Il terzo Novissimo proposto dalla Dottrina della Chiesa Cattolica riguarda “l’inferno”.
L’inferno esiste?
Come insegna il Magistero della Chiesa, anche se oggi pochi ne parlano e vari nostri contemporanei la ritengono un’idea retrograde, l’inferno esiste ed è eterno. Rifiutarne l’esistenza significa giudicare il Signore Gesù un menzognero avendone parlato più volte nel suo ministero in Palestina. Dunque, l’inferno è una realtà, la logica conseguenza della libera scelta della persona che muore macchiata dal peccato mortale (1), senza pentimento ed avendo rifiutato l’amore misericordioso di Dio.
Molti, si domandano: “Come si concilia l’inferno con l’infinita bontà di Dio, la sua sconfinata misericordia e anche la tenerezza del Signore Gesù?”
La risposta è nello stile del Padre che avendo creato l’uomo libero e responsabile rispetta totalmente e pienamente le sue decisioni. Un Padre, Dio, che ha come caratteristica anche “la giustizia” cosi spiegata da papa Benedetto XVI: “Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma la sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto. Ambedue – giustizia e grazia – devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore. La grazia non esclude la giustizia. Non cambia il torto in diritto. Non è una spugna che cancella tutto così che quanto s’è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore” (2).
Cos’è l’inferno?
E’ l’immensa e l’immisurabile sofferenza dell’uomo che rimarrà “per sempre” escluso dalla “comunione con Dio”, non realizzando il desiderio primordiale presente nel suo cuore, al quale anche inconsciamente anela: vedere Dio e vivere per sempre con Lui, come affermava sant’Agostino: “Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (3) e come ribadiva san Tommaso: “Peccatum mortale meretur carentiam visionis divinæ, cui nulla alia poena comparari potest” (4). Oltre a ciò si aggiunge il tormento di non godere l’amore e dell’incapacità di amare.
Ma come “si arriva” all’inferno? Nel Vangelo è presente l’istruttiva parabola del “ricco epulone e del povero Lazzaro” (cfr. Lc. 16,19-31) che tenta di chiarirci mediante il comportamento di quel ricco, o meglio il “vivere da ricco” come, giorno dopo giorno, si costruisce il sentiero per l’inferno. Il mendicante di questa parabola sta alla porta del ricco, vicinissimo al ricco, ma il ricco non lo vede distratto da mille altri interessi. Il suo vivere da ricco lo rendesse cieco. Il povero vede il ricco ma il ricco non vede il povero. E così si costruisce nel ricco una sensibilità capovolta rispetto a quella che occorre per accorgersi dei problemi degli altri e per comprendere la verità su Dio, su se stessi, sull’uomo e sulla vita. Un detto rabbinico afferma: “Come è facile per un uomo povero confidare in Dio ed essere da lui accolto. Com’è difficile per un ricco confidare in Dio. Tutti i suoi beni gli gridano: Confida in me!”. Ammettiamo, inoltre, che un uomo nella vita abbia continuamente offeso ed odiato Dio mettendosi in una condizione di totale avversione nei confronti del suo Creatore. La morte, e di conseguenza l’inferno, non farà altro che confermare definitivamente quello stato d’animo. Si tratta, in altre parole, di una pena inflitta dall’ordine stesso delle cose, non di una punizione scelta da un Dio che si vuole “vendicare” della creatura.
Vari santi, inoltre, affermano di aver avuto delle visioni dell’inferno.
Santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, scriveva: “Mi trovai trasportata tutta intera all’Inferno senza sapere come. Compresi che Dio mi voleva far vedere il luogo che i demoni mi avevano preparato, e che io mi ero meritata con i miei peccati. Quello che allora soffrii supera ogni umana immaginazione. Sentivo nell’anima un fuoco che non so descrivere, mentre dolori intollerabili mi straziavano il corpo. Era un’oppressione, un’angoscia, una tristezza così profonda, e un vivo e disperato dolore che brandiva l’anima. Il supplizio peggiore era il fuoco della disperazione interiore. Ma, l’amore di Dio e il mio sforzo interiore mi salvò da questa catastrofe” (5). E, a proposito del fuoco, che non sappiamo come interpretarlo, F. Dostoevskij fece questa interessante considerazione: “Si parla delle fiamme dell’inferno in senso materiale: non indago in questo mistero che mi atterrisce, ma penso che se davvero esistessero le fiamme in senso materiale, i peccatori se ne rallegrerebbero, giacché ritengo che, grazie ai tormenti fisici, essi potrebbero almeno per un momento dimenticare le ben più terribili pene dello spirito” (6).
