Nel mese di novembre la Chiesa ci invita a pregare per tutti i defunti. Questo periodo dovrebbe essere anche un momento in cui ripensiamo a questo evento che ognuno dovrà affrontare.
La morte nella cultura contemporanea
La nascita, la crescita e la morte formano un trinomio inscindibile essendo momenti costitutivi della persona che dovrebbe acquisire sia “l’ars vivendi” che “l’ars moriendi” così descritta da Henri Nouwen: «La gente muore. Non solo i pochi che conosco, ma innumerevoli persone, ovunque, ogni giorno, ogni ora. Morire è l’evento umano più naturale, qualcosa che tutti dobbiamo sperimentare. Ma moriamo bene? La nostra morte è qualcosa di più di un destino inevitabile, qualcosa che semplicemente non vorremmo esistesse. Ma può diventare in qualche modo l’atto di una realizzazione, forse più umana di ogni altro atto umano» (Il dono del compimento, Queriniana, pg. 12), poichè quando l’uomo «non sa più guardare alla propria morte, mettendosi in rapporto con ciò che giace oltre lo spazio e il tempo della sua esistenza, perde il desiderio di creare e l’eccitazione di essere uomo» (Il dono del compimento, Queriniana, pg. 12). Dunque, la morte, è un passaggio eloquente per ogni uomo! Eppure della morte è arduo parlarne: rammenta la precarietà e la provvisorietà, incute paura, provoca terrore, suscita pudori non essendo potenzialmente controllabile. Inoltre, il contesto societario, non consente di trattare il tema come ogni altro argomento dell’esistenza, o meglio di recepire la morte come il naturale compimento della persona; perciò si muore peggio che in passato. Da avvenimento biologico e naturale, da “sorella” con la quale convivere, è trasformata in nemico da combattere, mostro da esorcizzare, evento da negare, anche se poi, in alcune circostanze, invade le televisioni e i giornali, ed è presentata nei talk show come spettacolarizzazione banalizzata dove ogni riverenza sparisce. Ebbene, la morte, è il tabù dei primi decenni del XXI secolo!
Oggi si vive come se non si dovesse morire mai!
La vita è sradicata dalla morte; tutto ci distrae da questa realtà, e di conseguenza la visione che ha estromesso la morte dalla quotidianità, ha sminuito anche la capacità di accompagnare il prossimo moribondo. Da evento gestito nell’ambito familiare e comunitario, dove la persona terminava la vita nel proprio letto, trasmetteva le ultime volontà, riceveva i sacramenti e si affidava a Dio per compiere una “buona morte”, è divenuto un momento anonimo da relegare in spazi artificiali, in ambienti specialistici per “scomparire in silenzio”, lontano dalla quotidianità, nell’ impersonale stanza d’ospedale oppure nelle “casa di riposo” (RSA), per non turbante l’equilibrio della gente.
La morte, dunque, da evento sociale è stata “privatizzata”; coinvolgendo il più delle volte unicamente il defunto e i suoi famigliari. Per questo si predispongono alcuni accorgimenti affinchè passi inosservata e velocemente. E, le difese più comuni sono il «negare, rimuovere, dimenticare, fare come se la morte non esistesse. Sembra questa l’unica maniera di combattere l’angoscia di morte propria di questa società, di queste città piene di o uomini che devono morire e che molto spesso hanno nessuna o poca speranza in una loro personale vita eterna» (J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, pg. 89). Rammentava il filosofo Blaise Pascal: «gli uomini non avendo potuto liberarsi dalla morte, dall’ignoranza e dalla miseria, hanno deciso per essere felici di non pensarci» (Pensiero n. 250). Ovviamente, anche nel passato, la morte procurava timori ma per ragioni opposte: ieri la paura era suscitata dal giudizio di Dio, oggi dalla sua dimenticanza!
Cristianesimo e morte
In latino i verbi “nascere” e “morire” sono deponenti, cioè assumono una forma passiva e un significato attivo. La forma passiva indica un evento indipendente dalla scelta personale, il significato attivo mostra che il fatto, nel nostro caso la morte, ha l’accezione che noi gli attribuiamo.
Il cristiano ha la fortuna di poter offrire alla morte un “significato totalmente esistenziale”, preparandosi con serenità e consapevolezza a quel l’evento, amando e valorizzando ogni giornata e ogni attività. La fede consente al credente un approccio peculiare e la certezza che «preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli» (Sal. 115,15). Il Signore Gesù, con la Sua risurrezione, testimonia che la nostra vita come la Sua, non s’interromperà con la morte. Il Messia, annuncia che ogni uomo è destinatario della vita eterna; che la morte è unicamente “il transito” dall’esistenza terrena, breve, per alcuni brevissima, e spesso scalfita dalla sofferenza e dal dolore a quella eterna, contrassegnata dalla gioia e dalla beatitudine, poichè dopo il Venerdì Santo è predisposta per ognuno, come per Cristo, la Pasqua. Perciò, l’uomo trascorre la prima parte dell’esistenza nel mondo e poi la proseguirà partecipe della stessa vita di Dio, a secondo del giudizio particolare che riceverà (Cfr. Gv. 5,29). Riguardo alla risurrezione, il cardinale Giacomo Biffi, affermò: «è molto interessante, drammatico e inevitabile parlarne perché i casi sono due: con la morte o si va a finire nel niente o si va a finire nella vita eterna. Le altre soluzioni sono forzatamente provvisorie. Io so già che tra qualche anno o andrò a finire nel niente o andrò a finire nella vita eterna. Ma se andrò a finire nel niente, io vivo già adesso per niente; cioè, se l’approdo dell’esistenza è il niente, anche la sostanza dell’esistenza è il niente, e questa è un’assurdità. Che qualcosa debba venire dal niente solo per tornare al niente è una contraddizione. Già il filosofo russo J. Solov’ev rammentava che la morte è “un fatto”, e nei confronti “dei fatti”, nessuna filosofia, ideologia e illusione estetica resiste» (L’Aldilà, LDC, pg. 5).
La morte anche per il cristiano è circondata dal timore
Anche il Signore Gesù, incarnandosi, ha vissuto l’ esperienza della morte; come ha reagito? Nel Getsemani ebbe paura e invocò Dio: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!» (Mt. 26,39°) e l’evangelista Luca aggiunge: «In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra» (Lc. 22,34). Pochi giorni prima pianse dinanzi al sepolcro del suo amico Lazzaro, pur sapendo che poco dopo l’avrebbe risuscitato (cfr. Gv. 11,1-44). Ebbene, il cristianesimo, pur donando valide prospettive al dopo vita, legittima il turbamento, il tremore e la trepidazione ma sempre accompagnato dalla speranza.
Come prepararci alla nostra morte
Siamo tutti perfettamente convinti che dovremo affrontare la morte; non sappiamo quando. Per questo un mistico, nell’ “Imitazione di Cristo”, affermava: «La mattina fa’ conto di non arrivare alla sera. Scesa la sera non osare di riprometterti la mattina» (Libro I°, cap. XXIII). Oppure: «Guardare la vita dal punto d’osservazione della morte, dà un aiuto straordinario a vivere bene. Sei angustiato da problemi e difficoltà? Portati avanti, collocati al punto giusto: guarda queste cose dal letto di morte. Come vorresti allora aver agito? Quale importanza daresti a queste cose? Fa’ così e sarai salvo. Hai un contrasto con qualcuno? Guarda la cosa dal letto di morte. Cosa vorresti avere fatto allora: aver vinto o esserti umiliato? Aver prevalso, o aver perdonato?» (R. Cantalamessa, Sorella morte, Ancora, pg. 45).