Intersecare etica, valori e cultura per sconfiggere l’AIDS

By 1 Dicembre 2022Attualità

La problematica è molto più ampia

Il 1 dicembre si celebrerà la “Giornata Mondiale contro l’Aids”, un dramma che assieme a molti altri, dalla droga al suicidio, non conoscono confini geografici né barriere ideologiche, e colpiscono soprattutto i giovani, mietendo migliaia di vittime. Queste drammatiche situazioni interpellano i “modelli” proposti dalle culture contemporanee, che come più volte ribadito, portano le persone a dubitare della “bontà della vita”. Per questo, come rammentava il teologo e saggista svizzero Hans Küng, «l’etica che nella modernità era considerata in misura crescente come una questione privata, nella post-modernità – per il bene dell’uomo e la sopravvivenza dell’umanità – deve tornare ad essere un’ esigenza pubblica di primaria importanza», poiché «l’umanità post moderna, anche se inconsciamente, richiede valori, fini e ideali» (Progetto per un’etica mondiale, Rizzoli, pg. 23). Inoltre, i tragici eventi citati, sfruttando la fragilità della condizione umana non attengono unicamente alla situazione fisica ma anche a quella psichica e spirituale, spegnendo nel cuore delle vittime le motivazioni esistenziali e le prospettive più profonde di speranza. Ebbene, il malato di AIDS, il tossicodipendente e colui che tenta il suicidio sono fragili da fortificare, impauriti da rassicurare, immaturi da emancipare. Ricordava il filosofo britannico Patrick Devlin: «per nessun uomo vale la pena di modificare la propria condotta solo sul criterio di poter sfuggire alla punizione, per questo ogni società degna di questo nome crea per i suoi membri dei criteri superiori a quelli della legge» (The enforcement of morals, Oxford University Press 1965, pg. 121).

Di conseguenza, la lotta all’AIDS, alla droga e ai suicidi si vinceranno unicamente operando anche nei settori valoriali, etici e culturali.

AIDS prevalentemente malattia “comportamentale”

Tornando all’AIDS, dobbiamo affermare che è una malattia “comportamentale” che si genera nelle “dimensioni più intime della persona”. Non a caso, la patologia, si comunica attraverso lo sperma e il sangue, due liquidi organici ai quali tutte le tradizioni culturali attribuirono un particolare significato e le posero direttamente in connessione con la vita. Di conseguenza, la generale attività d’informazione, richiede di essere completata con un’opera di responsabilizzazione “culturale”. Per questo, è essenziale coinvolgere nel dibattito i legislatori e i politici, i massmedia e i leaders religiosi, gli scienziati e gli operatori sanitari affinché tutti assieme affermino con coraggio ciò che è ovvio: che la sessualità dissociata dall’impegno coniugale, il comportamento incentrato sulle aberrazioni e promiscuità sessuali e il vagabondaggio erotico contribuiscono enormemente alla diffusione del virus. In altri termini, questa malattia contratta attraverso i comportamenti sopra citati, quando non dipende da anomalie organiche, chiaramente è conseguenza di scelte personali oggettivamente disordinate, perciò assume una inequivocabile “dimensione etica”. Tutte queste “negatività” trovarono un terreno favorevole, tra l’altro, in ideologie in contrasto con la legge naturale, nel permissivismo degli ultimi decenni, negli atteggiamenti depravati e anche nel turismo sessuale che pochi deplorano. Da qui l’importanza, non solo di una corretta informazione sanitaria, ma anche di un’educazione a un rigoroso rapporto con la propria e altrui sessualità. Non possiamo infine scordare l’intervento dell’autorità pubblica che spesso pubblicizza il profilattico per un “sesso protetto e sicuro”, senza prendere posizione nei confronti dei comportamenti che portano alla diffusione del contagio.

È vero, che a volte, legge etica e leggi civili non coincidono, ma quest’ultime per far progredire il bene comune non possono tralasciare l’aspetto valoriale della vita di un popolo, e lo Stato è chiamato ad intervenire in alcune pratiche ed azioni che assumono un’incidenza pubblica. Rammenta un Documento della “Congregazione per la Dottrina della Fede” a riguardo “dell’aborto procurato” ma la stessa riflessione si addice anche al nostro argomento: «La legge umana può rinunciare a punire, ma non può dichiarare onesto quel che è contrario al diritto naturale, perché tale opposizione basta a far sì che una legge non sia più una legge» (Dichiarazione sull’aborto procurato, n. 21).

