Qualche giorno fa sono capitata in Centrale, la stazione di Milano, alle 5.30 di mattina, quando “Milano dorme ancora”. Ho attraversato il portico in mezzo a un nugolo di giovani uomini dalla pelle scura che scrutavano la gente che passava. Probabilmente non avevano cattive intenzioni, ma di certo non è piacevole essere una donna sola in quella situazione. Sì, lo ammetto, ho provato paura.
Sì, lo ammetto, ho pensato al mio telefono che sporgeva dalla tasca – è vero, ho un telefono costoso, me lo hanno regalato, come praticamente tutte le cose di valore che ho. Sì, lo ammetto, ho provato fastidio, perché non eravamo un gruppo di persone che andavano a prendere il treno, situazione in cui ovviamente non avrei fatto caso al colore della pelle. La situazione era donna bianca sola che va a prendere il treno, decine di uomini neri che non hanno apparentemente niente da fare e stanno in giro con il buio. Sono razzista? Probabilmente per gli standard della Boldrini sì.
Io so che una ostetrica nigeriana al Fatebenefratelli a Roma ha probabilmente salvato la vita di mio figlio, e quando anni dopo l’ho incontrata in un altro ospedale l’ho ringraziata e abbracciata, e sono contenta che quella donna sia venuta dall’Africa in Italia a portare la sua professionalità e la sua capacità. So invece che nugoli di giovani col testosterone alle stelle, senza lavoro né prospettive esistenziali dignitose, con poco da perdere, sono pericolosi.
Credo che provare disagio o paura o fastidio verso un gruppo di persone che, anche perché indotte dalle circostanze, commettono in percentuale un numero più alto di crimini – è statistica – sia assolutamente sano. Credo anche che avvertire una vicinanza verso chi ci somiglia per storia e per cultura sia assolutamente normale. Credo che questa sia una delle forze che ha plasmato la storia degli uomini sulla terra, e che è stata una spinta che ha portato a costruire, difendere, far crescere, conservare. D’altra parte anche Dio per iniziare la sua storia d’amore con l’uomo ha scelto un popolo, un popolo solo, e lo ha custodito e difeso gelosamente dai nemici. Certo, poi Gesù viene a dire che la salvezza è anche per gli altri, ma prima è venuto a portare la salvezza per le pecore perdute della casa di Israele.
Insomma, arrivare a vedere in ogni uomo un fratello è al termine di un cammino, è qualcosa di innaturale per l’uomo, è qualcosa che non ci è dato se non con la grazia, esattamente come amare il nemico. Non per niente stanno venendo fuori a grappoli gli scandali dei ricatti sessuali operati dai “filantropi” delle Ong. Se non vai a portare Cristo non sei capace di amare. L’uomo non è fatto così, e chi lo nega non è più buono di me, è solo che non è cristiano. Solo con Lui siamo capaci, “senza di Me non potete far nulla”.
Dicono che ci sia un’impennata di razzismo tra i giovani. Non so se sia così, della percezione dei giornali mi fido poco. Penso però che la risposta non siano le predichelle sul fatto che gli altri siano sempre e comunque una risorsa, le tirate educative a scuola ai nostri ragazzi con annesse canzoncine, la società liquida e il rinnegamento di ogni identità: non basta, perché l’appartenenza identitaria è scritta in ogni uomo, e il desiderio di una società che sia ordinata, che abbia regole sicure, che offra possibilità di crescere, di trovare un lavoro, di costruire una famiglia è semplicemente normale, e sano.
Solo Dio, non John Lennon, può riuscire ad aprire il nostro cuore, ad allargarlo a una maternità o paternità più grandi. La ricetta della Open Society è fallimentare: tutti i soldi di Soros non ce la faranno a cambiare tutti i cuori del mondo. Non serviranno le lezioni di educazione civica, i progetti multiculturali, i mercatini etnici. Solo Cristo potrà fare il miracolo. Ma non per legge, non imponendosi su un intero popolo, ma salvando e convertendo un cuore per volta.
Dal Blog di Costanza Miriano – 21 marzo 2018