Un attentato a Travis, un altro in Francia: eppure del primo non si parla, del secondo sì, ma come se fosse un fatto slegato. L’attentatore francese non era un jihadista di “razza”, ma un lupo solitario locale. Ma ciò vuol dire che è in Francia che i jihadisti fanno proseliti. Tutti questi nodi stanno venendo al pettine.
Che succede in Francia? Nell’arco di due giorni si è passati dall’affaire Sarkozy al doppio attacco terroristico di Carcassonne e Trèbes, dove hanno perso la vita quattro persone (16 feriti tra cui alcuni gravissimi) durante il sequestro da parte di un terrorista inneggiante all’Isis. Succede che i nodi vengono sempre al pettine e se della vicenda dell’ex inquilino dell’Eliseo si è ampiamente detto, su questo ennesimo attacco di matrice jihadista qualcosa va ancora chiarito.
Perché in questi giorni ne sentiremo tanti dire ”sono dei disgraziati”, ”dei disadattati” e altre amenità di questo genere e dunque occorre sciogliere alcuni nodi; innanzitutto non ci troviamo di fronte ad un terrorista ‘strutturato’, cioè ad una sorta di miliziano come quelli che abbiamo visto agire nei teatri di guerriglia e di jihad in Siria piuttosto che in Iraq, bensì ad un jihadista ‘fai da te’, formato in moschee fai da te, come ce ne sono migliaia. E questa considerazione non a caso perché i media francesi, un po’ più liberi di quanto non siano i nostri mainstream, hanno reso noto già nelle ore successive all’attentato che questo 25enne nato in Marocco, Redouane Lakdim, non transitato per le banlieues francesi sarebbe stato denunciato più volte dalla sua stessa famiglia. Era stato già condannato e detenuto proprio a Carcassonne due anni fa, ed era molto presente sulla galassia web di stampo salafita. Si era radicalizzato e i servizi francesi lo sapevano bene. E la sua ‘formazione’, oltre che sul web, sarebbe avvenuta in una moschea legata ad un gruppo di proselitismo molto attivo in Francia, conosciuto in carcere da dove spessissimo inizia la radicalizzazione.
Insomma non parliamo di un jihadista “di razza”, bensì di un giovane radicalizzato grazie alla dilagante propaganda proselitista di esponenti legati alla Fratellanza musulmana; non un ‘soldato del Califfato’ come vengono definiti nelle rivendicazioni a latere delle azioni jihadiste, bensì un altro caduto nella rete del proselitismo militante, foraggiato in Occidente dalle casse qatarine e dai loro elementi di collegamento. Un terrorista di alto livello non sequestra e negozia: uccide e basta. Poi si uccide. Magari non facendosi esplodere come in altri tempi, ma quello fa. Quello che abbiamo visto rientra nella strategia criminale e assassina dell’islamismo politico, che ‘programma’ persone per compiere atti in sequenza.
E in questo senso la riflessione diventa più inquietante, visto che è ormai chiaro come gli attacchi avvengano il più delle volte in maniera coordinata da un punto all’altro del mondo o di un territorio: perché nessuno ha messo in guardia dopo l’attentato della base militare Travis in California? Perché non si è dato pubblicamente il nome dell’attentatore quando lo si sapeva? A poche ore di distanza è partito l’attacco a Trèbes e Carcassonne, così come si poteva preventivare studiando i casi precedenti. Eppure nulla, silenzio sulla meccanica degli attacchi in sequenza. Con quello negli Usa praticamente caduto nel dimenticatoio, come se non fosse mai accaduto e non avesse alcuna correlazione con quanto accaduto in Francia. Allora c’è da chiedere perché il tempo sia stato diluito in maniera così sfilacciata, così stranamente sfumata. Non sarebbe stato più giusto dire che l’attentato negli Usa, perché di questo si è trattato, poteva portare ad altri ingranaggi in movimento in Occidente? Una ritrosia che dovrebbe allarmare più di qualcuno, visto che a causa del disvelamento della strategia della fratellanza musulmana e delle sue frange jihadiste altro sangue è stato versato e con ogni probabilità altro ancora se ne verserà. Tutto sta a capire dove.
Souad Sbai
La Nuova Bussola Quotidiano, 25 marzo 2018