La Chiesa è attenta e aperta agli sviluppi della ricerca scientifica e delle biotecnologie. Servono ponti, non muri, dice il responsabile scientifico del Pontificio Consiglio della cultura a conclusione della quarta Conferenza internazionale sulla medicina rigenerativa. L’impegno contro la sofferenza deve essere globale ma è necessaria anche una riflessione etica.
“Una riflessione interdisciplinare aperta che coinvolga molteplici esperti e istituzioni e permetta uno scambio reciproco di conoscenze” unita ad “azioni concrete a favore di chi soffre” coinvolgendo rappresentanti di varie comunità. È l’auspicio espresso lo scorso 28 aprile da Papa Francesco nel corso dell’udienza ai partecipanti alla IV Conferenza internazionale “Unite To Cure A Global Health Care Initiative” promossa, dal 26 al 28 aprile, in Vaticano, dal Pontificio Consiglio della cultura (Pcc) in collaborazione con la Cura Foundation, Stoq e Stem for Life Foundation. Slogan e mission dell’iniziativa, che ha visto la partecipazione di scienziati e medici, pazienti, famiglie, studiosi di etica e di cultura, leader religiosi, filantropi, rappresentanti dei governi e del mondo imprenditoriale, prevenire, riparare, curare e preparare per il futuro.
Di fronte alla sofferenza umana il Papa ha invitato a creare sinergie tra persone e istituzioni, anche superando i pregiudizi. Al tempo stesso ha ricordato la responsabilità etica della scienza e i limiti che essa deve rispettare per il bene dell’umanità. Temi che sono stati al centro delle tre giornate. Prima dell’udienza abbiamo chiesto a mons. Tomasz Trafny, responsabile del Dipartimento Scienza e fede del Pontificio Consiglio della cultura, di stilare un bilancio di questa quarta edizione dei lavori.
Che cosa lega Pontificio Consiglio della cultura e Cura Foundation?
Da otto anni lavoriamo con la dottoressa Robin Smith, presidente di Cura Foundation, per tentare di migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria, aumentare gli investimenti in ricerca e innovazione, incoraggiare la collaborazione multidisciplinare e contribuire a far crescere comunità sane. Ancora una volta abbiamo voluto mettere a fuoco le nuove scoperte scientifiche e, al tempo stesso, riconoscere e approfondire le necessità globali dei malati. Uno degli aspetti più importanti e incoraggianti è che siamo riusciti in breve tempo a radunare persone di diverse comunità per dialogare e condividere conoscenza e risorse per migliorare la situazione dei pazienti.
Perché convocare rappresentanti di discipline, culture, società e religioni differenti?
Per noi è molto significativo che appartenenti a diverse discipline scientifiche, culture e religioni dialoghino insieme condividendo le proprie sensibilità. Oggi non basta avere un impatto locale bisogna pensare a livello globale perché la sofferenza è un fenomeno universale e in questo senso aiutare chi soffre è una chiamata umana universale. Questo confronto a 360 gradi dimostra inoltre che siamo in grado di superare pregiudizi e barriere e diventa molto provocatorio di fronte al mondo contemporaneo così autoreferenziale.
Eppure la Chiesa è ancora considerata da parte dell’opinione pubblica oscurantista e, per alcuni aspetti, contraria al progresso scientifico.
È vero. Persistono da parte di alcuni pregiudizi e visioni stereotipate per quanto riguarda il coinvolgimento della Chiesa e il suo ruolo nel dialogo con la scienza, ma la comunità scientifica è sempre più aperta a cercare elementi di intersezione tra scienze umane e scienze naturali. Gli scienziati sono sempre più consapevoli che non basta il mero tecnicismo ma che bisogna andare oltre e porsi interrogativi etici, culturali e antropologici. Da anni noi sosteniamo questo dialogo: fa parte della nostra missione più intima.
In queste giornate si è parlato anche di Cell therapy e di Crispr e di editing genetico tra prospettive terapeutiche e rischi.
La Chiesa deve guardare con molta attenzione a ciò che sta accadendo nell’ambito delle biotecnologie. Crispr (clustered regularly interspaced short palindromic repeats, ndr) è una tecnica precisa e potente di correzione di uno o più geni in qualsiasi cellula e tra le tecnologie oggi disponibili è forse la più discussa perché pone domande nuove. L’editing genetico non è una novità, è conosciuto da molti anni ma in passato richiedeva enormi risorse finanziarie ed era un lavoro particolarmente complesso riservato solo a laboratori ad alta sofisticatezza. Crispr invece, più facile da utilizzare e meno dispendioso, sarà in prospettiva accessibile in moltissimi centri di ricerca. Si tratta di uno strumento potentissimo nell’intervenire sul genoma, e in particolare sul genoma umano. Certamente deve essere “pensato” e “considerato” anche come elemento di potenziale rischio, noi però guardiamo soprattutto ai benefici di una tecnologia che potrà trattare innumerevoli malattie legate a disordini genetici.
Quindi al tempo stesso apertura e cautela…
Il cardinale Parolin ci ha esortato a costruire ponti e a proseguire il dialogo tra scienza, fede e cultura. Vogliamo “accompagnare” coloro che sviluppano queste tecnologie che certamente sollevano importanti questioni etiche e antropologiche, ma senza ergere muri. Occorre chiedersi fin dove possiamo spingerci senza il rischio di sbilanciare la nostra struttura biologica interna, senza il rischio di creare una nuova tipologia dell’essere umano, magari estremamente potenziato e geneticamente disegnato con determinate caratteristiche. Ma questo va fatto ora, mentre questa tecnica si sta sviluppando e affinando, non quando sarà già tutto stabilito.
Giovanna Pasqualin Traversa
SIR, 2 maggio 2018