Dopo esserci soffermati la scorsa settimana sul termine “Intelligenza artificiale”, vogliamo oggi comprendere sinteticamente la “robotica” per poter giungere ad alcune conclusioni etiche e bioetiche.
Definizione
Il vocabolo “robotica” deriva dal termine ceco “robota” che significa “lavoro pesante” o “lavoro forzato”, e fu inventato nel gennaio 1921 dal drammaturgo K. Capek per l’opera teatrale Rossum’s Universal Robots. I suoi robot non erano meccanici ma dei “servitori” costruiti con procedure chimiche e biologiche.
Oggi il termine indica la progettazione e lo sviluppo di processi che consentono a una macchina di svolgere mansioni specifiche, ricopiando automaticamente il lavoro dell’uomo. Per questo motivo M. Brady, fondatore del “Robotics Research Group” dell’Università di Oxford, li qualificò come «la connessione intelligente tra percezione e azione». La robotica è una scienza interdisciplinare e coinvolge molteplici discipline; infatti, per costruire un robot è inevitabile, di volta in volta, la collaborazione diretta o indiretta tra meccanica ed elettronica oltre arte, biologia, etica, filosofia, fisiologia, informatica, intelligenza artificiale, linguistica, logica, matematica, neuroscienze e psicologia.
Caratteristiche
I robot sono classificati in due categorie.
Quelli che “posseggono un corpo”, e producono lavoro fisico (with body), e quelli “privi di un corpo”, cioè fissi (without body).
Le due tipologie si differenziano a loro volta in “intelligenti”, ossia dotati di capacità cognitive, o “stupidi”, cioè sprovvisti di questa caratteristica.
I “robot stupidi”, pur cooperano con l’individuo, sono soggetti alla programmazione dell’uomo e svolgono prevalentemente lavori ripetitivi nelle fabbriche o nelle abitazioni e non assumono decisioni autonome. Alcuni però sono ormai irrinunciabili nella quotidianità e l’uomo ne è assoggettato. Si pensi agli elettrodomestici, agli apparecchi di comunicazione (telefono fisso) e agli strumenti d’intrattenimento o di svago (tv, radio…).
I “robot intelligenti”, all’opposto, sono macchine abili nell’elaborare risposte a situazioni impreviste e assumono decisioni autonome. Sono esperti nel sostituire gli umani nelle attività di routine o in quelle rischiose: situazioni di emergenza o belliche, disinfestazione di luoghi insalubri o radioattivi. Entrano in questa categoria anche il telefono cellulare e i computer che supportano l’uomo nelle attività cognitive.
Interrogativi antropologici, filosofici ed etici.
Quale soglia non deve oltrepassare un robot nell’emulare la persona?
Come si trasformerà il mercato del lavoro con la sostituzione dell’umano con il robot?
Quali conseguenze potrebbero subire alcune categorie della popolazione?
Di quale grado di autonomia deve essere dotato?
Supponiamo che una driverless car si trovi di fronte a una donna che con un passeggino attraversa improvvisamente la strada: come deve comportarsi l’automobile senza conducente? Sterzare bruscamente mettendo a repentaglio la vita dei passeggeri, oppure travolgere la donna con il suo bambino?
La robotica opera in numerose aree, perciò sono state costituite “sotto-discipline”: arte robotica, robotica di intrattenimento, industriale, militare, sociale, spaziale, umanoide, micro-robotica e domotica. Inoltre i robot si differenziano per le applicazioni e per le strutture.
Robotica Medico-Assistenziale
Approfondiamo la Robotica Medico-Assistenziale dove troviamo robot chirurgici, capsule mediche intelligenti per raggiungere zone interne del corpo umano, protesi robotiche e protesi bioniche avanzate e innestate direttamente nel sistema nervoso.
Il Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) e del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) Sviluppi della robotica e della roboetica (2017) dedica il terzo capitolo alla Biorobotica e Roboetica in ambito medico e biomedico, esaminando tre aspetti: la chirurgia robotica, l’assistenza robotica, la bio-robotica e neuro-robotica.
Quanto alla chirurgia si rileva che i chirurghi devono costantemente aggiornarsi, esercitando la loro professione in una sanità dominata sempre di più dalle tecnologie, in particolare dalla robotica. Infatti, il robot – con i suoi sottili bracci comandati a distanza – consente l’esecuzione di vari interventi. Un esempio è il “Sistema Da Vinci” (Intuitive Surgical).
Lo strumento consente al medico, ubicato in una postazione prossima al paziente di operare come se le sue mani fossero delle pinze nel corpo del malato. La tecnica determina pregevoli conseguenze positive sia per il medico che per il paziente: l’implemento della visuale del campo operatorio; il rigoroso coordinamento occhio-mano, eliminando i tremori; la scrupolosità nelle procedure demolitive e in quelle ricostruttive; la riduzione delle complicazioni da infezioni post-operatorie; l’abbattimento dei tempi sia dell’intervento che del recupero (vengono praticate incisioni minime); il calo dello stress fisico per il medico e la possibilità di comunicare e condividere con altri le decisioni da adottare.
