non risparmia nemmeno la religione, dove un Santo Padre – che l’altro giorno è andato a inginocchiarsi davanti a un Padre Santo, San Pio, morto giusto il ’68 – è sempre meno avvertito come Padre e sempre più come leader globale in favore dei migrantes.
Ma l’assenza di padri, la latitanza di figure di riferimento, investe in pieno la politica. Viviamo un periodo di vuoto politico, una fase di vacatio, senza padri. E non solo perché tre figli turbolenti occupano la scena – il declinante Renzi e i trionfanti Di Maio e Salvini. Ma perché non viene riconosciuta alcuna figura di garanzia super partes, dunque alcun padre della patria, o delle istituzioni, a cui assegnare almeno il ruolo arbitrale. Berlusconi è parte in gioco, è declinante e controverso, respinto dai grillini e dalla sinistra, rigettato in larga parte nello stesso centro-destra. Tutto meno che un pater. Sicché non resta che il presidente della repubblica, non foss’altro per il ruolo e i capelli bianchi. Più che il padre diremmo che ne fa le veci. Figura di seconda, di terza fila, per decenni, Mattarella è oggi il Vicario della Repubblica, il Cerimoniere dell’Ovvio, il Sacerdote della Banalità di Stato.
Siamo “un paese senza leader”, come titola il suo libro il direttore del Corriere della sera, Luciano Fontana.
Ma la perdita d’autorevolezza dei padri, il ritiro o la trombatura di taluni, è aggravata dall’assenza di altri tutori o parenti prossimi. Un tempo Longanesi rassicurava che in assenza di padri ci avrebbero salvato le vecchie zie. Ma oggi dove sono, con chi sono? L’America di Trump è rivolta a se stessa e non è amata, l’Europa è vista come la nostra controparte più che la nostra protettrice, il Papato – dicevamo – è in crisi di paternità spirituale, la Cei non si sente più, la Confindustria ha un ruolo sempre più marginale, gruppi come la Fiat, figure come Agnelli o Cuccia non ci sono più. Resta zio Draghi, che sembra evocare gli Addams, ma non si prende cura dell’Italia. Di mamme, poi, manco a parlarne; non ce n’è una a cui riferirsi, se non ci si accontenta della giovane mamma e sorella dei fratellini d’Italia, la Meloni.
Insomma, l’Italia resta senza padri e ancor peggio accade se ci riferiamo ai padri intesi come i maestri, gli eroi, i punti fermi della tradizione e della memoria storica.
E dire che un tempo tutti avevano i loro padri, persino i comunisti osannavano Stalin come padre dei popoli, e nella festa di san Giuseppe riconoscevano il patrono dei lavoratori, accanto a Giuseppe Stalin e a Peppino Di Vittorio. Ma oggi, anche dalle loro parti, i padri sono spariti. Sicché viviamo questa crisi politica come una gita di orfanelli attorno a un burrone. Perciò fa ridere Di Maio quando evoca per le due camere “figure di garanzia” al di sopra delle parti. Chi le ha viste è pregato di avvisare la più vicina stazione dei carabinieri.
I padri sono finiti in pasticceria.
Marcello Veneziani,
Il Tempo 19 marzo 2018