In questa “Pillola di Saggezza” e nelle prossime vogliamo riflettere su quei temi fondamentali per la nostra vita che la Tradizione della Chiesa ha definito “I Novissimi”, cioè le cose ultime cui l’uomo va incontro al termine della sua esistenza.
“I Novissimi” cioè Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso, senza scordare il purgatorio, inglobano l’insegnamento escatologico cristiano.
Pur essendo argomenti rilevanti, anche noi sacerdoti li trattiamo raramente e il timore di infastidire la suscettibilità ci fa adeguare al “politically correct”. Un giorno, una donna, mi disse: “Perché voi preti oggi evitate di parlare della morte che è sicuramente il momento più importante della vita di tutti? Perché evitate di parlare che la nostra vita sarà giudicata da Dio? Dovreste ricordarcelo ogni giorno, perché ogni momento potrebbe essere il nostro momento”. Quella donna aveva pienamente ragione!
Se pensassimo maggiormente a quegli unici e irripetibili momenti, quelli della morte e del giudizio, forse saremmo più saggi, o imposteremmo la nostra esistenza ricordando che Dio ci invita a non sciupare tempo ma a incamminarsi sulla via della santità così descritta da papa Francesco: “La santità è il volto più bello della Chiesa: è riscoprirsi in comunione con Dio, nella pienezza della sua vita e del suo amore. Si capisce, allora, che la santità non è una prerogativa soltanto di alcuni: la santità è un dono che offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano” (19 novembre 2014).
Molti anni fa questi argomenti entravano nell’educazione dei ragazzi, dei giovani e degli adulti mostrando la “serietà della vita” che nella mente di Dio assume un preciso significato: partecipare un giorno della sua eterna felicità. Non poteva certamente, il Padre, crearci per uno scherzo e permettere che tutto termini nell’arco breve o lungo dell’esistenza terrena. La vita risulterebbe una passeggiata nel nulla come ricordò il cardinale G. Biffi: “Il problema è molto interessante, drammatico e inevitabile, perché i casi sono due: con la morte o si va a finire nel niente o si va a finire nella vita eterna. Le altre soluzioni sono forzatamente provvisorie. Io so già che tra qualche anno o andrò a finire nel niente o andrò a finire nella vita eterna. Ma se andrò a finire nel niente, io vivo già adesso per niente; cioè, se l’approdo dell’esistenza è il niente, anche la sostanza dell’esistenza è il niente, e questa è un’assurdità. Che qualcosa debba venire dal niente solo per tornare al niente è una contraddizione” . E, il cardinale, testimoniò il suo credere al giudizio di Dio e alla vita eterna fino all’ultimo come dichiarò il suo successore a Bologna, il cardinale C. Caffarra, ai funerali di Biffi. “Il vescovo Giacomo fu maestro di fede anche nella lunga tribolazione della malattia. Non potrò mai dimenticare il modo con cui accettò l’amputazione di una gamba. Il volto emanava serenità, pace, abbandono. La fede era diventata vita nel senso più profondo al punto da dirmi: ‘il più bello deve ancora avvenire!’ ”. Questa espressione di Biffi rivela lo stretto legame tra vita e morte, poiché il Signore Gesù con la sua risurrezione ha insegnato che a seguito della morte, l’esistenza di ogni uomo proseguirà nell’eternità in comunione con Dio. In Cristo, rammentava san Paolo, “tutti riceveranno la vita (eterna)” (Cor. 15,22), essendo il Signore Gesù la “primizia di coloro che sono morti” (Cor. 15,20).
La nostra esistenza dovrebbe essere quindi un camminare con i piedi a terra, tra il prossimo da amare come Gesù l’ha amato, ma con la mente sempre rivolta al cielo, senza farsi sporcare dal mondo. La morte allora diventa l’incontro con quel Padre che ci ha cercato, seguito, amato da sempre. Dovrebbe essere quindi il momento più importante e bello se preparato seriamente. Per questo acquisiamo sia “l’ars vivendi” che “l’ars moriendi”.
In un convento di clausura, ogni volta una suora torna al Padre, le campane suonano a festa. Fu chiesto alla superiora il perché delle campane a festa ed ella rispose: “Noi, spose di Cristo, siamo come le vergini in continua attesa che arrivi lo sposo: e, quando arriva, è festa, grande festa. Ci vestiamo di bianco come per le nozze e riempiamo di gioia tutta la liturgia”.
Nelle prossime settimane svilupperemo maggiormente l’argomento della morte, poi ci fermeremo a riflettere sul giudizio particolare e universale e sugli stati dell’infero, del purgatorio e del paradiso.
Intanto: “Sogna come se dovessi vivere per sempre. Vivi come se dovessi morire oggi” (James Dean).
(prima continua)