In questa metodologia, ovviamente, sono presenti anche degli svantaggi: il costo del sistema, la formazione per l’uso del robot, la difficoltà ad intervenire sollecitamente a seguito di complicanze e di emergenze. Questa tecnica – che richiede ancora studio e sperimentazioni per valutare la proporzione benefici/rischi – è già operante in alcune specializzazioni. Però «uno studio pubblicato nel 2016 da ricercatori dell’università dell’Illinois e dal MIT ha analizzato i casi di chirurgia assistita da robot registrati negli archivi della Food and Drug Administration statunitense nel periodo dal 2000 al 2013, accertando più di 10mila incidenti con 144 esiti mortali e 1.391 eventi avversi con “significative conseguenze per i pazienti, incluse le lesioni”» (E. Macrì, Robotica-medicina-diritto: alcune brevi riflessioni tra suggestioni e realtà, in «Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia» 44 (2017), p. 324).
Un problema fra i molti riguarda l’eventuale rottura di un braccio robotico nel corso di un intervento; chi è responsabile? Ammonisce il Documento CNBCNBBSV: «La chirurgia robotica è e deve rimanere un mezzo e non un fine. Il robot chirurgo di oggi è un puro “ausilio” per il chirurgo, non un suo sostituto» (p. 26). Affermava E. Ruggeri negli anni ’50 del XX secolo: «La chirurgia è un’arte straordinaria. Chi ad essa si dedica deve accettare responsabilità tremende, logoranti fatiche, dolori, amarezze, sacrifici. Ma troverà la quiete dello spirito se la coscienza gli dirà che le sue imprese sono state compiute non soltanto con la mano sapiente, ma saranno state illuminate dalla Luce dell’intelletto e riscaldate dalla fiamma del cuore» (Relazione alla Società San Luca – Medici Cattolici di Napoli, 19 gennaio 1952).
Quanto all’assistenza robotica – o robotica dell’assistenza – essa «può assumere diverse forme: monitoraggio e controllo della salute da remoto (telerobotica, con videocamere o sistemi di GPS); assistenza per la riabilitazione; assistenza per azioni quotidiane (mangiare, bere, vestirsi, muoversi…); assistenza per compagnia (in casi di isolamento o depressione). Secondo le funzioni (spesso combinate) si usano terminologie diverse: “health/assistive robot”, “socialized robots/socially assistive robots”, “service robots”, “carerobots/carebots”, “robotic nurses o nursebots”» (p. 26).
Di fronte a questa citazione dobbiamo interrogarci se un robot stimola le facoltà cognitive di un paziente affetto da demenza, e se la macchina può supplire gli atteggiamenti degli operatori nei confronti di malati che vivono situazioni complesse e necessitano non unicamente di un supporto fisico ma anche umano e psicologico. Il Documento CNB-CNBBSV invita alla valutazione delle condizioni di legittimità dell’uso di robot verificando caso per caso, inoltre afferma che «“la care” solo artificiale di una macchina porta verso la disumanizzazione della cura e l’oggettivazione fisica del paziente (il soggetto è percepito come un problema o un ‘peso’ che richiede una soluzione tecnologica)» (p. 27); al contrario «il caregiving è una pratica umana intrinsecamente morale non sostituibile, che consente di sviluppare le virtù e le capacità umane, nell’empatia e reciprocità della relazione interpersonale che consente un adeguato approccio a persone in condizione di particolare vulnerabilità» (p. 27).
Infine, con la bio-robotica e neuro-robotica sono stati realizzati progressi eccezionali nel settore riabilitativo mediante i “robot fisioterapisti” apportando considerevoli miglioramenti al malato vittima di patologie invalidanti o di traumi. Ha benefici anche sul sistema cardiovascolare, sulla respirazione, sulla funzionalità dell’intestino e della vescica. Tuttavia, il problema etico principale è posto dalla neuro-robotica: «La riproduzione di modelli artificiali del cervello umano, la percezione visiva mediante sensori o visione artificiale, la comunicazione tra essere umani e sistemi artificiali, anche in forma non verbale, compresa la generazione e la comprensione di particolari stati emotivi» (pp. 27-28).
Questi procedimenti pongono in discussione l’identità, l’integrità e la libertà della persona dato che alcuni organi dovrebbero essere sostituiti con un trapianto biorobotico che comporterebbe il rischio dello smarrimento dell’identità personale. Controverso è pure il “Brain Computer Interface” (BCI), un’interfaccia neurale che favorirebbe la comunicazione diretta tra cervello e dispositivo esterno, oppure l’innesto chirurgico di sensori e microchip nel cervello. Di fronte a tali problematiche, il documento richiama il “principio di precauzione” da applicarsi «quando vi è il riconoscimento di un rischio elevato ma incerto, articolandosi poi intorno ai principi fondamentali di dignità della persona e di rispetto della sua integrità fisica e psichica, di autonomia, di non discriminazione, di privacy e di diritto all’identità e di giustizia» (p. 29).
In conclusione ci interroghiamo su come si svilupperà in futuro, con l’incremento della robotica d’assistenza, il rapporto medico-paziente. A tal proposito chi scrive è memore di un eloquente episodio verificatosi il 9 marzo 2019 al Kaiser Medical Center di San Francisco in California. A un uomo 78enne sofferente di una grave crisi respiratoria, dopo averlo sottoposto alla TAC, un robot comunicò che l’esito dell’esame era negativo e che di conseguenza sarebbero state sospese le terapie, sostituite unicamente dalla morfina. Non il medico, ma il robot, lo informò di essere divenuto un malato terminale (l’uomo morì il giorno seguente). L’ospedale si scusò: «Sono le nuove procedure!».
Don Gian Maria Comolli
(Seconda continua)