Sepolcro imbiancato, osannare, agnello sacrificale, farisaico: sono alcune delle decine di parole ed espressioni di origine evangelica diffuse oggi in ambito profano, citate dal libro del professor Innocenzo Mazzini, già ordinario di Storia della Lingua latina all’Università di Macerata e autore di oltre 150 saggi di argomento storico-linguistico e di una ventina di volumi scientifici in Italia e all’estero (tra cui ‘Paola, diario di una vergine votata prima di nascere’), ‘Giornali e locuzioni cristiane’, che ha come sottotitolo ‘Per chi non sa quello che dice, legge o scrive’, pubblicato da Amazon.
Nelle 130 pagine del libro l’autore ricostruisce lo svuotamento semantico che emerge nel riciclo di termini ed espressioni cristiane in ambito profano: “E’ un effetto della secolarizzazione: si usano espressioni d’origine religiosa senza conoscerne la provenienza. Nella sensibilità e nella consapevolezza di chi scrive e parla, le espressioni cristiane vengono svuotate del loro valore primario e proprio per questo possono essere rifondate semanticamente e rimesse in circolazioni con significati profani”.
Questo è dovuto, secondo Mazzini, ad un’approssimazione lessicale e semantica dovuta a sensazionalismo e povertà culturale: “Qualunque lingua, nelle sue trasformazioni globali o parziali, costituisce lo specchio dell’evoluzione o involuzione di una società nel suo insieme e nelle sue diverse articolazioni. Riutilizzare espressioni evangeliche è in linea con la ricezione e veicolazione laiche del messaggio cristiano nella comunicazione di massa in forme differenti: dissacranti, umanizzanti, critiche e polemiche”.
Perché questo titolo?
“Il titolo, come è tradizione da sempre, vuole costituire la sintesi del contenuto di un saggio, di un libro.., che, nel caso specifico, consiste in una panoramica della diffusione e uso, a livello di linguaggio giornalistico contemporaneo, di moduli e termini originariamente cristiani”.
Il sottotitolo recita: ‘Per chi non sa quello che dice, legge o scrive’; quanto è ampia questa categoria?
“La categoria di chi non sa quello che dice ‘e/o legge e/o scrive’ è, a mio avviso, molto ampia: non solo giornalisti, (coloro che scrivono), ma anche coloro che leggono e parlano.
L’impoverimento della lingua italiana di livello medio alto, comunque scritto, è un dato di fatto, cui hanno contribuito e contribuiscono vari fattori, (per altro non tutti in sé negativi): il tempo dedicato alla lettura sempre più eroso dalla televisione e dall’uso (talora patologico) dei così detti social; lo spazio crescente occupato, nell’insegnamento scolastico, dalle lingue estere e dalle discipline tecniche ai danni della lingua e della letteratura italiana; una scuola chiamata, troppo spesso, a rispondere a bisogni non solo culturali…”.
Come sono usate le espressioni cristiane nel linguaggio giornalistico contemporaneo?
“Sono per lo più banalizzate, comunque svuotate del significato religioso originario. La banalizzazione e lo svuotamento semantico avvengono mediante il procedimento linguistico della metafora. La metaforizzazione, a sua volta, è resa possibile, nella maggioranza dei casi, dalla non conoscenza del significato originario, a sua volta conseguenza sia della scristianizzazione in atto sia del disinteresse nei confronti della religione”.
Nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali papa Francesco parla di fake news: lo svuotamento del valore delle espressioni cristiane può considerarsi una fake news?
“Può essere considerato una fake news nel senso che conferisce ad espressioni cristiane un senso del tutto laico e materialistico, ma non può essere considerato fake news nel senso di falsa notizia divulgata ad arte; non credo che dietro ci sia intenzione di danneggiare una religione oppure offendere un credente; c’è soprattutto indifferenza e ignoranza del cristianesimo non solo come religione, ma anche come fatto culturale”.
Allora quale può essere un modo corretto per ridare valore originario ad un termine evangelico?
“Il recupero del cristianesimo come religione, o almeno come fenomeno culturale; una maggiore cura della lingua italiana”.
Simone Baroncia
ACI Stampa, 2 maggio 2018