Nel dossier annuale dell’ Osservatorio nazionale sulla Sanità, presentato al Gemelli di Roma, la fotografia di un Paese in rapida mutazione: oltre alla doppia velocità nel sistema delle cure, si assiste al peggioramento della situazione complessiva degli ultrasessantenni.
Se è vero che in Italia si vive di più, in molti casi lo si fa peggio, con la paradossale conseguenza di avere più tempo a disposizione e di ritrovarsi a spenderlo per curarsi. È la fotografia scattata dall’ Osservatorio nazionale sulla Sanità delle regioni italiane, che ieri ha presentato il suo rapporto annuale al Policlinico Agostino Gemelli di Roma. Il giudizio che emerge è quello di un Sistema sanitario nazionale piuttosto resiliente, perché ancora sostenibile nonostante la riduzione (o il mancato adeguamento) delle risorse. Incapace, però, di allargare efficacemente il proprio perimetro nel campo della prevenzione e di imporre una strategia a lungo termine, con gravi conseguenze per anziani, disabili e famiglie. Il nostro Paese, pur essendo tra i primi al mondo per longevità, è soltanto 11esimo nell’ Unione Europea per aspettativa di vita senza limitazioni fisiche. D’ altro canto, oltre un italiano su cinque – come si evidenzia nello studio – ha già più di 65 anni, segnale di un progressivo invecchiamento. Non solo: nei prossimi dieci anni, secondo le stime di Osservasalute, saranno oltre 6,3 milioni gli anziani over 65 non più autonomi né autosufficienti. Praticamente un italiano ogni dieci. L’ 11,2% già oggi dichiara di avere molta difficoltà o di non riuscire a svolgere attività quotidiane come mangiare o alzarsi dal letto. In Danimarca questo dato è soltanto al 3,1%, nell’ intera Ue all’ 8,8%. Il risultato di questo cambiamento di scenario? «Ci troveremo di fronte a seri problemi nel garantire un’ adeguata assistenza agli anziani – ha sottolineato il direttore scientifico dell’ Osservatorio, Alessandro Solipaca – perché la rete degli aiuti familiari si va assottigliando, a causa della bassissima natalità e della precarietà dell’ attuale mondo del lavoro che non offre tutele ai familiari caregiver », coloro cioé che si prendono cura dei malati. Qualche miglioramento arriva dagli stili di vita. Ma se da una parte si registra un aumento delle persone che hanno scelto di fare un po’ di attività fisica (più 1,5% rispetto al 2015), dall’ altra è cresciuto il numero di obesi (dal 8,5% al 10,4% dal 2001) e delle persone in sovrappeso (più 2,3%). I fumatori non diminuiscono da ormai 4 anni, mentre per quanto riguarda il consumo di alcol si assiste a una lenta e inarrestabile riduzione dei non consumatori (astemi e astinenti negli ultimi 12 mesi). La buona notizia è che i tassi di mortalità precoce dovuta a tumori o malattie croniche, come diabete e ipertensione, sono scesi del 20% in 12 anni. Questo significa che il sistema è riuscito ad incidere sulla mortalità evitabile (molto meno al Sud che al Nord, dove la vita media è di circa 4 anni maggiore). Nel caso del tumore al polmone negli uomini il tasso è diminuito di quasi tre punti percentuali, mentre il cancro alla cervice uterina è calato del 4,1%. Traguardi raggiunti in un contesto diffici- le e, secondo l’ Osservatorio, ancora sottovalutato: «I 21 sistemi regionali stanno raggiungendo il pareggio di bilancio – riprende Solipaca -. Negli ultimi anni, nei quali la spesa è rimasta uguale se non diminuita, la sanità è riuscita a far fronte ai problemi di numeri e nel frattempo la vita media si è allungata. Ma si tratta di una sostenibilità pagata a caro prezzo, soprattutto in termini di riduzione del personale e delle prestazioni». Un costo come detto sostenuto in parte delle famiglie, che affrontano da sole le spese di un paziente a carico o emigrano in altre regioni per ottenere prestazioni accettabili e adeguate alle loro condizioni. «Non abbiamo nulla da imparare su diagnosi e terapia, ma siamo carenti su prevenzione e post terapia – sottolinea Roberta Siliquini, presidente del Consiglio superiore di sanità -. I malati cronici sono in aumento e vanno inseriti in un circuito che coinvolge molti altri attori, non solo i medici. La malattia cronica ha un peso sociale molto rilevante anche se ancora non del tutto osservabile perché ancora non esistono standard di raccolta e analisi dati. In molti casi influisce sulla salute mentale e, anche se i ricoveri per questo tipo di problemi diminuiscono, aumenta l’ uso di psicofarmaci. Si tratta di disturbi sommersi».
Matteo Marcelli
Avvenire, 20/04/2018