Kyl Myers è madre di una creatura il cui sesso lei e il padre rifiutano di svelare, non soltanto agli altri, ma anche a lei medesima. E’ il gender creative parenting.
Di che cosa consiste la libertà? Questa domanda è sorta in me leggendo un articolo di giornale che riporta un fatto recente. Vi si parla, in chiave di piena approvazione, di una donna americana, Kyl Myers, madre di una creatura il cui sesso lei e il padre rifiutano di svelare, non soltanto agli altri, ma anche a lei medesima. Entrambi intendono educare la persona cui hanno dato la vita senza una identità imposta dalla biologia o dalla società. “Il suo metodo (di Kyl Meyers, ndr) di fare il genitore abbraccia quello che è femminile e maschile”, dice un articolo dell’Huffington Post. E continua, “nulla è fuori gioco”. I due genitori sono attenti a “non limitare il campo di opzioni” davanti alla loro prole. L’essere che hanno generato deve essere libero di “esprimersi senza restrizioni o attese per quanto tocca la natura stereotipica dell’indentità sessuale”.
Che c’è di male, dopotutto? Quale genitore vorrebbe limitare l’esperienza dei suoi figli ad un’esperienza solo parziale delle belle possibilità di cui è fatta la vita? Non desideriamo forse la libertà per le persone che ci sono care? Non consiste la libertà — come ha detto Kyl Myers citata nell’articolo — nell’avere opzioni? Perciò, più opzioni dovrebbe sempre significare più libertà. Non sarebbe questa una educazione finalmente più libera?
Ma è questa la libertà? Se fosse così, allora essere libero vorrebbe dire stare sempre alla superficie dell’esperienza umana, senza mai correre il rischio di andare in fondo ad una scelta, di dire un sì, di implicarsi nella realtà che impegna tutta la persona, fino alla morte. Avere sempre aperte le altre opzioni esclude la possibilità del brivido della libertà, quella capacità umana di dare consenso, non solo provvisorio, ma amorevole, aspirante alla totalità.
A me pare che questa educazione lodata nell’articolo misconosca completamente la libertà. Ma la libertà, che è chiamata ad affrontare anche la morte e la sofferenza senza perdersi, ha bisogno di essere aiutata, guidata, educata. L’impegnarsi nella realtà fino in fondo, l’unica vera modalità di libertà, non è automatico. Siamo tutti feriti nella libertà, e non sappiamo se saremo capaci di vivere sempre il nostro “sì” senza abbandonare l’impegno.
La nostra identità sessuale è uno dei modi più profondi e uno degli aiuti più forti a relazionarci con la realtà. È una dinamica e un’energia che ci dà lo slancio per entrare nel mondo, per diventare un solo corpo con un’altra persona e anche diventare co-creatori di una nuova vita umana che può andare avanti nel tempo dopo la nostra morte. Indebolire e confondere questa identità, offuscare il dono spettacolare del significato della nostra corporeità vuol dire privarci di una certezza che permette alla libertà di realizzarsi; vuol dire rendere più incerto il nostro impegno nel mondo.
Kyl e Brent Myers, voi vi impegnate a sostenere la libertà di vostro figlio — o figlia —, ma lo fate mettendo in forse la sua identità sessuale, il dono che abbiamo per vivere in modo più pieno proprio la nostra libertà.
Vincent Nagle
Il Sussidiario.net, 18 aprile 2018