Anche suor Lucia che con i piccoli, oggi san Giacinto e santa Francesca, furono i protagonisti delle apparizioni della Madonna a Fatima ebbero una visione dell’inferno così descritta da suor Lucia nelle sue memorie. “Essa (la Madonna) ancora una volta aprì le Sue mani, come aveva fatto i due mesi precedenti. I raggi di luce apparvero per penetrare la terra e noi vedemmo come un vasto mare di fuoco e vedemmo i dèmoni e le anime dei dannati immersi in esso. Vi erano poi come tizzoni ardenti trasparenti, tutti anneriti e bruciati, con forma umana. Essi fluttuavano in questa grande conflagrazione, ora lanciati in aria dalle fiamme e poi risucchiati di nuovo, insieme a grandi nuvole di fumo. Talvolta ricadevano su ogni lato come scintille su fuochi enormi, senza peso o equilibrio, fra grida e lamenti di dolore e di disperazione, che ci terrorizzavano e ci facevano tremare di paura. I demoni si distinguevano dalle anime dei dannati per il loro aspetto terrificante e repellente simile a quello di animali orrendi e sconosciuti, neri e trasparenti come tizzoni ardenti. Questa visione è durata solamente un attimo, grazie alla nostra buona Madre Celeste, che nella sua prima apparizione aveva promesso di portarci in Paradiso. Senza questa promessa, credo che saremmo morti di terrore e spavento”.
Cosa afferma il Signore Gesù e il Nuovo Testamento sull’inferno.
L’esistenza dell’inferno è ampiamente testimoniata nella Sacra Scrittura. Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Per quanto riguarda l’Antico Testamento (cfr. Is. 66, 23-24; Gdc. 16, 20-21; Dn. 12, 1-2; 2 Mac. 7, 1-39; Sap. 5, 14). Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, nel Vangelo sono presenti alcuni richiami all’inferno oltre quelli già citati. Ad esempio nella spiegazione della “Parabola della zizzania” (Mt. 13,30-42) Gesù afferma: “Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti” (Mt. 13,41-41). Anche parlando “dello scandalo” il Cristo ricorda più volte l’inferno: “Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue” (Mc. 9,43-48).
Concetto ribadito anche da san Paolo nella lettera ai Tessalonicesi: “Quelli che non riconoscono Dio e quelli che non ubbidiscono al vangelo del Signore saranno castigati con una rovina eterna lontano dal volto del Signore”(2Ts 1,8), da san Pietro: “Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio” (2Pt. 2,4), da san Giacomo: “Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità che vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna (3,6) e da san Giovanni nell’Apocalisse: “Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia e la sua statua” (Ap 14,11).
Conclusione
Dunque, non è Dio che “caccia” l’uomo all’Inferno. E’ il singolo che rigettando la salvezza e la misericordia si autocondanna e si colloca nell’inferno. Ecco la grande responsabilità della vita: evitare l’inferno. Sarebbe tremendo nel momento del giudizio particolare sentirci dire da Dio: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt. 25,41).
NOTE
(1)“Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della Legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore” (CCC n. 1855).
“Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso” (CCC n. 1857).
(2) BENEDETTO XVI, Enciclica Spe salvi, n. 44
(3) SANT’ AGOSTINO, Le Confessioni, I,1,1
(4) SAN TOMMASO, Summa th., II, q. 88 ad 2
(5) TERESA D’AVILA, Cammino di perfezione, Paoline, Alba (Cn) 1976, pg. 121.
(6) F.DOSTOEVSKIJ, I Fratelli Karamazov, Garzanti, Milano 1999, pp. 448.
Don Gian Maria Comolli
(quarta continua)