Significato del corpo e della sessualità

Concretamente, in questo aspetto, pur riguardando la personale modalità di vivere la sessualità, lo Stato deve interrogarsi sul significato del corpo e della sessualità, sul valore dell’amore umano e sulle regole che devono guidarlo e custodirlo, sul rapporto intrinseco tra la sessualità umana e l’istituto matrimoniale. Ovviamente, è più semplice distribuire profilattici che intraprendere l’arduo cammino dell’educazione ai valori. Siamo, come ricordava il cardinale Dionigi Tettamanzi, «di fronte ad una malattia che coinvolge la nostra società e cultura, sicché la stessa morale non può restringersi ad una lettura interpretativa individualistica del fenomeno AIDS: urge una lettura interpretativa propriamente sociale e culturale. È questo un aspetto essenziale e decisivo» (Nuova bioetica cristiana, Piemme, pg. 415).

Nessuna discriminazione

Culturalmente si dovrà anche operare affinché il malato di AIDS non subisca delle discriminazioni per paure causate da quel fenomeno collettivo definito “Aids-fobia” generato prevalentemente dall’ignoranza. Metaforicamente, l’AIDS che si manifesta come “una resa” del sistema immunitario, svela non unicamente i limiti e la radicale impotenza dell’uomo, ma “la resa” di vari contesti alla liberalizzazione e al permissivismo nei confronti dei valori tradizionali avendo scordato gli ideali assoluti e irrinunciabili che, come tali, non conoscono limitazione né di tempo, né di spazio.

A questi malati, però, dovremo offrire la massima attenzione e cure premurose superando i radicalismi e i pregiudizi, frutti d’insipienze che presentano l’AIDS  con visioni apocalittiche o catastrofistiche, oppure si prefiggono di risvegliare nel profondo dell’inconscio collettivo il ricordo delle antiche pestilenze. Immagini tanto sconvolgenti, quanto superficiali, sono per molti sinonimi ineluttabili della malattia, contribuendo a generare un senso diffuso e soffocante di panico, esteso a tutti i livelli societari che, a volte, invocano un “capro-espiatorio”. Non è quindi il caso di coinvolgere potenze tenebrose d’ incerto significato razionale anche perché la malattia può essere contratta indipendentemente da ogni comportamento eticamente criticabile.

Il significato dell’AIDS per i nostri tempi

L’AIDS, non unicamente come “segno” ma soprattutto come “significato”, può senz’altro costituire un severo richiamo all’umanità per quello che san Giovanni Paolo II definì «una specie d’immunodeficienza nel piano dei valori esistenziali che non si può lasciare di riconoscere come una vera patologia dello spirito” (11 novembre 1990). Perciò, anche questa patologia, può essere letta come un “espressione dei tempi” e un messaggio agli uomini contemporanei affinchè rielaborino i loro stili di vita come ricordato dal teologo svizzero Georges Marie Cottier: «Certo lo è in quanto rivelatore dei disordini profondi della nostra società, che mettono in dubbio il significato della sessualità e dell’amore umano (…). La nuova malattia ci obbliga a guardare in faccia le cose. Segno o espressione dei tempi, l’AIDS lo è ancora di più e in primo luogo anche con l’urgente chiamata che ci fa l’amore al prossimo e alla solidarietà. L’amore al fratello deve farsi inventivo per ricevere le numerose sofferenze causate da questa malattia» (Sida: un signo de los tiempas?, in “Dolentium hominum”, 13 [1990], pp. 34 e 39). In quest’ ottica, anche il cardinale inglese George Basil Hume, evidenziò che l’AIDS è una prova, ma non una punizione divina, una «legge generale secondo la quale ogni azione ha delle conseguenze che possono anche portare alla distruzione. Di fatto l’AIDS non è che una delle numerose conseguenze disastrose d’un comportamento sessuale disordinato. Questo disordine è la causa fondamentale della malattia» (In My Own Words, Hodder & Stoughton, pg. 81).

Riassumendo e concludendo

Ebbene, l’AIDS esige una risposta che oltrepassi la prevenzione o il freno della diffusione del virus. È irrimandabile costruire una cultura e una civiltà “a misura della dignità dell’uomo” che s’ispiri ai principi più nobili del patrimonio dell’umanità, ridefinendo i sistemi di valori e lo sviluppo del modo di vivere che collochi al giusto posto le nozioni etiche e valoriali.

Di fronte alla situazione di un sofferente nessuno ha il diritto di giudicare. Il Signore Gesù alla donna adultera che rischiava la lapidazione affermò: «Neppure io ti condanno, và e non peccare più» (Gv. 8,11). Un’ icona che riassume il comportamento nei riguardi dei malati di AIDS è presente nella visita che san Giovanni Paolo II, in viaggio negli Stati Uniti, fece all’istituto “Dolores” di San Francisco (17 settembre 1987) che ospita numerosi malati affetti da questa patologia. Il Papa rivolse loro un discorso poi s’intrattenne con i malati, abbracciando e baciando con affetto i bambini, dimostrando con un gesto simbolico quale sollecitudine dobbiamo a questi sofferenti.