All’attuale tasso di fecondità gli italiani nel 2050 si ridurranno da 60,6 milioni a 51,5. L’Italia agli italiani non sarà tolta dagli altri, ma dai noi stessi.
Caro direttore,
la denatalità in Italia non è solo un punto di governo. La denatalità in Italia è un punto di destino. Questo, come dimostrano le briciole di consapevolezza raccolte da ‘Avvenire’ durante la campagna elettorale per il voto del 4 marzo, dovrebbe essere chiaro a qualsiasi governo che nascerà. Le culle italiane sono vuote, la popolazione è a picco. C’è un problema di natalità; e di maternità, perché sono le mamme, le donne a fare i figli. Nel necessario contesto di un’unione di coppia, una volta si diceva la ‘famiglia’. Ma resta il fatto che sono le mamme a generare.
A meno che un idiota unisex non pensi che questa ‘discriminazione di genere’ – che forse in radice è il semplice ‘discernimento’ di genere della natura, che ha un suo logos; nient’altro che l’esperienza della sapienza dell’evoluzione – sia superabile da un centro tecnologico di produzione bambini. Con annesso indotto produttivo di ‘allevamento’, come nel più orrido immaginario biopolitico, quasi biozootecnico relativo alla razza, di una società falansterio, che abbia risolto una volta per tutte il problema ‘emancipativo’ di un’individualizzazione senza differenziazione, né sociale, né di genere, né di immaginario; che è il mito demonico del ‘moderno’, del suo individualismo suicidario. Funzionale alla forza lavoro generica indifferenziata richiesta da un capitale e un’economia dediti alla ‘vita’ dell’’azienda’ come unico organismo sociale (artificiale) che conta, più che a una qualsiasi società ‘organica’ (vitale organismo storico-spirituale) che sia comunità di etnia, lingua, cultura.
È a questa mitologia mercatoria, che ormai tocca tutti gli ambiti della vita, che può essere indifferente questo punto di destino di un popolo, che è la sua natalità, già custodito nel «crescete e moltiplicatevi» da ogni Dio detto al suo popolo; da ogni comunità organica detto a se stessa. Più che allarmismo tradizionalista esposto agli strali del politicamente corretto sono i dati Eurostat. Drammatici. All’attuale tasso di natalità gli italiani nel 2050 si ridurranno dai 60,6 milioni di oggi a 51,5. Tra sessant’anni saremo ancora meno: 39 milioni. Numeri da brivido. Dove le polemiche sull’«Italia agli italiani» che rischieremmo di perdere per le «migrazioni», sono ridicola e corrosiva materia di intrattenimento elettorale.
L’Italia agli italiani non sarà tolta dagli altri, ma dai noi stessi. Tolta per quel mix micidiale di cultura della denatalità, legata a stili di vita, consumi e desideri guidati dalla stella polare della perdizione (un individualismo cieco, che ormai comincia e finisce alla promozione del proprio selfie), e di indifferenza. L’indifferenza, che quella cultura potentemente alimenta (e le dà l’alibi della necessità), di una società e di una politica che di famiglie e figli non vogliono saper niente, se non – a salvarsi l’anima sul terreno dei ‘diritti’ – nei modelli di nicchia delle nuove famiglie e delle nuove genitorialità. Anzi, in questo quadro di crisi economica di sistema, che ormai è nei numeri delle statistiche, saranno solo i fenomeni migratori a poter compensare gli scompensi socioeconomici del sistema Italia; sempre che lo si voglia mantenere agli attuali dati macro economici e sociali, e non se ne accetti con il declino demografico, una ristrutturazione al ribasso, un generale rimpicciolimento di sistema, con un segno meno traferito a tutto, dalle culle, alle scuole, alla formazione superiore, alle fabbriche, ai servizi, ritarando il welfare del Paese dai sessanta ai quaranta milioni di italiani, in una decrescita guidata dell’Italia degli italiani.
Che poi in effetti è l’unica politica che si vede fare da qualche decennio. Il trend italiano è un trend europeo (il che vuol dire che qui c’è un compito anche per l’Europa), ma questo trend non è ineluttabile, perché Francia e Gran Bretagna sono in questo ambito, ma sono Paesi più o meno ‘virtuosi’, perché possono ancora sperare (se correggeranno errori degli ulimi tempi) di veder aumentare la popolazione anche al netto dei flussi migratori. Come dovremmo fare noi. In Francia, secondo Eurostat, la popolazione dovrebbe salire dai 66 milioni di quest’anno ai 69 del 2050, e nel 2080 si assesterebbe sui 68 milioni. Stesso discorso per la Gran Bretagna. Oggi i britannici sono 64 milioni. Saranno tre in più nel 2030 e di nuovo 64 milioni nel 2080. Non è un caso che sono paesi che hanno politiche attive e strutturali di sostegno alla famiglia; al ruolo della donna non solo al lavoro, ma come madre, e madre che, se vuole, lavora; alla natalità, cioè alla condizione del cittadinofiglio.
Questa condizione – del cittadino-figlio – non si risolve con un bonus al concepimento o alla nascita e con qualche asilo nido in più. Perché questa condizione dura il tempo dell’allevamento, che nella specie sapiens sapiens (se ancora tale vorrà essere) dura vent’anni. Chiunque lo abbia in carico, è questo il punto di destino per l’Italia, quello che dovrebbe essere il primo punto del governo che verrà. E parte delle risorse promesse per quella o questa misura economica ‘identitaria’ di questo o quel partito – dalla flat tax al reddito di cittadinanza – siano impegnate per il futuro dell’identità italiana in quanto tale; con politiche strutturali di sostegno alla natalità, il cui punto di svolta potrebbe essere un assegno familiare a figlio che rappresenti – in un mondo che commisura anche i propri desideri più belli al reddito e al tenore di vita che ne discende, e dove purtroppo anche quei desideri per lo più perdono – un incentivo economico forte ad avere figli.
Una madre non solo deve poter entrare e uscire con più facilità dai ruoli sociali che oggi in quanto donna non più solo vestale del focolare le sono legittimamente davanti, ma deve poter avere remunerato con un reddito adeguato il primo lavoro sociale in assoluto: la genitorialità. Con 50 euro di assegno familiare a figlio non si va da nessuno parte. Un figlio non può valere il conto per una serata in pizzeria di una coppia. Non si butti questo discorso nella caciara ideologica del gender, del politicamente corretto, di maschilismo e femminismo, della ‘società che muta’. Perché la società è certamente mutante. Ma anche una società morta o suicidatasi è una ‘mutazione storica’. Bisogna solo intenderci se è quello che vogliamo.
Eugenio Mazzarella (Ordinario di Filosofia teoretica Università Federico II )
Avvenire.it, 7 aprile 2018