I senatori della XVII legislatura hanno più volte affermato, mentendo, che gli italiani a gran voce invocavano una legge sul testamento biologico ritenendolo “un’emergenza nazionale”.
Con questa ignobile scusante hanno approvato il 14 dicembre 2017 , in fretta e furia, poiché stava terminando il loro mandato un “obbrobrio” che già abbiamo illustrato, divenuto la legge 219/2017 entrata in vigore il 31 gennaio 2018. Ma, dimenticanze, strumentalizzazioni, ambiguità ed equivoci sono alcune caratteristiche di questa normativa che regola una fase particolarmente significativa e delicata dell’esistenza: il fine vita.
Noi ci aspettavamo dal 1 febbraio “un assalto” agli uffici anagrafici dei vari comuni e agli studi notarili ma tutto ciò non è avvenuto, anzi da un’inchiesta di Avvenire condotta in sei grosse città costatiamo che solo lo 0,00661% di cittadini, a due mesi dall’entrata in vigore della legge, ha depositato il proprio biotestamento. Ecco i dati: Bologna: 41 su 389.261 abitanti; Milano: 335 su 1.366.037 abitanti; Napoli: 0 su 967.069 abitanti; Palermo: 6 su 668.630 abitanti; Roma: 0 su 2.874.605 abitanti. Torino: 71 su 883.702 abitanti. Totale: 473 su 7.149.304 abitanti. Numeri che parlano da sé!
Di fronte a questo clamoroso flop invitiamo il nuovo Parlamento a rivedere il testo normativo ponendosi come obiettivi primari la salvaguardare della dignità del malato e della professionalità del medico, rileggendo i contributi degli esperti consultati ma non ascoltati da dove potranno trarre utili indicazioni memori del detto: “ogni fele’ fa el so’ meste’ ”. Questo per ricordare che essere eletti deputati o senatori non trasforma la persona in esperto in “tuttologia”.
Don Gian Maria Comolli